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Zombieverse – Un po’ Takeshi’s Castle, un po’ Squid Game: recensione del nuovo reality di Netflix

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ATTENZIONE: procedendo con la lettura potreste imbattervi in spoiler su Zombieverse.

Solitamente una recensione andrebbe fatta nella maniera più oggettiva possibile, evitando di fossilizzarsi sul proprio gusto personale per scongiurare di incappare nella classica e banale equazione del mi piace = bello, non mi piace = brutto.
Inoltre, dovrebbe fornire sufficienti informazioni a chi legge in modo da dissipargli il più emblematico dei dilemmi: la guardo o non la guardo?
Per lo più recensire una serie è facile: ci sono ottimi attori che recitano una grande sceneggiatura guidati da un’eclatante regia. Anche nel caso in cui sia tutto l’inverso è piuttosto semplice: pessimi attori che recitano una terribile sceneggiatura guidati da una regia scarsa. Naturalmente ci sono le varie combinazioni che non staremo qui a elencare. Che sia il primo o il secondo caso chi recensisce si schiarisce le idee abbastanza in fretta e con un po’ di esperienza è in grado di vederci lungo. Altre volte, anche se piuttosto raramente, si rimane spiazzati poiché la serie, a un certo punto, prende una piega inaspettata sorprendendo anche il più scafato dei recensori.
Raramente, comunque, fare una recensione è difficile. Almeno fino a ieri quando Netflix ha deciso di complicarci la vita pubblicando Zombieverse.

Zombieverse 640×360

Zombieverse. E niente fu come prima. Davvero, gente. Ci troviamo di fronte a qualcosa di unico, inaspettato, sorprendente. Un esperimento geniale? Una presa per i fondelli colossale? A distanza di un giorno dalla messa in onda ce lo stiamo ancora chiedendo, cercando di riprenderci dallo shock.
Che cosa abbiamo visto? Che cosa sono riusciti a inventarsi i coreani questa volta? A memoria di essere umano una cosa del genere non si era ancora mai vista prima. E se ci sbagliamo, scrivetecelo nei commenti, saremo ben lieti di fare ammenda. Ma dalle nostre ricerche e dalla nostra esperienza questa è la prima volta che uno show del genere sbarca in televisione.
Di che si tratta? Bella domanda. Un reality? Una serie? Un po’ dell’uno e un po’ dell’altra? Probabilmente sì. Forse più il primo anche se sui vari canali viene definita come serie horror. Quel che è certo è che ci sono di mezzo gli zombie. E che zombie! Quelli belli, sanguinolenti e assassini che abbiamo già visto a inizio anno con la serie Non siamo più vivi, coreana anch’essa, presente nel catalogo Netflix. E se aveste notato una certa somiglianza è perché sono stati proprio i truccatori di Non siamo più vivi a creare i non morti su Zombieverse. Così come le coreografie sono curate dallo stesso staff di The Kingdom, non a caso due grossi successi zombeschi su Netflix.

Così, per non rifare qualcosa di già visto, i coreani hanno deciso di alzare l’asticella creando questo show che mischia quanto già visto nelle serie già citate con l’aggiunta del Grande Fratello. Una specie di Takeshi’s Castle incrociato a Squid Game. Un ibrido capace di lasciare, fino alla fine, il dubbio allo spettatore perché progettato e realizzato in maniera a dir poco superlativa.
A Seoul, è tardo pomeriggio. Diverse celebrità coreane, e una giapponese, si ritrovano a guardare dal dietro le quinte uno spettacolo televisivo, Love Hunter, nel quale perfetti estranei cercano la rispettiva anima gemella. A un certo punto una ragazza del cast anziché baciare il concorrente di fronte a lei lo morde dando il via all’apocalisse zombie.
Se siete fan delle creature rese celebri da George Romero avrete sicuramente visto Dead Set e la sua versione brasiliana Reality Z per cui avrete l’impressione di aver già visto qualcosa di simile. Ma l’impressione farà in fretta a svanire non appena i protagonisti usciranno dallo studio televisivo riversandosi nelle strade di Seoul per cercare di sopravvivere.
Nei vari episodi, sono otto puntate della durata di circa un’ora l’una, i protagonisti dovranno affrontare diverse sfide: rubare un’auto, fare benzina, fermarsi a un supermercato per fare rifornimento, sfuggire dal supermercato. E così via, in un crescendo di tensione e drammaticità dovute non soltanto alla situazione esterna ma anche a quella interna. I protagonisti, infatti, interpretano se stessi e non un personaggio. E non dovendo seguire un copione scritto sono liberi di improvvisare. O di essere se stessi mostrandosi al pubblico con i loro pregi e i loro difetti.

zombieverse
Zombieverse 640×360

Pur nella piena libertà d’azione i protagonisti sono costretti a seguire un percorso delineato da una sceneggiatura affinché lo spettacolo abbia una linea narrativa definita che non abbia mai cali di tensione. Questo percorso attraversa le varie situazioni nelle quali il cast viene inserito: la pompa di benzina, il supermercato, il villaggio, la casa del giornalista e infine il luna park. In ogni tappa i protagonisti si ritrovano a dover affrontare diverse sfide che, via via, diventano sempre più pericolose e angoscianti. Nel villaggio, per esempio, verranno drogati e usati come cibo per gli zombie mentre nella casa del giornalista impareranno a usare un’arma spietata come lo sparapatate che sarà utile nell’ultima e più complessa missione.
Le missioni vengono introdotte da una voce fuori campo e lo schermo televisivo, come in videogioco, fornisce allo spettatore informazioni sullo stato di salute dei partecipanti oltre alle varie tappe da affrontare. Qualcuno ce la farà, qualcuno no. Ma questo, come sanno bene tutti gli amanti degli zombie, fa parte del gioco.

Ecco, esattamente. Zombieverse è un gioco (ma il finale, ambientato un anno dopo?!). E lo si intuisce piuttosto facilmente quando, per esempio nei momenti incredibilmente drammatici, i protagonisti scoppiano a ridere dando la colpa al nervosismo, come un qualsiasi studente delle medie. Oppure è palese quando nessuno dei partecipanti prova a fracassare il cranio a uno zombie. Eppure sanno benissimo quale sia il problema e quale, conseguentemente, la soluzione che però non adottano mai.
Anche il montaggio, tipicamente da reality con la stessa scena vista da diversi punti diversi, aiuta a far comprendere che si tratti di un gioco. Nonostante ciò il dubbio, in certi momenti, rimane. Che si tratti di una serie? La produzione ha fatto credere loro che fosse un gioco e in realtà sono stati travolti dagli eventi e hanno perso il polso della situazione? Alla fine moriranno tutti? Una voce fuori campo ci avvertirà che per l’umanità non c’è più nulla da fare? Forse perché gli zombie sono fatti molto bene, forse perché alcuni dei protagonisti riescono perfettamente a interpretare le stereotipie dei personaggi ai quali siamo abituati da serie come The Walking Dead, Z Nation e tante altre che abbiamo visto in questi ultimi anni. Non sapremmo dirvelo con certezza fatto sta che in certi frangenti, come nella risiera abbandonata, ci siamo sorpresi a trattenere il fiato in attesa di vedere come sarebbe andata a finire (e certe prove ci hanno ricordato molto quelle del mitico Fort Boyard, gameshow francese ancora oggi in onda).

zombieverse
Zombieverse 640×360

Se vi siete mai chiesti come vi comportereste in un’apocalisse zombie allora Zombieverse è, probabilmente, quello che fa per voi perché più si avvicina a quella che potrebbe essere un’ipotesi di realtà. Attraverso le reazioni dei protagonisti alle situazioni in cui si trovano vi renderete conto che non potrete fidarvi davvero di nessuno e di quanto possa esser difficile far comprendere agli altri come dovrebbe funzionare un gruppo per poter sopravvivere alla fine del mondo.
Se invece siete di quei puristi per i quali solo gli zombie di Romero sono degni di esser visti, di quelli che per voi 28 giorni non sono nemmeno zombie, di quelli che i non morti non corrono, allora è meglio che passiate oltre perché le risate dei concorrenti, così come l’impossibilità di certe situazioni, vi irriteranno non poco.

Lo avevamo preannunciato all’inizio: sarebbe stata una recensione difficile. Abbiamo corso il rischio di lasciarci prendere la mano e affidarci al nostro gusto personale perché gli zombie sono i nostri favoriti e ogni volta che viene annunciato un film o una serie non vediamo l’ora che venga resa pubblica per poterla guardare. Così è stato per Zombieverse per la quale, in tutta sincerità, non eravamo pronti. Ci ha sorpresi, indubbiamente, ma non vi diremo se positivamente o negativamente per non influenzarvi. Ha i suoi pro e i suoi contro ma è un’esperienza che andrebbe vissuta perché fuori dai comuni canoni televisivi ai quali siamo abituati. Per questo ci sentiamo di consigliarvela. Prendetela come un reality che incontra una serie che incontra un esperimento (sociale?). Non troppo sul serio ma nemmeno troppo sottogamba: potrebbe stupirvi.