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5 momenti in cui abbiamo capito che Ripley è un’altra cosa


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La miniserie Ripley, con protagonisti Andrew Scott e Dakota Fanning, è l’ennesimo rimaneggiamento dell’opera letteraria omonima di Patricia Cromwell (come è cambiato il personaggio di Ripley nelle sue tre versioni?). Già adattato in precedenza nella straordinaria pellicola con Gwyneth Paltrow, Jude Law e un magnetico Matt Damon, Ripley torna imbrogliare, uccidere e mentire per raggiungere il suo scopo: la scalata sociale. Rimane la stessa ambiguità di fondo del personaggio, la stessa incertezza nel cogliere e comprendere a pieno le motivazioni e le pulsioni che lo spingono ad agire in un determinato modo. Ma se il film abbraccia la “dolce vita” italiana nei toni e nella narrazione, nel caso della miniserie sembra quasi di assistere a un thriller noir (potete vedere lo show sul catalogo Netflix qui).

Una versione affascinante e disturbante, girata in maniera eccellente e interpretata da un Andrew Scott da brividi nei panni di Ripley.

La scelta di una fotografia in bianco e nero è indice, d’altronde, del chiaro desiderio di volersi discostare dalla pellicola sopracitata. Nel film, infatti, il caldo sole estivo avvolge ogni cosa, lasciando poco spazio alle ombre del personaggio. Ripley è un truffatore ma, forse per via della faccia pulita di Matt Damon, appare meno inquietante psicotico di quello rappresentato nella serie tv. Andrew Scott, invece, scava in profondità nelle turpe psichiche del ruolo, sottolineando due aspetti fondamentali: l’ambizione vorace e senza scrupoli, la totale casualità dei suoi successi.

Una costante della serie tv, soprattutto man mano che gli episodi proseguono, è la facilità spesso comica con la quale Ripley riesce a trarsi d’impaccio. Più le sua azioni diventano efferate ed evidenti, meno la gente sembra accorgersene. Anche il detective che lo incalza nel suo soggiorno a Roma, finisce per cadere in una trappola da quattro soldi e a farsi infinocchiare da suoi trucchetti da prestigiatore.

In questo articolo abbiamo deciso di raccogliere cinque dei momenti più esemplificativi della miniserie, in cui l’essenza del protagonista si riversa sullo schermo segnandone il destino.

1) Il discorso in italiano

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Andrew Scott

“Everything about Tom is perfectly vague. Intentionally so, if you ask me. Or haven’t you noticed?”

. Marge nell’episodio IV La Dolce Vita

Durante la sua permanenza ad Atrani, Ripley studia meticolosamente Dickie e tutto il suo mondo. Idealmente diviso in tre atti, la miniserie ci introduce alla vita del truffatore newyorkese senza mai pretendere di entrare in empatia o meno con lui. Siamo noi a prendere atto delle sue azioni e a decidere che conclusioni trarne. Per la maggior parte del tempo, anzi forse per tutta la durata della storia, Ripley rimane un enigma. Di lui, del suo passato, della sua famiglia non viene detto assolutamente nulla. E i pochi frammenti che emergono non sono necessariamente la verità. Ripley è un insieme di personaggi, di identità. Uno, nessuno e centomila. Si adatta alla situazione circostante come un camaleonte, senza mai lasciar trapelare sentimenti ed emozioni.

Nello splendido monologo in italiano che Andrew Scott (ecco come l’attore ha reso perfetto il suo Moriarty) recita a casa del personaggio di Dickie, l’attore non muove un muscolo in più del necessario. Ogni singolo movimento è deputato a un compito ben preciso, senza mai deviare dal percorso stabilito. Ripley utilizza un tono di voce composto, affabile e neutro. La sua intenzione non è quella di affabularci ma di essere un uomo in mezzo alla folla, un tipo dimenticabile che passi inosservato.

2) La morte di Dickie

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Ripley e Dickie

“All I offered you is my friendship and respect and asked for nothing in return.”

– Ripley nell’episodio III Sommerso

Dopo mesi trascorsi in sua compagnia, Dickie diventa sempre più sospettoso e inizia a stancarsi della presenza di Tom Ripley ad Atrani. L’insofferenza cresce ulteriormente dopo due eventi simbolici che incrinano la maschera perfetta di Ripley mostrandone il marciume all’interno. Il primo di questi momenti riguarda un mafioso, che si avvicina Ripley e gli propone un affare che coinvolga anche Dickie. La vicenda turba il ricco figlio di papà, non più tanto sicuro della morale integerrima dell’amico. Il secondo evento avviene quando Dickie scopre il protagonista intento a imitarlo allo specchio, con i suoi vestiti addosso.

Una perversione ai suoi occhi che implica l’attrazione sessuale che Ripley prova per lui. Ignaro del fatto che è un sentimento molto più oscuro a muoverlo.

Dopo due mesi, Dickie quindi è deciso a godersi la sua interminabile vacanza italiana senza un terzo incomodo. Rivela dunque a Tom di essersi messo in contatto con il padre e di averlo messo al corrente dei fatti. Chiarita la situazione con il genitore, non c’è più motivo quindi per Tom di rimanere ad Atrani. Il suo compito è finito e prima di salutarsi, Dickie propone a Tom una gita in barca a Sanremo nel tentativo di fargli ingoiare più facilmente il boccone amaro.

Sulla barca presa in affitto, i due si allontanano parecchio dalla costa fino a ritrovarsi in alto mare. Ironico come, inizialmente, sembra quasi che sia Dickie a voler uccidere Tom e sbarazzarsi del suo corpo in mare e non viceversa. Come accadrà da lì a qualche minuto. Durante il confronto tra i due, Tom dimostra ancora una volta quanto sia abile nell’interpretare la vittima e nell’abusare dei sentimenti delle persone che lo circondano. Tom si ritiene un martire, anche quando sta tramando nuovi modi per rubare la vita a Dickie. Il protagonista rimane fermo nelle sue convinzioni, sicuro di avere ragione e che, quindi, anche l’omicidio sia un movente necessario a raggiungere i suoi scopi.

Infuriato e amareggiato per l’affetto e l’amore rifiutato, Ripley agisce con violenza, uccidendo Dickie e seppellendo il suo corpo nelle profondità dell’oceano.

La scena risulta, a tratti, persino comica, dimostrando come il protagonista non sia affatto un assassino nato ma uno psicopatico che agisce a seconda degli impulsi del momento. Uccidere Dickie, nascondere la barca, ritornare a riva, andare via da Sanremo. Ogni passaggio di questo primo omicidio è carico di tensione e stanchezza fisica, e un po’ di confusione. Ripley non sa bene cosa stia facendo, non ha un piano premeditato né tantomeno uno a lungo termine. La morte di Dickie avviene nel più assoluto silenzio, solo la colonna sonora e il rumore del mare accompagnano questa scena da brividi.

3) L’omicidio di Freddie Miles

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Freddie Miles

“His Rolex. His clothes. His Ferragamos. What else have you got, Tom? His money? His Picasso?”

– Freddie nell’episodio V Lucio

Nel film Il talento di Mr. Ripley (qui la nostra recensione), il personaggio di Freddie era interpretato dal compianto Philip Seymour Hoffman. Stavolta, nella miniserie, è Eliot Sumner – figliə di Sting – a vestire i panni dell’amico di Dickie. Contrariamente alla versione cinematografica, Freddie appare ancora più restio nei confronti del newyorkese arrivato all’improvviso in Italia. Fin dal loro primo incontro, Freddie lo studia come un insetto al microscopio annusandone le bugie e individuandolo subito come un bugiardo eccellente. Qualcosa nel suo atteggiamento posato ed educato non suona e ogni occasione è buona per pungolarlo e spingerlo al limite.

A Roma, nella seconda parte della storia, Freddie si reca in visita da Dickie, solo per scoprire che in casa sua c’è solo Tom. Nel bellissimo appartamento, l’amico si muove circospetto analizzando ogni singolo elemento e soffermandosi sullo straordinario cambiamento fisico che riguarda proprio Tom. Ripley veste le scarpe di Dickie, indossa i vestiti di Dickie e persino l’orologio. La maschera sta cadendo miseramente, tutt’al più dato che Freddie ha indagato sul suo conto e sa ormai quasi per certo che si tratta di un truffatore.

Ma ha sottovalutato la sua preda che, in men che non si dica, trasmuta in predatore.

Ripley lo colpisce alle spalle, poi lo uccide in maniera violenta e animalesca dando libero sfogo alla parte più ferale del suo animo. Una volta ucciso Freddie, però, bisogna anche sbarazzarsi del colpo. Per la seconda volta, dunque, il nostro protagonista si ritrova con un cadavere da occultare e un piano da escogitare in fretta per evitare che i sospetti ricadano su di lui. In maniera tragicomica e grottesca, Ripley trascina il cadavere fuori dall’appartamento, dentro l’ascensore e poi giù per le scale lasciandosi alle spalle una lunga scia di sangue di cui non si accorge minimamente. La dea bendata lo bacia di nuovo sul capo perché per tutto il tragitto che Ripley compie fino ad abbandonare il cadavere di Freddie in una macchina nella zona dei Fori, nessuno ma proprio nessuno lo becca in flagrante. Tranne il gatto.

Il peloso osservatore è l’unico testimone, insieme a noi, dello scellerato secondo omicidio di Tom Ripley. Nessun talento da killer, nessuna mente geniale all’opera. Solo un truffatore ambizioso che riesce a cavarsela nuovamente, probabilmente perché gli altri sono solo troppo stupidi. Persino l’uomo che lo incrocia per strada non gli presta particolare attenzione e nessuno nel palazzo esce di casa in modo da accorgersi del macello che ha lasciato in giro. Cinematograficamente parlando è un momento altissimo, incalzante e teso. Narrativamente, sottolinea l’incompetenza del protagonista.

4) Il confronto con Marge

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Dakota Fanning

“He knew he wasn’t coming back. Is that why? Did he already know what he was going to do to himself?”

– Marge nell’episodio VIII Narcissus

Anche nel caso del personaggio di Marge, le due attrici che l’hanno interpretata nelle versioni più recenti hanno optato per drastiche direzioni differenti. La Marge della Paltrow appare più ingenua, dolce e superficiale, arrivando persino a provare timore nei confronti di Ripley. Dakota Fanning, invece, tratteggia un personaggio femminile più freddo e spigoloso, una donna al tempo stesso sicura e diffidente. Man mano che la trama di Ripley avanza (qui potete trovare la nostra recensione), Marge ha sempre più dubbi sul ruolo dello straniero venuto da New York e sull’influenza che esercita nel fidanzato. Il periodo di solitudine ad Atrani, però, la segna nel profondo, rompendo la corazza di rigida sicurezza ed esponendola all’incertezza e al dubbio.

Lei, che prima di tutti aveva intuito la natura malevole di Ripley, finisce per cadere come ennesima vittima della sue rete di bugie. Nel confronto finale con il personaggio, le menzogne si intrecciano l’una all’altra dipingendo un quadro che salva Ripley senza che lui faccia alcunché. In cerca di un ago e filo, Marge trova l’anello di Dickie nascosto all’interno di una scatolina. Dopo aver chiesto a Tom spiegazioni, quest’ultimo inizia una mirabolante arrampicata sugli specchi che neppure Spider-Man sarebbe in grado di eguagliare. Sentendosi braccato e messo all’angolo, Tom è pronto a uccidere di nuovo ma accade l’inaspettato.

Dickie si è suicidato e l’anello lasciato a Tom Ripley è una prova evidente della decisione presa. Tutto torna no? Insert emoj di schiaffo sulla faccia.

La scena si chiude con il posacenere di vetro poggiato sul tavolino mentre le note di “Il cielo in una stanza” risuonano sottolineando la vittoria finale di Ripley. L’ultima truffa, la più grande mai compiuta. Anche Marge non ne è rimasta immune, convincendosi che Dickie, preda della vergogna, abbia davvero deciso di togliersi la vita. Così, la violenza fisica di Ripley non ha più motivo di scatenarsi, non c’è bisogno di versare il sangue di un’altra vittima sacrificale. Marge, inconsapevolmente, si è salvata.

5) La scena finale

Andrew Scott

“Tom Ripley. You are a very hard man to find”

– Il detective nell’episodio VIII Narcissus

Due uomini siedono meditabondi. Entrambi fissano due opere d’arte, entrambi rimuginano sui loro peccati e sulle loro vittorie. Il primo è Caravaggio. Il secondo è Tom Ripley, ossessionato da Caravaggio stesso. E mentre Tom scruta il Picasso, simulacro della sua anima dannata, noi osserviamo la strada intrapresa per arrivare a questo momento. Fotogramma dopo fotogramma, Ripley ripercorriamo la truffa, gli omicidi, le bugie e l’ambizione di un personaggio che vive in uno stato di grigio perenne. Come la fotografia scelta per raccontarne la storia.

A ogni momento del viaggio di Tom in Italia si alterano inquadrature ravvicinate del quadro. Tratti spigolosi come il cuore del personaggio, privo di empatia e amore. Per Dickie, Tom ha provato invidia, euforia e ossessione ma mai amore. Unito a doppio filo con il pittore che uccise divorato dalla rabbia, anche Tom si è macchiato le mani di sangue eppure non c’è una singola briciola di rimorso sul suo volto. Un finale perfetto che esalta le due caratteristiche principali di questa miniserie: arte e musica. I quadri osservano Ripley giudicandolo, soppesandolo ma non possono intervenire in alcun modo. La colonna sonora, al contempo, aumenta il ritmo e ci incalza fino all’ultima scena.

Quella in cui l’inganno è rivelato ma è ormai troppo tardi.

Chi è dunque Tom Ripley? Un nome ma volti diversi. Personalità create appositamente per farsi strada nel mondo, per rubare il palcoscenico salvo poi tornare indisturbato dietro le quinte. Di fronte all’evidenza dello sbaglio commesso, il detective si rende per la prima volta conto di essere stato gabbato. In maniera tanto furba quanto assurda vorremmo aggiungere. Si, perché se Ripley è un ingannatore di certo non è uno dei migliori. Più e più volte, nel corso della storia, si palesano situazioni in cui basta gettare un pò di fumo negli occhi per salvarsi da una cattura certa.