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Red Rose – La Recensione della serie del momento

Red Rose
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Quando nel 2019 uscì Marianne, serie tv francese di genere horror, ci trovammo felicemente costretti a confrontarci con una verità che non pensavamo si potesse più realizzare: le persone erano ancora capaci di fare horror. Quell’horror innovativo, diverso, che riesce a prendere i canoni del genere e a ribaltarli completamente dando vita a qualcosa di nuovo e bellissimo. Spostiamoci a qualche giorno fa, quando su Netflix è sbarcata Red Rose, nuovo prodotto britannico apparentemente di nicchia che punta tutto su uno strano modo di fare paura. Red Rose, come serie tv horror, funziona. Pur non operando una rivoluzione (e non desiderando nemmeno farla), la serie si ritaglia un posto di tutto rispetto sulla piattaforma di Netflix. Con qualche scivolone, sia chiaro.

La nostra recensione di Red Rose, la serie del momento che ha tentato una strada diversa, e in un modo tutto suo ce l’ha fatta.

Red Rose
Red Rose (640×360)

Bisogna dire che Red Rose partiva in qualche modo avvantaggiata: nel mare magnum dei teen drama americani all’insegna dei cliché e degli stereotipi, fa sempre piacere guardare un qualcosa che provi almeno a distaccarsi dalla norma. Creata da Michael e Paul Clarkson, prodotta da Eleven e distribuita su Netflix a livello internazionale il 15 febbraio, la serie è ambientata a Bolton, città del Lancashire, e trasuda Regno Unito da tutti i pori. Con quell’attenzione ai dettagli e quello humor tipicamente inglese che caratterizza le produzioni del genere, Red Rose si lancia in un racconto pieno di ombre e racconta la storia di un gruppo di adolescenti come mille altri. I ragazzi, ossessionati dai loro telefoni cellulari, si ritrovano coinvolti in un gioco più grande di loro quando uno di loro decide di scaricare un’app, l’app che dà il titolo alla serie.

Un’applicazione che premette di migliorare la vita degli utenti, una versione moderna e molto più pericolosa della lampada di Aladino, e che trascina i ragazzi in una lotta contro il tempo. Perché Red Rose nasconde più di un’insidia e mai insegnamento fu più calzante di quello che la serie britannica tenta di comunicare: chi troppo vuole nulla stringe. E soprattutto, ad ogni cosa c’è un prezzo. A volte salatissimo.

Red Rose (640×360)

Il primo punto a favore della serie, e forse quello più significativo, riguarda la scrittura dei personaggi. I protagonisti di Red Rose sono giovani, inesperti, spericolati, egocentrici, ossessionati dalla tecnologia e attaccati alle loro dinamiche di gruppo dove i più deboli si accodano inevitabilmente al branco, guidato dal più forte. Soli, spaventati ma sempre e comunque realistici, i ragazzi britannici di Red Rose sono veri, tanto concreti da risultare a volte insopportabili, e regalano una bella parentesi in un mondo di teenager televisivi che sembrano essere fatti con lo stampino. Addirittura, si percepisce sullo sfondo una scrittura intelligente dei personaggi, pensata e mai buttata lì tanto per regalare qualche battuta durante la visione. A guidare questo sconclusionato gruppo c’è Rochelle, che ha perso la madre da piccola e nasconde qualunque insicurezza dietro un muro di ironia e durezza; c’è Anthony, gentile e spigliato, che si butterebbe nel fuoco per i suoi amici e nasconde la propria omosessualità (che comunque non è un tema nella serie, e mai viene reso tale, dimostrando che ci sono dei prodotti attuali dove gli orientamenti sessuali dei protagonisti non vengono messi necessariamente al centro della scena). Abbiamo poi Taz, Noah, Jaya (la geek, l’esperta di computer). Comuni, normalmente normali.

Eppure la grande figura la fa Wren, migliore amica di Rochelle, un personaggio che all’inizio appare quasi di contorno e che nel giro di due puntate sgomita per uscire e regala una protagonista femminile nuova, stramba, e che fa sorridere da quanto è meravigliosamente imperfetta. Wren serviva, eccome se serviva: pensosa e mai troppo fuori controllo, la ragazza nasconde un profondo turbamento interiore, a partire da una madre sconclusionata e un padre assente che incontra di nascosto, ed è determinata a scoprire chi o che cosa si cela dietro l’applicazione che sta rovinando le loro vite. A qualunque costo.

Red Rose (640×360)

Red Rose non è una delle migliori serie tv horror in circolazione, ma fa un buon lavoro. In primis porta in scena una narrazione che appassiona, e che permette di godersi gli otto episodi che compongono la prima (e per ora unica) stagione senza annoiarsi neanche una volta. La serie riesce a fare paura nella misura in cui ci sono pochi jumpscare, quasi nessuna scena scontata e si punta tutto sul quel sottile senso di disagio che tanto può rendere un prodotto del genere vincente. Piano piano, senza che ne accorgiamo, Red Rose ci incanta e ci punzecchia, lasciandoci delle piccole ferite che fanno fatica a rimarginarsi. La colonna sonora è meravigliosa, i paesaggi sembrano usciti da una fiaba e la sensazione generale è la stessa che si prova mentre si mangia per l’ennesima volta il proprio piatto preferito. La soddisfazione c’è, eppure ogni volta sembra che si aggiunga qualcosa di nuovo.

Mettete in un pentolone Black Mirror, Marianne e Derry Girls; aggiungeteci i colori e le atmosfere di Sex Education ed ecco a voi Red Rose, la serie horror che non si prende troppo sul serio.

I passi falsi ci sono, è inutile negarlo. I cliché sono presenti, forse inevitabili, la recitazione ogni tanto lascia a desiderare e per i non amanti del genere Red Rose rischia di essere solo l’ennesimo prodotto teen destinato a non lasciare il segno. Soprattutto, la serie rischia di perdersi in mezzo all’enorme folla costituita dalla serialità adolescenziale, anche se un modo per evitarlo c’è: basta darle la giusta attenzione. Perché Red Rose qualcosa da dire ce l’ha, anche se in un modo tutto suo.

Qua non ci sono mostri, luci soffuse, porte che scricchiolano. Non c’è l’inquietante strega di Marianne. In Red Rose c’è luce, colore, gioventù: ci siamo noi giovani, e la nostra atavica paura di rimanere soli.

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