ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Reservation Dogs, la dramedy che ha debuttato su FX on Hulu, disponibile in Italia su Disney+!!
C’è un gruppo di amici, ragazzi squattrinati e arrabbiati della riserva, che prova a racimolare soldi per scappare in California. E c’è il profumo del Golden State sullo sfondo, con le sue rive spalancate sul blu dell’Oceano, gli orizzonti distesi e ampi, mai claustrofobici e chiusi, la vita che scorre al ritmo di musica, le strade assolate, i sogni che si realizzano, la felicità a portata di mano, visibile, tangibile. Reservation Dogs si aggrappa a un sogno. Indistinto, disperso tra la barbosa monotonia della quotidianità rurale dell’Oklahoma, ma comunque robusto, saldo. I protagonisti di questa serie tv, apparsa per la prima volta nel 2021 e disponibile in Italia nella sezione STAR di Disney+, sognano la California. La Mecca dei cuori giovani e smaniosi, il Paradiso dei sognatori, l’eden libero da tormenti e angosce, un inno vivente alla libertà da ogni forma di assillo. La meta ultima del viaggio, il punto di approdo, l’agognato nuovo inizio. Via dalle angosce della vita noiosa e piatta di tutti i giorni. Via dalle tradizioni vecchie e stantie della riserva. Via da una comunità rimasta troppo ancorata al passato, via da una realtà senza stimoli, priva di prospettive, narcotica per i giovani, anestetica per i sognatori. Ma soprattutto, via dal dolore. Sognare la California è per i protagonisti di Reservation Dogs una via di fuga. Un analgesico alle bruciature sulla pelle. Bear, Elora, Cheese e Willie Jack si danno un obiettivo per acquietare il dolore, per mettere a tacere quelle vocine interiori che li tormentano, giorno e notte, senza tregua. È un diversivo alla routine monocorde della vita nell’America rurale, un unguento lenitivo per tamponare le ferite da cui sgorga ancora troppa tristezza.
Reservation Dogs è un viaggio. Circolare, non lineare. Che conduce al punto di partenza, non all’estremo Ovest dell’assolata California.
È un percorso a ritroso, vorticoso, che segue il tratto irregolare di una doppia spirale a elica piuttosto che quello di una linea retta. Ma c’è tanto da raccogliere lungo il tragitto, davvero tanto. Reservation Dogs è uno dei teen drama più recenti di cui si parla meno. In Italia è disponibile su Disney+, ma la terza stagione non è ancora stata doppiata in italiano. È una storia della Generazione Z che avevamo bisogno di conoscere, perché ci mette in contatto con i drammi dei giovani, con le loro insicurezze, con l’angoscia corrosiva che ne spezza la fiducia. Ma è anche una serie tv molto divertente, una dramedy che dosa bene momenti totalmente esilaranti con spunti di riflessione più profondi. È una serie che guarda in basso, nelle voragini interiori, e trova sempre un motivo per cui valga la pena riemergere. L’attenzione mediatica attorno al prodotto è stata praticamente nulla, almeno da noi in Italia. Eppure, c’è Taika Waititi tra i suoi creatori, lo sceneggiatore che si è aggiudicato un Oscar per Jojo Rabbit. Si tratta di una serie profonda e molto intelligente. Parte dall’elaborazione di un lutto – la perdita di un amico che ha deciso di togliersi la vita – e affonda gli artigli nel dolore dei “sopravvissuti”, rimestando tra stati d’animo che si preferisce ignorare e verità che ci si sforza di silenziare. Ma il dolore trova sempre i suoi condotti d’areazione per venire a galla e propagarsi e i protagonisti di Reservation Dogs sono troppo giovani per maneggiare gli strumenti giusti per arginarlo.
Ed è qui che interviene la Comunità, che scalda i cuori come un abbraccio inatteso e fornisce gli scudi con cui attraversare indenni la vita.
Se distruggi la Comunità, distruggi l’individuo. Il senso di appartenenza è molto solido in questo show. L’essere nativi americani rende i protagonisti membri a tutti gli effetti di una comunità in cui non esistono i cattivi. In Reservation Dogs non ci sono villain. Non c’è il personaggio da sconfiggere, il bullo da combattere, l’adulto da ridimensionare. Gli unici demoni da disperdere sono quelli interiori. Il senso di colpa, l’inadeguatezza, le incertezze, la fragilità. Ma ogni individuo ha accanto la comunità, un’unica grande famiglia con cui muoversi su strade accidentate. Le tre stagioni di Reservation Dogs tracciano un percorso di crescita ben visibile. Bear e i suoi amici sono dei ladruncoli che saccheggiano camion di patatine per mettere da parte i soldi per andare in California. Perché è lì che sarebbe voluto andare il loro amico Daniel, ucciso forse proprio dall’inerzia e dall’abulia di certe realtà piatte dell’America rurale. Si danno da fare, attraverso strade legali e non, per realizzare il sogno di Daniel, come per una sorta di omaggio all’amico scomparso. O semplicemente per darsi un obiettivo, uno scopo nella vita che li tenga impegnati e che affoghi il dolore. Quando però riescono a scappare e ad approdare sulle rive del Golden State, i quattro ragazzi capiscono che la soluzione al dolore non è così automatica. Che ci si può spostare in latitudini e altitudini diverse, ma non è la distanza da casa a colmare i vuoti interiori. Così tornano a casa e provano finalmente a guardare in faccia il loro trauma. C’è tanto materiale in Reservation Dogs. Un’officina con tanti pezzi da mettere a posto, con tanti danni da riparare. È una serie che sa parlare con naturalezza, con la saggezza propria dei grandi capi indiani. È un balsamo per anime angosciate, una bussola che indica l’Ovest, ma che conduce al centro di se stessi.
C’è anche del soprannaturale in questo show. Quanto basta, a piccolissime dosi. Bear e sua madre vedono degli spiriti in carne e ossa, parlano e interagiscono con loro come fossero personaggi reali, anche se nessun altro può vederli. Sono le scene più divertenti quelle dei dialoghi tra Bear e il suo spirito guida, un vecchio guerriero morto nella battaglia di Little Big Horn, che si presenta sempre a torso nudo e con una sfilza di dubbi insegnamenti da sciorinare. La comicità di Reservation Dogs è originale e brillante. Non fa ridere a crepapelle e non è volgare e sboccata, ma sottile, arguta, penetrante. Le scenografie restituiscono quel senso di claustrofobico da cui i protagonisti vorrebbero scappare. Ma sono anche ampie e assolate, riconnettono gli individui con il mondo che li circonda, intercettano la bellezza della natura e le danno valore senza agghindarla più del dovuto, con scelte registiche semplici e naturali. Le musiche sono un altro grande punto di forza della serie. La colonna sonora di Reservation Dogs rispolvera pezzi che si combinano benissimo con le immagini che scorrono, dando un senso di leggerezza ed energia che ci mette in connessione con la storia e con i destini dei protagonisti. È un bellissimo teen drama, Reservation Dogs, e non dimenticheremo questa splendida esperienza televisiva e i suoi insegnamenti nascosti. Il percorso spirituale dei personaggi passa attraverso delusioni, fallimenti e lezioni di vita mai banali o scontate. E approda a un punto zero da cui ripartire. Col cuore più leggero e l’animo più consapevole.
Nella sterminata offerta di prodotti televisivi, questa teen dramedy spicca per forma e sostanza, per linguaggio e messaggio. Elogiatissima dalla critica e candidata alla vittoria di un Golden Globe, Reservation Dogs è tra i migliori teen drama che si siano visti nell’ultimo lustro. Tenera, profonda, empatica, è quel genere di serie tv che ti resta appiccicata addosso e ti connette ai destini dei suoi personaggi. Anche se se ne è parlato poco – o forse proprio per quello – Rez Dogs merita di essere vista col rischio di precipitare nel dolore dei protagonisti e di sentirsi parte insieme a loro di qualcosa di più grande. Lo show, che in Italia trovate su Disney+, sfugge alle dinamiche canoniche dei teen drama e presenta una scrittura più originale e appassionante, emotivamente forte ma leggera nel formato. Una serie tv che vale la pena attraversare, un viaggio da cui si esce rigenerati. Provare per credere.