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Yellowjackets 3×08 – La personificazione del trauma

Le ragazze pronte per andare via in Yellowjackets 3x08

ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Yellowjackets 3×08 e sui precedenti episodi della serie tv

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Ok, Shauna ha perso completamente la testa. Dopo la sterzata della scorsa settimana, la trama del presente continua a fare passi in avanti. Nella recensione della puntata precedente avevamo sottolineato come questa, indietro da inizio stagione, stesse finalmente prendendo forma. Ora in Yellowjackets 3×08 la line narrativa presente è letteralmente esplosa, regalandoci una delle scene più raccapriccianti dell’intera serie tv. Diversi nodi vengono al pettine in questo episodio. D’altronde ci avviciniamo al finale e man mano tutti i piccoli misteri della stagione si stanno rivelando. E lo fanno in modo davvero beffardo.

Se delle rane che si accoppiavano avevano spiegato, nell’ultima puntata, le misteriose voci nei boschi, stavolta c’è una non-spiegazione, che diventa addirittura una spiegazione psicologica a fare luce sulla questione dello stalker. Non c’è, secondo Callie e Jeff, e pure secondo una rediviva Melissa (eccolo, finalmente, l’esordio di Hilary Swank aggiunta di altissimo livello al cast), alcuno stalker. E, incredibilmente, questa linea di pensiero funziona. Ed è proprio la coerenza di questo scenario a portare Shauna allo sbandamento, fino a mordere la carne viva della sua ex fiamma nei boschi. Ragioniamo con ordine, però, perché, intanto, sicuramente la prima considerazione da muovere sull’argomento è: ma Melissa non era morta?

L'attesissimo esordio di Hilary Swank  in Yellowjackets 3x08 nei panni di Melissa
Credits: Showtime

La rivelazione dello stalker in Yellowjackets 3×08

Questo grande mistero che si rincorre sin da inizio stagione sembra aver trovato una sua spiegazione. Esplosiva e geniale. Avevamo lasciato Shauna fuori casa della figlia di Hannah, con la mano salda sul suo prezioso coltello e nessuna buona intenzione all’orizzonte. La donna entra, quindi, nell’abitazione, e qui arriva la rivelazione shock: lì ci vive Melissa. Sin da inizio stagione ci era sembrato molto semplice ipotizzare che dietro la misteriosa figura dello stalker di Shauna potesse esserci lei. Una teoria che ha retto fino alla scorsa settimana, quando invece ci è stato detto che Melissa era morta. In realtà non è così: quando sono tornate, senza indicazioni temporali precise, la ragazza ha inscenato la propria morte, e poi si è ritagliata una propria vita normale proprio accanto alla figlia di Hannah.

Un bel colpo di scena, ma ciò che sorprende di più è quello che accade dopo. Melissa confessa di aver mandato il nastro di Shauna, ma non di aver lasciato il telefono in bagno, chiuso la sua cella frigorifera o tagliato i freni della sua auto. Né tanto meno di aver ucciso Lottie. C’è, quindi, un altro stalker che si è innestato? Sì e no, perché lo stalker di Shauna potrebbe essere Shauna stessa. Jeff e Callie avanzano, di fatto questa teoria, sostenendo che non esista alcuna minaccia. E questa linea di pensiero può avere parecchio senso perché ogni evento, singolarmente, possiede una sua potenziale spiegazione, come illustra Melissa. Però, dietro la semplice coincidenza, c’è di più.

Uno scenario del genere porterebbe a una sorta di personificazione del trauma. È come se Shauna abbia dato forma a un fantasma. Inseguendo un ipotetico stalker si è data una missione, e soprattutto un modo per sfogare la sua repressione. Più volte la donna ha dimostrato di essere a proprio agio nel caos, e una situazione del genere la galvanizza. Rincorrere gli spettri fa parte di un passato traumatico mai elaborato. La tensione al disordine è un tratto caratteriale ben presente in Shauna, sin da quando ha iniziato ad andare a letto col ragazzo della sua migliore amica. L’unione di questi due elementi porta a un trauma che si fa carne e ossa, e che Shauna può finalmente cacciare per placare la propria sete di sangue.

Cosa si sono trascinate davvero dietro le yellowjackets

Questa personificazione del trauma ci offre lo spunto per ragionare su un altro elemento che si rincorre dall’inizio della serie tv. Sin dalla prima stagione, abbiamo sentito le protagoniste affermare, preoccupate, di aver portato con se qualcosa/quella cosa dai boschi. Sulle prime si è pensato a qualcosa di sovrannaturale, ma la produzione Showtime ha puntualmente smentito qualsiasi approccio sovradimensionato al racconto, dimostrando come ogni mistero possedesse, poi, una sua spiegazione razionale. Da un po’, dunque, è chiaro che ciò che le ragazze hanno portato è il loro trauma, ma in Yellowjackets 3×08 c’è una sorta di teorizzazione di questo aspetto.

È Taissa, parlando con Van nel passato, ad avanzare questa ipotesi. A disegnare quello scenario che poi, effettivamente, si è verificato. Le ragazze, tornando a casa, si sono portate appresso il trauma e il peso di ciò che hanno vissuto e soprattutto di ciò che hanno compiuto. Del sangue di cui si sono macchiate. Della carne che hanno sacrificato. Questo vortice le ha travolte, e continua a scuoterle tutt’ora. Non è accaduto semplicemente che il passato, dopo un po’, sia tornato a bussare. Non se n’è mai andato realmente. Una parte di quelle ragazze non ha mai lasciato quei boschi. Li hanno portati, sotto forma di trauma, con sé. E per tutta la vita hanno dovuto fare i conti con questo fardello. E continuano a farlo.

Le ragazze intorno ad Hannah
Credits: Showtime

Il trauma non è solo quello di Shauna, ma è generalizzato

La parte di Yellowjackets 3×08 che colpisce maggiormente è quella in cui, sul finale, alcune ragazze si rifiutano di seguire i soccorsi per tornare a casa. Sembra semplicemente assurdo che ci sia anche un minimo di resistenza per tornare alla civiltà, ma a ben pensare è una situazione molto coerente. Chi resiste, infatti, è chi ha troppo da perdere. Taissa perderebbe se stessa, non sopporterebbe il pregiudizio per il suo amore per Van. Lì nei boschi può essere se stessa, cosa che poi non le ricapiterà più fino al nuovo incontro con Van, come abbiamo visto nel presente. E inoltre, qui Taissa può dare libero sfogo alla sua altra parte, abbracciando totalmente quell’oscurità che ciclicamente torna nei momenti difficili.

Più significativi sono i rifiuti di Shauna e Lottie, frenate anche loro dalla paura. Tra i boschi, le due hanno trovato quel potere che non hanno mai esercitato a casa. Possiamo paragonare il sistema delle ragazze a una sorta di ordine medievale, con la divisone del potere politico e temporale. Il re e il Papa in sostanza. Shauna, che si è presa di forza la leadership del gruppo come abbiamo raccontato qualche recensione fa. E Lottie, la guida spirituale della comunità. Entrambe hanno un ruolo di potere ben definito nella nuova realtà. Il ritorno a casa comporterebbe la perdita di questo privilegio, e soprattutto il rientro verso una forma a cui nessuna delle due si è mai adattata.

In questo modo si arriva al colpo di scena finale. A Taissa, Lottie e Shauna che vogliono rimanere, e quest’ultima che intende addirittura impedire alle altre di andare via. Per quale motivo? Il potere, alla fine si riduce tutto a quello. Nel presente e nel passato, ciò che Shauna vuole è il potere. Desidera il caos, muoversi nel disordine. E quando perde completamente la testa, come accaduto nel presente con Melissa, si rivela la vera Shauna. Quella crudele, cinica, ma soprattutto realizzata nell’essere l’unica a sapersi districare tra le pieghe del caos più assoluto.

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