ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su White Men Can’t Jump!!
Nel 1992, un film di Ron Shelton e con Woody Harrelson e Wesley Snipes nel ruolo di protagonisti, faceva la sua comparsa sulla scena statunitense. Si trattava di White Men Can’t Jump, tradotto in italiano con il titolo Chi non salta bianco è, un film sulla pallacanestro che è poi diventato un cult del genere, affiancato, appena quattro anni più tardi, da una pellicola ancora più nota e con una star d’eccezione: Space Jam con Michael Jordan. Trent’anni dopo, Calmatic ne propone una rivisitazione in chiave moderna, apparsa sulla piattaforma Disney+ tra le novità di maggio 2023. Il regista americano, noto per aver lavorato alla realizzazione di video musicali e al lungometraggio House Party – non a caso, un altro remake di un film degli anni Novanta -, ha scelto di partire dallo spunto dell’originale per dare al film un taglio più moderno e più in linea con i tempi. A calarsi nella parte dei protagonisti sono stavolta l’attore Sinqua Walls – noto principalmente al pubblico delle serie tv, un po’ meno a quello del grande schermo – e il rapper Jack Harlow, qui alla sua prima prova come attore. White Men Can’t Jump, nella sua versione aggiornata, rimane comunque un film sulla pallacanestro, anche se lontana dalle pellicole che scandagliano il mondo della NBA e dei grandi palcoscenici della palla a spicchi (sullo stesso tema, Winning Time è una serie che meriterebbe di esplodere anche in Italia). È un film che si colloca a metà tra i prodotti per ragazzi – il pubblico teen americano ne viene bombardato con cadenza regolare – e i grandi titoli sul basket – Air con Ben Affleck è una delle ultime proposte ad aver conquistato il pubblico.
Ma vediamo di cosa parla White Men Can’t Jump.
Il film si focalizza sulla storia di due ragazzi, all’apparenza molto diversi tra loro, che scoprono di avere in comune la passione – e un certo talento – per la pallacanestro. Kamal (Sinqua Walls) è un’ex stella liceale, grande promessa del parquet che ha però dovuto rinunciare ai suoi sogni in seguito ad un arresto per rissa e ai problemi di salute del padre. Jeremy (Jack Harlow) è invece un ragazzo bianco che sbarca il lunario allenando giovani atleti in una palestra vicino casa. Anche lui vecchia promessa del basket, anche lui costretto ad abbandonare il campo non per trascorsi extra campo, ma per un infortunio al ginocchio che ne ha stroncato la carriera. Il primo, un ragazzone di colore, agile e impulsivo. Il secondo, un fanatico degli integratori e delle diete detox, che sul campo è ancora in grado di far sentire la propria presenza. Entrambi sono stati costretti a reinventarsi, per giunta ad un’età in cui i grandi palcoscenici del mondo dello sport sono quasi preclusi. Entrambi sono affiancati da compagne (Laura Harrier è Tatiana, la fidanzata di Jeremy, mentre Teyana Taylor è Imani, la ragazza di Kamal), che mandano avanti la baracca e che provano a indirizzarli verso le scelte di vita migliori. Assillati da problemi economici e di liquidità, costretti ad inserirsi in un mondo lavorativo che viaggia a velocità troppo sostenute per chi è rimasto momentaneamente fermo ai box, Kamal e Jeremy provano a sfruttare il loro talento per racimolare qualche soldo nei tornei estivi sui campetti di cemento.
Più che un film sul basket, White Men Can’t Jump è un film sullo streetball. La differenza appare insignificante e invece è sottile e dà al prodotto un taglio diverso. Il basket da strada è uno dei giochi più praticati negli Stati Uniti. I playground sono un contenitore a cielo aperto di talenti nascosti che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono destinati a rimanere tali. Sono lontane dunque le luci accecanti dei parquet delle franchigie. La NBA è un miraggio, così come pure le leghe inferiori. Tutto si consuma invece sulla strada, alla luce del sole che scotta sulla pelle, con regole diverse, più ruvide. Lo streetball è un gioco più duro, meno clemente, che si avvicina di più alla vita. Quando cadi sul parquet, rialzarsi costa meno fatica. Se precipiti sul cemento di un playground di quartiere, i lividi restano più visibili. E più dolorosi. È per questo che la scelta del basket da strada ha anche un preciso significato metaforico: la partita di Kamal e Jeremy è una partita tosta, nella quale ciascuno può contare solo sulle proprie forze e su quelle del compagno. Un match a punti con la vita, in cui vince chi gioca a sportellate nell’area, chi ha il coraggio di rischiare la stoppata pur di appoggiarsi con un tap-in a canestro.
Nessuna superstar dei palazzetti, dunque. Solo ragazzi alle prese con le loro sfide personali in un mondo che non è sempre clemente e che non offre a tutti le stesse possibilità.
E su questo punto, la costante presenza sullo sfondo della città di Los Angeles sembra suggerirci proprio questo: una distanza visibile a occhio nudo tra le grandi luci e i grattacieli della big city e il cemento dei playground, dei quartieri in cui ci si rimbocca le maniche per arrivare a fine mese. La fotografia è ottima e la regia la utilizza per sottolineare il divario tra le cose inarrivabili – il successo, la NBA, i grandi parquet delle star della pallacanestro – e il cuore ruvido dei campetti calpestati ogni giorno da centinaia di piedi diversi, quasi mai destinati alla fama. Malgrado il lieto fine, tipico di un film di questo tenore, White Men Can’t Jump prova anche a fotografare uno spaccato di società americana, distante dalle luci dello spettacolo sotto le quali siamo abituati a guardarla. Non è certo un film di denuncia – non è quello lo scopo, d’altronde -, ma offre una chiave di lettura non banale, in linea con gli affanni dei tempi moderni. White Men Can’t Jump affronta poi un altro tema che, nelle proposte dello stesso genere, viene toccato solo in maniera marginale, prediligendo il focus sul talento e sulle abilità tecniche: il quadro mentale. Jeremy è in questo senso una specie di guru del playground, un bianco che se ne va in giro con sandali discutibili, che mangia vegano e si imbottisce di integratori per disintossicare mente e corpo. Nello sport riesce a spiccare non solo chi ha talento, chi sa schiacciare al ferro e mettere a sedere l’avversario con un invidiabile ball handling, ma soprattutto chi riesce a liberare la mente dai pensieri negativi e a focalizzare l’attenzione solo sull’obiettivo.
Meditazione, percorsi terapeutici, stili di vita sani, in questo senso, possono offrire una grande mano.
White Men Can’t Jump non arriva chissà a quale profondità, ma si accontenta di offrire una storia dal tono leggero, senza troppe pretese, che sappia trasmettere alcuni messaggi facilmente leggibili tra le righe e che si conferma, da questo punto di vista, perfettamente in linea con i gusti di un pubblico – quello della piattaforma Disney+ – affezionato a titoli del genere.