Quanto tempo perdiamo per cose inutili. Quanto tempo passiamo a crearci problemi anche dove non ce ne sono, a riempire di significato cose che non dovrebbero neanche tangerci, ad aggravare la percezione di situazioni – interiori o esteriori – che sarebbero risolvibili in molto meno tempo, e con molta meno fatica di quella che facciamo generalmente. Quanto tempo passiamo a litigare con noi stessi, a non impegnarci a capirci o a impegnarci fin troppo e in maniera sbagliata, finendo col cadere in loop autodistruttivi. E quanto tempo passiamo a non esprimerci. Passiamo un sacco di tempo così, ad amplificare. Sostanzialmente è perchè sappiamo di poterlo fare: ci raccontiamo che è giusto così, che ci serve, ma in realtà sono tutti atti di pigrizia esistenziale. Perchè abbiamo la percezione di poter cambiare le cose in qualsiasi momento, come se fossimo eterni, come se il tempo ci fosse dovuto. Ma cosa succederebbe se il tempo ci fosse negato, e neanche per colpe nostre?
Daniel Holden ha vissuto 19 anni fuori dal tempo. Condannato a 18 anni a vivere nel braccio della morte, per dei crimini che non aveva commesso: stupro e assassinio della sua fidanzata del tempo, Hannah. L’incubo peggiore di qualsiasi essere umano: vivere in uno stato di morte, interiore ed esteriore, e a tempo indeterminato. Un errore giudiziario gravissimo, che ha rovinato la vita di una persona che aveva l’unica colpa di essere debole. Se sei un ragazzo fragile, ancora in via di formazione, e ti rinchiudono in un interrogatorio di un giorno intero al fine di farti confessare qualcosa che non hai commesso, con lo scopo di chiudere il caso più in fretta possibile, c’è il rischio che confessi anche quel che non hai fatto. Se ti promettono che dopo averlo fatto potrai tornare a casa, e sei ingenuo a tal punto da crederci ed esausto a tal punto da cascarci, c’è il rischio che tu lo faccia. Specie se sei in uno stato di alterazione emotiva già di per se grave, dopo aver perso la ragazza che amavi.
Fatto sta che Daniel, fuori dal tempo, ha avuto 19 anni di tempo per pensare. Ma non agli errori che aveva commesso, perchè di errori non ne aveva commesso nemmeno uno salvo l’essere stato troppo ingenuo e preda di persone cattive. Ha avuto tempo di pensare alla vita che non stava vivendo, e non per colpe sue, e alla vita di Hannah che era stata tolta da chi invece la stava facendo franca. Ha avuto tempo di pensare a tutto, fin troppo tempo. Pensare, senza vivere, perchè era l’unica cosa che gli rimaneva. Il resto non lo poteva fare.
Ho scovato Rectify cercando serie simili a Prison Break, mi ha intrigato la trama e mi sono lanciato nella visione. Di simile a Prison Break, avrei poi scoperto, non aveva niente. La serie con protagonista Michael Scofield racconta un mondo frenetico, con una sua profondità ma prettamente mirato all’azione, all’idea di rivoluzionare le cose e a cercare disperatamente giustizia a suon di colpi di genio. Racconta il mondo della prigione ma in maniera più fumettistica, tra eroi, anti-eroi e pericoli ai quali scampare. Rectify invece è una serie esistenzialista. Non vediamo praticamente niente di scabroso nei flashback di Daniel, ma il modo in cui tutto ci viene raccontato ci fa vivere il disastro interiore in maniera più vivida ancora del banale vedere.
La nostra storia con Daniel Holden comincia nel momento in cui lui esce di prigione, dopo 19 anni, a seguito di nuovi dettagli venuti alla luce sul caso che lo vide ingiustamente condannato. Flashback a parte, quindi, noi non vediamo mai Daniel tornare in prigione. La narrazione si concentra sul ritorno di un uomo di quasi 40 anni a una vita che si era interrotta quando era ancora adolescente. Ritorna al suo paese, in attesa di nuovo giudizio, e comincia a fare i conti con un faticosissimo reinserimento sociale. Circondato da una famiglia che lo ama ma che fa fatica a capirlo, dopo tutti questi anni in cui Daniel è stato costretto a crescere senza poterlo fare in maniera sana e normale.
Negli occhi di Daniel tutto sembra fermo, apatico. Uscito di prigione dopo quasi vent’anni non ha l’aria di chi è uscito da un incubo e prova ad affacciarsi con speranza alla vita che gli è stata tolta. Daniel Holden ha l’aria di chi è uscito da un incubo per entrare in un altro incubo. Trasferirsi dalla non vita alla vita non è comunque facile, perchè la non vita era diventata la sua vita. Racconta che non ha mai sperato arrivasse il momento della liberazione, perchè se avesse coltivato questa speranza sarebbe morto molti anni prima. Ma Daniel non è mai morto.
E’ riuscito a sopravvivere, in qualche modo. Ce l’ha fatta malgrado tutto, malgrado un mondo che anche oggi che è fuori, continua a giudicarlo come fosse un omicida stupratore. E anche quando le cose cambiano, anche quando viene definitivamente a galla che probabilmente no, non è stato lui, non diventa più facile. Il tempo, quei 19 anni di tempo, non glieli restituirà comunque nessuno.
Quel tempo che Daniel non ha vissuto, però, possiamo farlo nostro.
Quello che Rectify racconta sulla vita dopo la morte di Daniel Holden è qualcosa di struggente, intenso, non facilmente digeribile ma anche pieno di punte di speranza, per chi ha voglia di coglierle. Daniel torna a vivere piano piano, e ogni piccola cosa è una conquista. Da una cena in famiglia a una partita ai videogiochi col fratellino adolescente che non ha mai conosciuto perchè quando è nato lui era rinchiuso, passando per una visita ai luoghi della sua infanzia a una cena con i nuovi amici, ex detenuti, conosciuti durante il programma di reinserimento. Da un tenero viaggio in macchina con sua mamma alle prime, difficilissime, frequentazioni amorose e ai primi, difficilissimi impieghi lavorativi, tutto è nuovo per Daniel, e tutto assume infinito valore. Non è la stessa cosa rispetto al vivere tutto passo dopo passo, ritrovarsi a 40 anni a dover fare tutto insieme, ma è qualcosa. E’ vita, o comunque qualcosa che gli assomiglia.
Daniel è un uomo distrutto, e difficilmente riuscirà a ricomporre i pezzi di se stesso in breve tempo. Ma vuole farlo, anche se non lo urla ai quattro venti. Un uomo brillante, gentile e profondo che avrebbe potuto fare, avrebbe potuto essere molto di più, ma che si ritrova a dover ricostruire la sua esistenza partendo da obiettivi semplici: provare a riconciliarsi con se stesso ancor prima che col mondo, innanzitutto.
Rectify è una serie forte, e soprattutto vera. Dotata anche di un notevole processo di costruzione della suspense e di una trama intrigante, sarebbe potuto essere un prodotto per tutti se solo non avesse voluto spingersi così in profondità nella delicata analisi dell’essere umano e di come sia difficile uscire da un evento traumatico distruttivo. Non ha voluto farlo, e va benissimo così. Non è una serie che tutti dovreste vedere perchè è una serie obiettivamente pesante anche per i caratteri più sereni: non ti porta semplicemente, ma ti obbliga a riflettere sulla vita e lo fa in maniera a tratti deprimente.
Una serie triste, pesante e che non punta mai a piacersi o piacerti: vuole solo indurti a riflettere su quanto tanti dei problemi che ti poni siano banali, con una terapia d’urto a tratti estrema: cosa succederebbe se la tua vita piombasse nell’oblio senza motivo, come è successo a Daniel Holden? Succederebbe che ti rimboccheresti le maniche e cominceresti a capire come sopravvivere prima, e come vivere poi: siamo esseri umani, siamo adattabili anche alle cose più nefaste, e Rectify ce lo sbatte in faccia. Non perdiamo mai neanche la speranza, però. Daniel Holden non lo ha fatto e noi, nelle nostre vite la maggior parte delle volte ben più facili e piene di problemi meno insormontabili, abbiamo l’obbligo di farlo a nostra volta. Quelli che oggi chiamiamo problemi, se ci succedesse quello che è successo a Daniel Holden sarebbero bazzecole. Abbiamo tempo, non sprechiamolo.