Non molti si saranno accorti dell’uscita del film Yara su Netflix, ispirato a uno dei casi di cronaca più famosi in Italia. La motivazione risiede in una scarsa pubblicizzazione della produzione in sè, e dopo aver visto il film mi sento solo di dire che è stato meglio così.
Il true crime è un genere che sta prendendo sempre più piede nelle produzioni odierne: pensiamo ad esempio alla recente uscita di casa Sky Italia, Alfredino – Una storia italiana, una vera docu-serie che ci permette di immergerci pienamente in una storia straziante che ha segnato di fatto la nascita della cronaca italiana in diretta.
Purtroppo, mi duole comunicarvi che Yara non riesce assolutamente nell’intento di denunciare un fatto importante in quanto, causa la bassissima qualità del film e e la pessima recitazione di molti attori coinvolti, sembra solo un modo aggiuntivo ed evitabile di parlare di una tragedia senza aggiungere nulla a ciò che di questa tragedia sapevamo.
La storia di Yara Gambirasio
La sera del 26 novembre 2010 Yara Gambirasio, adolescente di 13 anni, scompare in circostanze misteriose da Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo. Da subito l’apprensione è tanta, poichè la ragazza è sempre stata molto responsabile e di conseguenza i genitori si allarmano immediatamente. Dopo diverse ricerche inconcludenti, tre mesi dopo viene ritrovata cadavere in un campo aperto a Chignolo d’Isola, la mattina del 26 febbraio 2011. Sul corpo ci sono segni evidenti di ferite d’arma da taglio e altre lesioni riconducibili a colpi di spranga. Dopo alcune analisi, sugli slip della ragazza, viene trovata traccia del DNA di quello che verrà definito per diverso tempo “ignoto 1”.
Consentendo agli abitanti del luogo di sottoporsi volontariamente al test del DNA vengono trovate alcune congruenze, in particolare con un uomo morto ormai da anni. Proprio quell’uomo durante la sua vita aveva avuto figli al di fuori del matrimonio, tra cui proprio “ignoto 1”. Il 16 giugno del 2014 viene arrestato Massimo Bossetti: il suo Dna nucleare risulta sovrapponibile con quello di “Ignoto 1” rilevato sugli indumenti della vittima durante le indagini. Il 1°luglio del 2016 il muratore di Malpello, 44 anni, viene condannato all’ergastolo. La pena viene confermata dalla Corte di Cassazione il 12 luglio del 2018.
Un’ode a Letizia Ruggeri, la PM incaricata di far luce sul caso di Yara
Il vero problema di questo film, oltre appunto alla recitazione da oratorio di alcuni suoi interpreti, è che non parla di Yara, bensì dell’ossessione del PM che vuole trovare a tutti i costi il colpevole dell’omicidio: Letizia Ruggeri. Ad interpretarla è Isabella Ragonese, una delle poche attrici a salvarsi in questo film.
Per chi non lo sapesse, inoltre, la Ruggeri è stata al centro di un processo durato due anni: un processo che la vedeva accusata di aver violato il dovere di riservatezza sul caso a cui era dedicato il docufilm andato in onda su Sky Atlantic nel 2017, girato mentre era ancora in corso il primo grado di giudizio.
La storia ripercorre essenzialmente la fase di investigazione che ha portato all’incarcerazione del colpevole. Di Yara non sappiamo praticamente nulla, se non qualche lettura del suo diario. Si parla di Mohammed Fikri, che ancora prima del ritrovamento del cadavere, viene indagato e poi scagionato. I cani molecolari, infatti, fiutano tracce di Yara nel cantiere edile dove lavora, e un’intercettazione telefonica in cui parla in arabo, poi rivelatasi errata e dunque priva di valore, sembra incastrarlo.
Si parla della PM, di sua figlia, si parla della moglie di Bossetti, ma praticamente non si parla di Yara. Il motivo? Perchè le uniche persone che davvero avrebbero potuto fornire informazioni sulla ragazza, i familiari ad esempio, non sono stati interpellati e hanno scoperto del film a cosa fatta.
Non solo un film su una tragedia, ma un film fatto malissimo
E dunque non riesco a non pensare alla famiglia, che non solo ha scoperto che sulla tragedia della figlia brutalmente uccisa è stato fatto un film, ma soprattutto che nessuno li ha interpellati.
Chiara Bono (Don Matteo, Che Dio ci aiuti) interpreta Yara, e per quei 3 minuti totali di riprese sembra anche cavarsela bene, mentre non si può dire lo stesso di molti suoi colleghi.
Un cast che non gode di una fama già maturata (e qui capiamo il perchè), ma che non è neanche particolarmente aiutato da uno script che riporta dialoghi totalmente piatti e scritti con assenza di sentimento o intenzione di coinvolgere lo spettatore.
Yara, era necessario?
Era davvero necessario parlare ancora della tragedia di Yara in questo modo? No, assolutamente no.
C’è stato, a margine del film, uno scontro tra famiglia e produttori, Andrea Pezzotta, il legale della famiglia Gambirasio, ha rivelato che non c’è stata collaborazione tra i genitori della ragazza e il regista Marco Tullio Giordana.
Non c’è stato nessun accordo, nulla. La famiglia lo ha scoperto a cose fatte, solo dopo hanno fatto una telefonata a me, ma a film già confezionato. Il film non l’ho neanche visto. I Gambirasio non hanno rilasciato alcuna dichiarazione, non lo fanno in altre circostanze figuriamoci in una situazione del genere“.
Pietro Valsecchi, principale produttore, ha invece affermato:
Non è andata così: come ho sempre fatto quando ho scelto di raccontare storie ispirate a fatti e personaggi reali, ho chiamato l’avvocato quando ancora stavamo scrivendo il film. In quell’occasione rispose che la famiglia Gambirasio non intendeva essere coinvolta e ovviamente ho rispettato questa decisione. A fine montaggio l’abbiamo richiamato nel caso avessero cambiato idea, ma la risposta è stata la stessa.
Dove sta la verità a questo punto poco importa: quel che è fatto è fatto, e a nostro parere non è stato fatto benissimo.