Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sull’undicesimo e il dodicesimo episodio di Yellowstone 5.
Il tempo si è fermato. La lancetta tenta un timido scatto per poi arrestarsi, rimanendo sospesa tra il passato e il presente. Del futuro c’è solo un’ombra sinistra. Una proiezione ipotetica che ha il sapore della resa a un mondo che sta andando nell’altra direzione. Il tempo si è fermato, da quando è morto John Dutton. Tic, tic, tic: si è accartocciato sul suo corpo esanime. La tragica dipartita incombe e si ripropone costantemente, disvelandosi ancora e ancora attraverso prospettive differenti. Yellowstone rende così omaggio al suo antieroe, a due puntate dalla sua morte: una cronaca dei fatti e poi gli annunci, le reazioni, le metabolizzazioni, le conseguenze e ancora gli annunci. Indietro e avanti per poi tornare ancora indietro, scandendo il ritmo di un orologio ormai rotto.
Si arriva, così, al terzultimo atto di una delle migliori serie tv degli ultimi anni. Yellowstone non è più quella di un tempo, ma al di là dei passaggi a vuoto (e di alcune considerevoli forzature) ha superato degnamente la prova più difficile: l’addio di Kevin Costner alla serie. E il resto? Il resto è una marcia funebre. Verso un personaggio che ha scritto la storia di questo show, e soprattutto verso la fine della stessa. Visti i presupposti che avevano accompagnato il ritorno di Yellowstone dopo due anni d’assenza, aver creato le premesse per un ottimo finale è di per sé un risultato notevole.
Andiamo per gradi, con un presupposto: è complesso analizzare un doppio episodio del genere attraverso considerazioni globali. L’undicesima e la dodicesima puntata di Yellowstone, d’altronde, hanno offerto spunti molto diversi attraverso due puntate che hanno concentrato l’attenzione su tematiche e situazioni (nonché personaggi, per molti versi) diversi tra loro.
Mentre l’undicesimo episodio si è concentrato, in particolare, sullo sviluppo della trama direttamente connessa alla morte di John Dutton e a quella che non può non essere, a questo punto, il racconto più importante della serie, il dodicesimo ha offerto una prospettiva interessante a proposito di quello che potrebbe riservarci il futuro narrativo della saga. E allora, procediamo per elementi chiave.
Yellowstone – La via alternativa di Kayce Dutton
Un tempo sospeso dalle lancette spezzate, si diceva. La morte di John Dutton ha generato un fantasma che affonda le radici su dinamiche secolari che danno un’idea di profonda circolarità della storia. È questa, in fondo, la grande lezione degli spin-off 1883 e 1923 (ci arriveremo nell’ultimo punto), e questa è l’inevitabile conseguenza della morte del patriarca. I personaggi centrali di Yellowstone (i figli, soprattutto) sembrano aver già dato le chiavi di superamento dello stallo, ma il lasso di tempo trascorso è troppo breve per non portare ai costanti passi indietro che tornano sulle tracce dell’omicidio.
A tal proposito, è evidente che l’inatteso addio di Kevin Costner, combinato con lo scarso spazio ancora disponibile per chiudere al meglio le varie trame, abbia portato ad alcuni passaggi frettolosi e persino ad alcune forzature.
Rientrano nella categorie i dimenticabili passaggi della “superficiale” autopsia di John Dutton (piuttosto inspiegabile, soprattutto se si considera che l’uomo fosse il Governatore in carica del Montana) e le numerose tracce lasciate dall’organizzazione incaricata di uccidere l’uomo. Chi si aspettava un lavoro “pulito” è rimasto deluso, anche perché concentrare l’azione sulla simulazione di un infarto sarebbe stato sicuramente più opportuno. Elementi di demerito, per una serie del calibro di Yellowstone: tuttavia, è nello scacchiere complessivo che la serie continua a dimostrare di poter essere il gioiello televisivo conosciuto sette anni fa. Attraverso le azioni e le reazioni dei Dutton sopravvissuti, infatti, assistiamo al precipitare degli eventi che ci condurranno verso l’atteso finale della serie, atteso il prossimo 3 gennaio su Sky e Now.
Emerge, soprattutto, la figura di Kayce Dutton, spessissimo messo in ombra e sacrificato sull’altare dei personaggi più appariscenti di Yellowstone. Il personaggio, uscito dal solco del padre dopo aver cercato di rimarcare la propria individualità per una vita intera, è diventato l’anello di congiunzione ideale tra quello che i Dutton sono stati e quello che potranno essere in futuro. L’erede dei cowboy che cowboy non lo sarà fino in fondo, formatosi attraverso un percorso indipendente che rievoca a tratti quello della sua ava Elsa in 1883. Un Dutton tra i nativi, mai per un mero interesse personale ma per una condizione acquisita attraverso le esperienze di vita e sublimato nell’amore.
Non è un caso, allora, che il suo modus operandi prescinda dall’anima primordiale dei Dutton e ne tragga solo gli aspetti più personali, percorrendo una strada alternativa.
Nel momento in cui decide di risparmiare la vita dell’aguzzino che ha orchestrato l’omicidio di John attraverso l’esecuzione del cosiddetto “conteggio dei colpi”, Kayce chiude il cerchio, si allontana definitivamente dai dettami della figura paterna e le rende giustizia con una scelta che John non avrebbe mai fatto. Le motivazioni, oltretutto, segnano una distanza ulteriore: Kayce agisce in nome della sua famiglia, non del cognome che porta. Anche a costo di annientare quello che resta della sua morale. E lo fa, oltretutto, dopo aver disconosciuto Yellowstone come sua casa: non lo è più perché quel tempo è ormai finito. Più che un esilio volontario, tuttavia, è l’amara constatazione di una verità ormai innegabile.
Yellowstone – La resa di Beth e Rip
Nessuno la nega a se stesso, ormai. Come avevamo evidenziato nel corso della recensione delle puntate 9 e 10 di Yellowstone 5, d’altronde, la percezione dell’eredità paterna ha ormai assunto i contorni di una prigione riconosciuta. Vissuta fin dalla prima stagione, e oggi insostenibile. Insostenibile per Beth, la figlia accecata dalla sete di vendetta che si abbatterà inevitabilmente su Jamie, perennemente incapace di reagire agli eventi e soffocato dai fuochi di una storia che non ha mai saputo scrivere in prima persona: non resta altro che lo sterile esercizio di un potere vacuo.
La furia della donna, tuttavia, si sfuma nella lucidità con cui vede l’eredità dell’amato padre. Un onere impossibile, nonché il volo pindarico di un uomo incapace di scendere a patti col suo tempo. Nelle sue parole, allora, si ritrovano gli echi di una battaglia perduta in partenza, una missione contro i mulini a vento (incarnati dalla multinazionale destinata a mettere le mani sul Montana).
Combattere significherebbe prendere tempo, non vincere.
La prospettiva di Beth, non inedita, è concreta. La saga dei Dutton si concluderà qui, e non può sopravvivere se non tra i confini di una trincea ostinata, il ranch. Il ranch, o quello che ne rimane. Lo stesso vale, in fondo, per Rip e per la figura del cowboy, una razza in via d’estinzione. La poetica di Sheridan continua a rimarcarne il valore, abbinandola alla brutalità di un destino che sembra nascere e arrivare alla sofferenza in egual misura. Ne deriva, così, la sorprendente morte di Colby nel dodicesimo episodio di Yellowstone 5.
Ritenuta da alcuni critici un’eliminazione “gratuita”, raccoglie in realtà la testimonianza estrema di una visione dell’esistenza votata ai rischi e al sacrificio. La lezione non è nuova, ma trova una nuova espressione in un momento topico della serie attraverso un trauma improvviso e intriso di realismo. Ne consegue una domanda che tutti i personaggi sembrano farsi senza evocarla ad alta voce: ne vale ancora la pena? Vale ancora la pena essere un cowboy, oggi?
Se lo domandano i giovani, e chissà che per loro non esista un’alternativa. Ma anche gli anziani, per i quali non resta che guardarsi intorno per trovare un ultimo anelito di libertà . E poi c’è Rip, sospeso tra l’eredità e una vita ancora da vivere. La sua è la posizione più complessa e sfumata, ma il suo è un futuro da scrivere. Rip può fare suo il tempo, senza rinunciare alla propria identità : sì, ma come?
Yellowstone – 1883, al contrario
Non resta allora che guardarsi le spalle un’ultima volta, prima di rivolgere lo sguardo al futuro. Dal 2024 si torna così al 1883 e all’esperienza di Elsa Dutton, una giovane donna che visse abbracciando il presente con lo spirito di una visionaria. Lei sì, fuori dal tempo fino in fondo. Il suo riflesso, smarrito tra i vicoli di una storia soffocata dai propri vizi e da virtù spesso ingannevoli, si ritrova nelle azioni di Kayce, un uomo che ha finalmente trovato la forza di scrivere un capitolo indipendente fino in fondo. Ma non solo: 1883, prequel della serie, continua a essere evocato implicitamente. Si torna, così, alla volontà dei nativi di riprendere possesso di una terra che sentono di aver “prestato” ai cowboy molte generazioni prima, nonché al percorso invertito che dal profondo Sud dell’America aveva portato nel remoto Montana per poi tornare indietro in queste ultime puntate.
Chissà che non si celi nelle opportunità del Ranch “6666” la chiave per riproiettare nel futuro la saga dei cowboy. Una scelta, oltre che una necessità . Un ritorno ai tempi andati che potrebbe sopravvivere all’arroganza dell’autoritario presente con un linguaggio ancora affine. Lo capiremo tra pochi giorni, quando andrà in onda anche in Italia il finale di Yellowstone. In quel momento, tutto sarà dovrebbe essere più chiaro. Ogni tassello dovrebbe trovare il giusto posizionamento e si potrà finalmente superare la morte di John Dutton. Farlo davvero, una volta per tutte. Farlo ed essere liberi sul serio, dopo essersi illusi per una vita. La lancetta continua a scattare a vuoto: tra poco, però, tutto sarà finito. Ci mancherà , ma è giusto così.
Antonio Casu