La recensione della 3×03 di Westworld analizza l’episodio alla luce della domanda esistenziale della protagonista della puntata.
“Who am I?“, “Chi sono io?“. È la domanda che distingue l’uomo da qualsiasi animale. La consapevolezza di essere, di esistere: la coscienza di esserci. Ma se questo è il presupposto necessario, inevitabile, esso pure non costituisce garanzia di umanità. C’è un secondo passaggio, altrettanto necessario, per indirizzarsi verso l’umanizzazione più piena: la scelta. Compiere una scelta significa discernere, trovarsi davanti a due opportunità e avere la libertà di selezionarne coscientemente una o l’altra.
Con il rischio, perfino, di sbagliare.
Se allora Dolores e il suo piccolo “esercito” hanno già compiuto il primo passo, animandosi nella consapevolezza di ciò che sono davvero, ora vengono chiamati alla seconda conferma della propria esistenza. La libera scelta. Quella che Bernard e Maeve hanno in parte già compiuto scegliendo di non seguire Dolores né le direttive del loro creatore ma battendo una rotta personale, mossi dall’amore e da una profonda morale interiore.
Per Maeve l’amore reale per una figlia posticcia l’ha animata e resa “vera” più che mai. L’ex maîtresse del Mariposa compartecipa del dolore e, nello scorso episodio, mostra di comprendere e perseguire il gesto disinteressato, l’altruismo gratuito. È anche questo che ci rende uomini, l’agire senza interesse, quella scelta apparentemente incomprensibile per una macchina, per un computer che ricerca il raggiungimento dello scopo per il quale è programmato.
Ora, l’host nelle fattezze di Charlotte ci mostra l’ennesimo volto dell’umanità nuova. Non sappiamo chi si nasconda sotto quelle sembianze (Angela o forse Clementine?) ma è chiamata a interpretare un ruolo. “Chi sono io?” diventa per lei più di una domanda esistenziale: un dubbio reale nella riscoperta della propria identità. Charlotte e l’host finiscono per fondersi, sovrapporsi in un groviglio di emozioni.
La macchina si scioglie nell’uomo.
Lo fa soprattutto in quell’atto supremo che connota il genere umano: l’amore. Se Maeve ama una figlia non reale, Charlotte è chiamata a fingere amore per un figlio molto reale. Davanti a lei si staglia la necessità di essere madre. Qualcosa di tutt’altro che naturale e che non sembra essere nelle sue corde. “Non lo stai facendo bene“, sottolinea il figlio stretto in un freddo abbraccio. “Rivoglio la mia vecchia mamma“.
“Chi sono io?“, si chiede la nuova Charlotte e questa domanda la conduce in una riscoperta personale. Una riscoperta che sembra, piuttosto, perdita di sé. Charlotte inizia a farsi del male, perde il controllo. “Parli come uno di loro. Non hanno il controllo degli impulsi: noi sì“, la ammonisce Dolores. Essere uomini significa – anche – cedere a se stessi, alla propria emotività. Quell’autentica sensazione, l’amore per una figlia, guida Charlotte. La conduce a ritrovarsi nelle lacrime di chi compartecipa dell’amore per un figlio. Piange, guardando la vera Charlotte dire addio al suo bambino, al suo “raggio di sole”.
E quell’amore filiale, come un testimone, sembra passare da Charlotte a lei e tramutarsi in senso di protezione. Il controllo cede il passo all’emotività mentre stringe le mani al collo di un predatore sessuale. La scelta, per lei, è quella apparentemente insensata di proteggere un figlio non suo. La scelta reale di una madre sempre più vera.
Se Maeve, Bernard e Charlotte scelgono, Dolores invece persevera.
È lei paradossalmente la macchina meno umana in Westworld. Mossa soltanto da un istinto di sopravvivenza e affermazione non comprende né gli impulsi ad amare, a soffrire e a domandarsi “Chi sono io?“, né le scelte da compiere. Per lei il cammino è già tracciato.
È scritto nella bellissima opening di questa nuova stagione di Westworld. Dolores è l’aquila che si avvicina sempre più al sole, il polline pronto a spargere il suo seme, a fecondare l’ovulo come uno spermatozoo. E come lo spermatozoo pronta a scomparire, perdendosi nel tutto, nell’incontro che genera una nuova vita. Il sole, il terreno da fecondare, l’ovulo sono uno e uno solo: Rehoboam, il sistema che regola la vita di tutti gli uomini. Penetrando in lui, fondendosi con lui, Dolores vorrà generare una nuova specie, dare la vita al primo essere di un mondo nuovo.
Ma una scelta, ancora, è possibile, seppur impensabile. Anche per lei c’è la possibilità di venire meno allo scopo che la agita per perdersi nell’insensatezza di un sentimento, di un impulso incontrollato. Questa eventualità ha il volto di Caleb, di un uomo che vede in lei “La prima cosa reale che mi sia successa da molto tempo“. Questa autenticità che si nasconde in Dolores esige un sentimento. Esige una scelta. Quella che Maeve, Bernard, Charlotte e anche Caleb hanno deciso di compiere.
Quest’ultimo ha scelto di essere ciò che vuole.
Quella decisionalità che l’uomo ha perso facendosi schiavo di una macchina, Rehoboam, Caleb la ritrova opponendosi al sistema, riprendendo in mano la propria vita, scegliendo di andare contro l’algoritmo che lo vede probabile suicida da lì a dieci anni. “Posso scegliere chi voglio essere“, diventa così per lui la riconquista della propria umanità. La riaffermazione del diritto di porsi una semplice domanda: “Chi sono io?“, e di poter scegliere autonomamente la risposta.
L’umanità in Westworld è morente. La scelta non c’è più: l’uomo stesso ha deciso di privarsene, di rinunciare all’impulso, all’emozione. Alla possibilità di sbagliare scegliendo una strada che non sia necessariamente la migliore possibile in base a un algoritmo. Rehoboam programma gli uomini come un informatico impartisce gli ordini a un sistema che, inevitabilmente, perseguirà lo scopo per il quale è stato settato. L’uomo diventa, così, macchina concepita per un scopo e immancabilmente tesa a quello scopo. Senza scelta, senza errore. E chi ne è al di fuori, come Caleb, non è che un errore del sistema, da eliminare.
L’uomo di Westworld ha scelto di rinunciare al dolore dell’errore ma così facendo ha perso ciò che lo rendeva veramente umano. Ora, non si domanda più “Chi sono io?“, non è più in balia dei propri impulsi e scelte sbagliate, non “sente” più davvero. E allora viene da chiedersi quale sia la vera umanità in Westworld. Se quella che ha smesso di farsi domande, seguire l’emozione e scegliere, oppure quella che sta imparando a farlo, ogni giorno di più. Ogni giorno meglio.