La recensione della 3×06 di Westworld analizza il percorso umano dei protagonisti, cavalieri erranti in una landa desolata.
Sir Rowan and the Camerian Conquest è un libro del 2010 a firma di Chuck Black, parte di una collana più ampia. Racconta la storia di un cavaliere, insignito di ogni onore ma che, superbo e altezzoso, disdegna una missione fondamentale. Perderà ogni cosa e, dato per morto, in uno stato di semi coscienza avrà una visione. Quel sogno lo porterà a rivedere la sua vita, a dedicarsi nuovamente al bene.
Sir Rowan and the Camerian Conquest non è il libro che il piccolo William legge in questo episodio di Westworld. Il titolo diverge leggermente. C’è una significativa variazione. Sir Rowan and the Camerian Conquest diventa Sir Rowan and the Lady of Sulon. Cosa significa? Chi è la Lady of Sulon e chi Sir Rowan?
William ha perso tutto.
Non ha più una famiglia, un’azienda, una reputazione. È un cavaliere senza terra, un reietto che ha raggiunto il sottosuolo, la terra di dannati e disperati, di vermi che strisciano crogiolandosi nel loro fallimento. Il suo, come quello di Caleb, è un sottosuolo morale. Ha perso sé stesso ma è proprio qui, proprio ora che può ripensare la sua vita.
Perché nel sottosuolo sei a nudo: non esistono più onori, giustificazioni, riconoscimenti. Ci siete solo tu e la cruda realtà, la piena consapevolezza di quello che sei. E così William inizia a scavare, scende nelle stanze dimenticate del suo Sottosuolo finendo in una cantina lugubre e ammuffita. In quel piano interrato non è da solo, però. Come fantasmi di una vita passata ritrova tutte le personalità, tutte le maschere che ha indossato nel corso della sua vita.
Quella di filantropo, di bambino problematico, di giovane adulto innamorato e ambizioso, quella di cavaliere nero, Man in Black. Sono là di fronte a lui, finalmente libere di parlare. Ma quello che fanno è solo tentare di giustificarsi, di rafforzarsi vicendevolmente sottolineando la propria ragione. La propria innocenza. I peccati, però, sono lì a ricordare a ognuno ciò di cui si è macchiato. Si materializzano nell’immagine di James Delos, il fondatore della Delos, appunto, l’uomo reso vittima (per sua stessa scelta e per superbo desiderio di immortalità) di un esperimento infinito e crudele.
È lui il Peccato che incalza e non permette a nessun’anima di William di avere pace.
Non c’è giustificazione che tenga. La violenza sembra essere sempre stata insita in lui, fin da bambino, prigioniero di una rabbia disperata. E allora viene da chiedersi: il suo è stato un cammino obbligato? Ha avuto davvero scelta? O è diventato ciò che era inevitabile divenisse? “Se non lo capisci, ha importanza?“, replica mestamente ma ormai lucidamente l’anziano William.
Quello che è stato, che è sempre stato, i suoi errori, i peccati, la violenza, ora non contano più. Il passato per un attimo si cancella, l’errore viene rimosso: i fantasmi sono trucidati, le giustificazioni annullate. William sa: “Era proprio lei, la mia Emily e l’ho uccisa“. In quel sottosuolo ritrova consapevolezza della sua nudità, della sua umanissima debolezza e viltà. Non è un benefattore, non è un giovane innamorato, non è un Man in Black che sfoga i suoi istinti nel modo più “innocuo”. Non è neanche un giovane che convive con un male innato.
No, lui ora è soltanto William: “Non importa cosa sono stato, buono o cattivo, tutto ciò che abbiamo fatto ci ha portato qui. E finalmente so qual è il mio scopo“. Nella sua umiliante vacuità riscopre un senso, uno scopo. Si libera così dai propri fantasmi, dai peccati che per tanti anni l’avevano tenuto prigioniero, rinchiuso in un guscio dal quale temeva di uscire. “Sono in trappola, da così tanto“.
Nel tempo dell’adesso, faccia a faccia con sé stesso, si riconosce per ciò che è.
Come Sir Rowan anche William riprende in mano la sua missione proprio nel momento in cui è stato più vicino a perdersi per sempre. Rowan e William si guardano dentro e trovano il senso di tutto. La missione rinnovata, la conversione sulla via di Damasco, investe le loro vite: Sir Rowan and the Camerian Conquest diventa così Sir Rowan and the Lady of Sulon. Sir William riprende in mano la spada, torna in sella al suo cavallo: un’altra volta, un’ultima volta.
C’è un’ultima missione al di là del labirinto, uno scopo finalmente trovato: fermare Lady of Sulon, la signora del Sulon. Sulon: in sundanese Ovest, West come Westworld.
È lei la Lady of Sulon, Dolores, la regina di Westworld che si è fatta onnipotente, depositaria unica di tutto il sapere e di una razza nuova. “Non è giusto che una sola persona abbia tanto potere“, le ricorda Maeve.
Ma nel mondo di Westworld bene e male si confondono continuamente. Nessuno ne esce immacolato, ognuno è investito del peso tremendo delle proprie colpe: ci sono Dolores e la sua crudeltà, veicolata da quella di William, ma anche lo sprezzo per la vita di Serac e l’egoismo di Maeve, disposta a sacrificare chiunque per riabbracciare sua figlia, anche quell’Hector tanto amato.
Così, nel caos, in una landa desolata e raggrinzita vagano cavalieri senza terra, regine vendicative e madri disperate.
Ognuno con una sua colpa, ognuno con un insopprimibile peso. Ognuno, nelle proprie debolezze, terribilmente umano. Questo è Westworld, un mondo senza Dio, un “paradiso prosciugato” alla disperata ricerca di un senso nuovo. Di un’umanità autentica che possa restituire amore e colore alla realtà post apocalittica, al grigiore di chi si perso nei propri peccati, chiuso in un guscio di negazione. Perso, come una cavaliere senza più onori.