ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sulla prima stagione di Wolfpack
Tra le recenti novità di Paramount Plus, piattaforma che ormai si sta imponendo con un’offerta sempre più ampia e variegata, c’è Wolfpack, serie tv che, come si evince bene dal titolo, tratta di lupi mannari e che riporta in scena un’icona del sovrannaturale televisivo come Sarah Michelle Gellar. Dai vampiri ai licantropi, la cara vecchia Buffy stavolta è un’agente dei vigili del fuoco chiamata a indagare su un enorme incendio, ma come ben presto s’intuisce lei stessa nasconde un segreto molto più ampio, legato proprio alle fiamme e ai lupi mannari.
Proprio qualche giorno fa la serie, rilasciata a cadenza settimanale da Paramount Plus, ha finito la propria corsa. È stata una prima stagione che si è consumata tra luci e ombre, con alcuni intoppi soprattutto a livello narrativo e diversi elementi interessati, più che altro in tema di concept e di format. Tirando le somme, Wolfpack è un prodotto con i suoi limiti e i suoi pregi, come tantissimi altri su piazza, che può ragionevolmente attirare gli amanti del genere e che viene impreziosito da quel velo di nostalgia rappresentato proprio da Sarah Michelle Gellar, che al di là del cosiddetto “effetto Buffy” è sicuramente una presenza di altissimo livello, capace di dare quel qualcosa in più alla serie di Paramount Plus.
Il format narrativo di Wolfpack
Nella recensione della prima stagione di Wolfpack partiamo da quello che è l’elemento più caratteristico e interessante della serie: la sua forma. La produzione di Paramount Plus non sceglie la via del teen drama sovrannaturale, alla Teen Wolf per intenderci, ma prende un’altra strada, quella che porta più verso l’horror, tramite la costruzione di un clima psichedelico, che si realizza tra allucinazioni, fumo e fuoco. In questo senso, Wolfpack si stacca da molte altre produzioni del genere, specialmente quelle con i ragazzi protagonisti, che vanno per la maggiore in tema di licantropia.
Per allontanarsi con forza dal teen drama, Wolfpack taglia completamente via l’ambientazione scolastica, solitamente dominante in racconti del genere, optando per un’ambientazione ricca di tenebre e di luoghi oscuri e misteriosi. L’unica costante che rimane rispetto ai teen drama è il delicato rapporto coi genitori, un tema inevitabile visto che la licantropia, di fatti, è il più delle volte una metafora della pubertà e quindi lo scontro con i genitori è una componente fondamentale quando si prendono come protagonisti dei giovani lupi mannari.
Wolfpack, quindi, s’inserisce nell’ampia tradizione di serie tv incentrate sui lupi mannari, o in generale su creature fantastiche, anche se qui per fortuna il discorso resta ristretto ai licantropi, ma lo fa scegliendo un format diverso, più vicino all’horror che al teen drama. Ne esce fuori un’operazione molto interessante, audace sicuramente, perché spesso la mancanza di determinati riferimenti come appunto la scuola o gli intrecci amorosi spiazza, ma tutto sommato capace di conferire un guscio molto valido a tutta la serie.
Più lupi che mannari
Insieme al format narrativo, l’altro elemento interessante di Wolpack è il modo in cui viene affrontato il licantropismo. La serie di Paramount Plus opta per un approccio che potremmo definire più naturale e meno fantasy. Ciò significa che nel mirino viene messa la natura di lupo dei protagonisti, proprio come animale, e non quella di lupo mannaro come creatura. Non c’è, infatti, un grandissimo focus sui poteri o sulla trasformazione, ma l’attenzione è rivolta maggiormente a cosa implica essere un lupo.
La serie con Sarah Michelle Gellar, dunque, affronta temi come la forza del branco, l’istinto animale, la connessione tra i vari lupi. Viene esaltato il lato primigenio dei lupi, quello animale. Questa visione si ripercuote anche su come viene presentato l’amore in Wolfpack, un elemento fondamentale in serie con protagonisti degli adolescenti. Anche il tema amoroso viene affrontato secondo questo schema, con l’esalazione dell’elemento sensuale più che di quello sentimentale. L’amore è in Wolfpack più che altro istinto e attrazione fisica, è sia quello che unisce Blake ed Everett, favorito evidentemente dal loro legame animale, ma è anche quello che lega i gemelli Harlan e Luna o Ramsey e Garrett ai loro figli. Più che di amore possiamo parlare in Wolfpack di legame affettivo, privato della sua componente sentimentale e romantica e sviluppato solo in senso istintivo e fisico. Una dimensione più vicina agli animali, infatti, che agli uomini.
Questo legame naturale è esaltato anche dal tema del telefono, affrontato diverse volte da Blake. La ragazza non ha un cellulare ed è tagliata fuori dal mondo tecnologico, ma a diverse riprese sottolinea come non ha bisogno di questi strumenti per rimanere connessa con chi ama. Qui si legge anche una piccola sottocritica alla società moderna, ma più che altro anche questo aspetto si ricollega all’esaltazione del lato animale dei protagonisti. Wolfpack, in sostanza, lavora per eliminare dai lupi mannari la patina fantasy, rendendoli il più “naturali” possibile.
I limiti della trama e i personaggi di Wolfpack
Le tante premesse di partenza, dal concept narrativo al modo di intendere i licantropi, vengono un po’ smorzate dalla costruzione narrativa vera e propria, che è un po’ il punto debole della serie di Paramount Plus. La trama, infatti, procede in modo un po’ confusionario, anche se i momenti di tensione riescono comunque a mantenere alto il ritmo del racconto. Tuttavia, soprattutto andando avanti con le puntate e avvicinandosi, quindi, all’epilogo, Wolfpack perde parecchia della sua verve, perdendosi più in allucinazioni e visioni che offrendo spunti e risposte agli spettatori.
La trama si costruisce sostanzialmente su due misteri, quello del piromane e quello delle chiamate anonime, ma entrambi i casi stentano a entrare nel vivo e alla lunga ci si scorda addirittura di queste questioni, perché intanto ne subentrano anche altre, su tutte chiaramente la gestione dei poteri e della natura di licantropi. L’ultima puntata prova, in modo un po’ frenetico, a riavvolgere le fila del discorso, ma le rivelazioni finali non fanno sussultare e, giunti all’epilogo della prima stagione della serie con Sarah Michelle Gellar, la storia ha perso ritmo, passata in secondo piano rispetto ad altri elementi decisamente più riusciti.
A dispetto di una trama che fatica, infatti, la costruzione dei personaggi è invece decisamente più interessante. La Ramsey di Sarah Michelle Gellar è sicuramente la luce più brillante, ma l’intero cast fa il suo e tutti i protagonisti offrono diversi spunti e si realizzano in maniera coerente. Il lavoro sui personaggi, dunque, è estremamente valido, anche se ciò, insieme ad altre scelte narrative e concettuali, finisce per pesare su una trama più zoppicante.
Un bilancio finale
In conclusione, possiamo serenamente affermare che Wolfpack è una serie capace di porre delle basi interessanti, distanziandosi dal classico fantasy teen drama e anche dalla narrazione young adult, pur mantenendone determinate prerogative. La decisa virata sull’horror funziona, così come l’approccio verso una dimensione più animale dei licantropi, ma purtroppo a zoppicare è lo sviluppo narrativo, che toglie sicuramente forza alla serie di Paramount Plus.
A discapito di queste difficoltà, comunque, Wolfpack rimane una serie discreta, interessante soprattutto per gli appassionati del genere, e capace di gettare uno sguardo nuovo in un panorama comunque molto affollato. Il finale di questa prima stagione della serie con Sarah Michelle Gellar, inoltre, spalanca le porte verso il futuro, con la trama che rimane apertissima e con quindi la possibilità di sistemare alcune mancanze della prima stagione dal punto di vista narrativo. Il rinnovo per una seconda stagione ancora non è arrivato, quindi il futuro di Wolfpack è ancora tutto da scrivere. Vedremo cosa accadrà, per il momento la serie di Paramount Plus rappresenta una grande occasione innanzitutto per rivedere un’icona del fantasy teen drama televisivo come Sarah Michelle Gellar, e poi per godersi un prodotto sicuramente valido e con diversi punti d’interesse.