Il talento è di Tom Ripley o degli attori che lo hanno interpretato? Vestire i panni di un mistificatore, recitare la parte di un personaggio che recita una parte. Gioco ad incastro e sfida attoriale. Il talento di Ripley è condiviso dal personaggio e l’attore che lo interpreta ma non solo. Il racconto del talento è del regista. Come riconoscerlo, come descriverlo, quale dei tanti Ripley far prevalere in una sequenza. Scegliere il talento del libro di Patricia Highsmith che ha dato origine a questa saga e combinarlo con la messinscena, scegliere l’attore che da il proprio volto all’impostore per eccellenza, il più celebrato dal cinema e ora anche dall’autoriale serie TV di Netflix Ripley (ne potete leggere qui la recensione). Mai come per questo personaggio c’era bisogno di attori con il fisico per il ruolo. La bellezza, il fascino impuro, l’elegia del non detto nella mimica del viso.
Il primo Ripley non si scorda mai
Alain Delon è il primo attore a calarsi nel ruolo di Mr Ripley nel film di René Clément Plein Soleil (Delitto in Pieno Sole è il titolo in italiano del film che potete vedere qui). Non è il film di esordio dell’attore ma è quello che gli aprirà le porte al successo. Per questo film il giovane semisconosciuto Delon si è imposto per avere il ruolo dell’ambiguo Ripley invece del ricco e indolente Dickie Greenleaf. Il carisma del personaggio aveva stregato anche l’attore che ha regalato al ruolo tutta la sua fisicità e sfrontatezza. Il pieno sole del titolo mette in risalto il suo fisico asciutto e atletico, gli occhi di ghiaccio sono lo schermo invalicabile tra Ripley e le sue prede. Il film è sicuramente datato e risente della lettura statica della vicenda.
Non c’è nessuna introspezione, tutto è lasciato al racconto e alle immagini del Mongibello immaginario dove Ripley spalleggia e asseconda Greenleaf (Maurice Ronet) rivestendo il ruolo di “cavalier servente”.
Non ci sono speculazioni su cosa potesse spingere Ripley ad appropriarsi della vita di un altro oltre alla mera finalità economica.
L’obiettivo finale è impossessarsi della fortuna del giovane rampollo e fare la sua stessa bella vita, senza obblighi. Delon interpreta Ripley senza ombre, prendendo letteralmente il significato del titolo, il pieno sole, la luce che ti abbaglia così tanto da non farti vedere che i contorni. Resta impigliata una sola grande sfumatura che riduce Ripley al solo essere inizialmente un truffatore, diventato assassino per necessità, che utilizza modi garbati e gentili per ottenere favori. L’ambiguità sessuale non è presente nella sceneggiatura e neanche nell’interpretazione. Un Ripley più bidimensionale con l’attenzione spostata sulla trama, sui delitti, il rischio di essere scoperto, la totale noncuranza dei crimini commessi, archiviati con la stessa facilità con cui riusciva a imitare la firma della sua vittima.
Tu vuò fa l’Americano
Matt Damon incarna il prototipo di americano. Biondo, mascella importante, fisico strutturato, sorriso aperto. Lui è il secondo Ripley che incontriamo e che trasforma il testimone dell’interpretazione di Alain Delon in un ruolo tridimensionale. Il talento di Mr Ripley (ne parliamo qui) di Anthony Minghella, quarant’anni dopo René Clément è l’anticamera per l’ultima rilettura della serie Netflix. Matt Damon con e senza occhiali. Quel gesto è come un interruttore che lo identifica nel bravo ragazzo americano anche un po’ naif che resta dietro le quinte per studiare il ruolo della sua futura vita.
Il film di Minghella è più aderente al libro di Patricia Highsmith, con la licenza autoriale di aver dato più risalto ad alcuni personaggi che nel libro erano solo tratteggiati, rendendoli funzionali alla comprensione di Ripley. Matt Damon è un Ripley simpaticamente americano, con una timidezza gentile che lo accompagna. Da dietro i suoi occhiali guarda il corpo di Dickie e lascia entrare la sua sottesa doppia sessualità, come la vita che ha deciso di interpretare. In altre sequenze lo sguardo di Matt Damon travalicherà gli occhiali perché il desiderio sfugge anche al talento di Ripley.
L’attore poteva sembrare una scelta poco appropriata per descrivere un personaggio così aperto a più interpretazioni.
Matt Damon non tratteggia Ripley in maniera spietatamente cinica, elabora la terza dimensione, l’implicito, l’omicidio non pianificato ma come unico modo per venire fuori da situazioni che avrebbero interrotto la sua strada verso il benessere. Il sorriso trattenuto quando la sua scarsità di mezzi traspare oppure una sua bugia ha una crepa sono le ombra che si delineano nonostante, anche in questo film, ci sia il pieno sole nella Bella Italia un po’ folcloristica che è quasi un altro personaggio della storia. Minghella e Damon portano nell’interpretazione le profetiche parole di Oscar Wilde ne “La Ballata del Carcere di Reading”…”Eppure ogni uomo uccide ciò che ama, …alcuni uccidono con uno sguardo di amarezza, altri con una parola adulatoria, il codardo uccide con un bacio, l’uomo coraggioso con la spada” .
Ripley/Damon ama sicuramente la possibilità di avere una vita che non sia la sua, diversa da quella destinatagli dalle sue umili origini e mancanza di un sereno tessuto familiare. Il Ripley di Alain Delon uccide solo per puro calcolo e non suscita alcuna simpatia. Il Ripley di Matt Damon ci fa sentire dispiaciuti per lui, come se uccidere fosse l’unica possibilità.
Ripley e la quarta parete
Andrew Scott sarebbe stato in bianco e nero anche se Steven Zaillian avesse deciso di girare la miniserie Netflix Ripley a colori. Andrew Scott ha contribuito in maniera sostanziale al successo della miniserie che ha facilitato la rinascita dell’offerta di qualità su Netflix (ne parliamo qui). Steven Zaillian ha spento le mille luci sulla Bella Italia da cartolina dei due film precedenti e ha scelto il bianco e nero per amplificare l’atmosfera sinistra, oscura del noir, quasi una preparazione agli eventi criminali. Andrew Scott ha interpretato Ripley dando un rilievo ben diverso dagli altri due film.
Ripley è una persona dimessa, un po’ noiosa, un piccolo truffatore che si trova oltreoceano per una pura casualità e che capisce di avere un’occasione per togliersi dal pantano in cui vive. Andrew Scott ha il compito di essere un Ripley senza qualità, succube delle sue stesse bugie, a salire e scendere le scale di Atrani, per indicazioni sbagliate, come fossero il simbolo dell’ascensore sociale a lui così ostico. Andrew Scott è riuscito perfettamente ad essere protagonista senza esserlo, uno spettatore di se stesso, si è messo dalla parte della quarta parete per restare imperscrutabile. Non ispira simpatia come Matt Damon o fascino come Alain Delon eppure quando uccide e poi deve faticare non poco per eliminare i corpi e le prove, speriamo che l’insignificante Ripley senza apparente talento, riesca nella sua impresa e se la cavi.
Andrew Scott è un Ripley quasi asessuato, senza reali capacità seduttive, viene spesso bloccato nelle sue manipolazioni.
Andrew Scott recita con gli occhi. Ripley si trova spesso ad esprimere un sentimento pari e contrario a quanto il resto del viso suggerisca. Ogni menzogna raccontata trova il giusto sorriso mentre l’espressione negli occhi racconta esattamente il contrario. Questo Ripley, che non si esclude possa avere un seguito, è come lo squarcio di luce nel quadro del Caravaggio che intitola un episodio della serie, un’estate vista con gli occhi dell’inverno, un’assenza di colore per dare spazio al chiaroscuro di un animo controverso. Non il pieno sole ma l’ombra totale di un uomo che voleva essere un altro ad ogni costo.