Netflix lo ha fatto. Dopo averci fatto storcere il naso rinnovando Serie Tv che non lo meritavano e cancellandone altre che invece un rinnovo lo meritavano eccome, la piattaforma streaming ritorna in forma smagliante in una produzione che tutto sembra, tranne che sua. Guardandola, si ha l’impressione di avere a che fare con un colosso HBO, uno di quelli che trionfano ai Golden Globe e agli Emmy facendoci riscoprire il gusto della raffinatezza, dell’eleganza, e non più solo dell’intrattenimento.
Perché Ripley è molto altro. E dell’intrattenimento, al contrario, non se ne fa niente. E’ talmente tanto lontana dal genere di Netflix che, in certi punti, potrebbe perfino apparire monotona, quasi noiosa, colma di momenti vuoti che sembrano non voler mai portare da nessuna parte. Ma stavolta, al posto di ghiotto intrattenimento e certezze, Netflix decide di fare un passo avanti, dimostrando che sa ancora essere quel gigante dello streaming che tutti conosciamo ma che a volte essa stessa ci fa dimenticare.
Ispirata al romanzo di Patricia Highsmith e alla pellicola Il Talento di Mr. Ripley, la nuova trasposizione torna in una nuova forma. Una forma che, paradossalmente, tra le tante cose, descrive l’Italia forse più di tante altre produzioni create da noi medesimi. Come si suol dire, a volte gli sconosciuti sanno intercettarci più di chi ci conosce da una vita. E forse è proprio questo sguardo esterno, il motivo per cui in Ripley l’Italia non è solo un’ambientazione, ma una persona.
Si tocca l’arte, la cultura, lo sdegno e l’invidia. Si toccano tutti i tasselli che costituiscono l’essere umano e la vita. E senza mai mancare di raffinatezza
Andrew Scott torna in questa nuova produzione ricordandoci ancora una volta quanto sappia essere eclettico e mastodontico. Di sicuro, una certezza per il futuro delle produzioni. Non c’è scena in cui lui non vi sia, non c’è cosa che guardiamo senza che a mostrarcela non sia lui. E’ il nostro sguardo nei momenti più tetri, ma anche in quelli che accendono una luce. Come nel caso dei dipinti del Caravaggio, la musa di Tom, forse perfino il colpevole innocente delle sue azioni. Guardando Davide con la Testa di Golia, Tom immagina. Noi, che siamo dall’altro lato dello schermo, non sappiamo cosa. Ma capiamo. La vediamo negli occhi, quella rabbia. Quell’invidia nei confronti di chi tiene per sé tutta la fortuna, mentre alti muoiono in condomini lerci e decadenti. Come Tom.
Rispetto all’opera cinematografica, il Tom Ripley che conosciamo è diverso. Più cupo e sinistro, ma anche più leggibile. Saranno le numerose ore passate in sua presenza, ma in questo caso siamo più consapevoli della persona che abbiamo di fronte. Che mai, in nessun caso, per noi resta solo uno psicopatico. Per prima cosa, infatti, Tom è un mendicante di glorie. Non accetta più il suo status inferiore, soprattutto adesso che ha conosciuto il mondo di Dickie. Quel senso di inferiorità lo assilla la notte, ogni volta che sente di essere fuori posto e fuori luogo, inadatto a qualsiasi contesto.
Quell’invidia, che si traduce in atti osceni, diventa così il fulcro di ogni cosa. La spinta decisiva per viaggiare per l’Italia. Ogni viaggio di Tom non si traduce solo in scappatoie, ma anche e soprattutto in nuove vite. Seppur la stessa persona, Ripley conosce ogni volta qualcuno di nuovo. Qualcuno che, chissà poi come mai, non riesce mai a fidarsi davvero di lui. Perché, come spiega in modo sottile la Serie Tv Netflix, Tom è destinato sempre a essere un libro aperto di ambiguità. Ed è, dunque, destinato a rimanere solo.
Piano piano imparerà a essere bravo, a misurare ogni mossa razionalmente, tanto da riuscire a ingannare le prime persone che avevano dubitato di lui. Ma per quanto questo accada, alla fine Tom abbandona la scena, di nuovo, circondato da quella solitudine che lo perseguitava a New York. Adesso, con lui, c’è solo Caravaggio. Quell’eredità italiana che gli ha permesso, nel modo peggior possibile, di prendersi ciò che invidiava, seppur non cambiando mai alcuna virgola in lui. A sostegno di questa ragione, nella Serie Tv manca qualsiasi tipo di rapporto sentimentale, presente invece nella pellicola. Questa mancanza è una ricchezza in Ripley, perché asseconda ancora una volta l’apatia di un uomo che non ha tempo per amare, neanche per finta o per convenienza.
Ogni scena in Ripley viene vivisezionata con estrema cura, non lasciando nulla al caso. E’ come se passassimo le intere 24 ore con Tom. Lo vediamo, perfino, ripulire con attenzione le scene del crimine. Lo vediamo cercare di salire in barca, senza mai alcun taglio. Ripley non sembra infatti una Serie Tv che al momento del montaggio ha sacrificato molto. E’ come se tutto fosse rimasto cristallizzato, fermo e inerme. Perché in Ripley tutto è importante, perfino quei momenti che all’apparenza sembrano superflui e che forse, attenzione, lo sono anche. Ma si vive anche di contraddizioni di paradossi, e forse questo significa che anche il superfluo ha una sua importanza, quando si vuole raccontare una storia come questa.
Perfino l’Italia, qui, non fa sconti. Guardata in bianco e nero, appare nostra come ai tempi di Fellini, di Antonioni. C’è quell’accuratezza storica, c’è quell’impatto visivo che ti fa sentire a casa, quasi rappresentato. Non mancano i dialoghi tipicamente nostri, ma che non cadono mai nei cliché. E questo lo si vede bene anche grazie alla scelta di alcuni attori italiani, come Margherita Buy e Maurizio Lombardi. Se la prima rappresenta l’accoglienza e la dolcezza, il secondo rappresenta la nostra ironia. Il tipico umorismo italiano, che rivediamo ancora una volta perfino nelle reception degli hotel.
Ogni dettaglio italiano viene qui riportato fedelmente, dando la possibilità a Ripley di raccontarci nel modo più puro e raffinato. Passando dalla colonna sonora caratterizzata dalle canzoni di Mina, fino ad arrivare ancora una volta a Caravaggio. Guardando le cattedrali e i monumenti, fino ad arrivare all’attualità di quel periodo storico, riportata fedelmente nelle pagine di un quotidiano. Ripley raccoglie la nostra eredità chiedendoci il permesso, promettendoci che non sarà un altro stupido stereotipo. Ed eccoci qui, adesso, con l’immensità di una Serie Tv straordinaria in cui, per un attimo, tutti torniamo indietro fino agli anni ’60, sentendo di viverli come se ci fossimo stati per davvero.
Come non vi sono stereotipi italiani, ma solo tradizioni – importante differenza, spesso troppo confusa nelle produzioni – non ve ne sono neanche sul lato dei personaggi principali. Ognuno di loro gode di una propria caratterizzazione fine solo a se stessa. Non ricorre nessun tipo di similitudine con la pellicola neanche in questo caso. Marge, Tom e Dickie sono estremamente diversi rispetto a quanto già visto. La seconda, ad esempio, attraversa una fase diversa rispetto al primo personaggio che, inizialmente, si mostrava generosa e gentile con Tom per poi cambiare idea verso la fine. In questo caso, Marge non si fida di lui fin da subito, per poi cambiare idea solo alla fine. Merito della razionalità del primo che, con estrema pacatezza, ha saputo mettere in fila comportamenti e azioni all’apparenza equilibrate e normali, quasi innocenti.
Quella fiducia Tom ha dovuto guadagnarsela, ma senza mai desiderarla. Lo ha fatto solo per sopravvivenza, per risparmiarsi un’altra fatica sul cammino. E come è diventato bravo, Ripley. In questo senso, la Serie Tv Netflix dimostra dunque una profonda evoluzione dei suoi personaggi. Non cambiano, ma imparano ad adeguarsi. Diventano più scaltri, nel caso di Tom, e più arrendevoli nel caso di Marge. Inizialmente concentrata sulla verità, la donna decide a un certo punto di rassegnarsi lasciando alle cose la possibilità di andare come devono.
Netflix sa farlo ancora. Distribuire opere straordinarie, intendiamo. Sa ancora stupirci, e non solo sputare ore e ore di intrattenimento piacevoli, ma non sempre mastodontiche. Unendo puntini su puntini e non lasciando fuori neanche un dettaglio, Ripley vince la propria sfida, facendo trionfare così anche la piattaforma in cui è nato che, finalmente, può dire di esserci ancora senza alcun timore di smentita. Perché di opere così mica ne crescono una ogni secondo. Ma stavolta è nata, ed è tutta di Netflix.