Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla quarta stagione di Peaky Blinders e il finale di Romanzo Criminale
Questa è una storia vera. Una storia di quelle brutte, terribili. Inizia male, continua peggio e finisce nel sangue. La puzza non si leva mai dai vestiti, maledetti stracci firmati. È l’odore fetido della morte che ti entra dentro e non ti lascia mai, fino all’ultimo fottuto respiro. Si mischia all’olezzo del tabacco e dell’alcool. Birra italiana o whisky irlandese, non c’è differenza. Questa è una fuga, un’evasione. “Liberi liberi”, pensavano. Era un urlo, soffocato per troppo tempo. Era la rivoluzione di chi non ne poteva più e voleva farsi un nome, altisonante. Ma nessuno li ascoltava. Erano gli ultimi, i reietti. Non esistevano. Carne da macello, anonima. Confinati in un quartiere morto, sepolto e fuori dal tempo. Small Heath e Magliana: ieri come oggi, sempre in mezzo ad una guerra. Sognando Roma, Londra, il mondo intero. Prendendo la strada peggiore, la più violenta. Hanno vinto, perso, non ci hanno più capito niente. Figli dell’anarchia, protagonisti di una storia vera. Il Romanzo Criminale dei Peaky Blinders.
Avevano scommesso tutto su loro stessi. Sapevano di non poter contare su nessun altro. L’unico cavallo vincente portava il loro nome. Un nome affilato come un rasoio, da urlare nelle strade vuote di una città abbandonata a se stessa. Una corsa sfrenata, senza leggi. L’unico maledetto giudice era il piombo. Un’esplosione di vita distorta, nel buio della morte. Una vendetta, nei confronti di una società che li aveva mandati alla deriva. In trincea, ai margini. Ma gli ultimi volevano essere i primi. Fuori dal ghetto, per sempre. Grazie ad una botta di culo, per una volta. Il riscatto per il barone, un carico d’armi imprevisto. Si erano organizzati, avevano fatto il colpaccio. La batteria era diventata una banda. Per non parlare del gruppo d’allibratori, gang sempre più a testa alta. Insieme, trascinati dal carisma del Re. Il fortino, un buco nel muro per ratti da annientare, si era trasformato in un regno. Il regno in un impero, il sogno in realtà. In cima, finalmente. L’effetto domino abbatteva chiunque si mettesse sulla loro strada, tutto il resto era noia.
Lo Stato li osservava, li contrastava, li usava. Pedine di uno scacchiere oscuro, alla mercé dei servizi segreti deviati. I paladini della legalità parlavano la stessa lingua dei delinquenti, ma volevano altro. Usavano le stesse armi contro obiettivi diversi. Era un compromesso, necessario. Un male, necessario. La guerra civile veniva minacciata, è stata scongiurata. Seppure abbozzata, a tratti. L’ago della bilancia oscillava pericolosamente, il potere non era più libertà. Diventava una catena, per tutti. Churchill sorrideva, il Vecchio non tramontava. “Liberi liberi”, sognavano. Macché. Un occhio chiuso, l’altro in lacrime. Reazionari, i rivoluzionari. L’impero era un castello di carte, da maneggiare con cura. Gli ultimi saranno sempre ultimi, anche se in testa. Vincevano o perdevano, chi lo sa più. E i pericoli si nascondevano ovunque, si moltiplicavano, li accerchiavano. Parlavano in russo o in siciliano, erano campani o irlandesi. Erano amici o nemici? L’impresa era avvolta in una coltre di fumo, senza colore politico. Immersa in una notte che non finirà mai. Offuscata, dai vizi sedanti.
Questa non è una storia a lieto fine. I Re muoiono ammazzati sotto casa, rimangono soli, fanno a pezzi il gruppo. Amano, odiano, tradiscono. Devastano una società devastata, in un loop senza fine. Si vestono bene, perché non hanno di meglio da fare. L’ostentazione del potere è l’unico potere, è l’esercizio di vanità del male. Li troverete sepolti in basilica. Abbandonati, in una cattedrale nel deserto. La società li inglobava, li usava, li fagocitava avidamente. E loro facevano altrettanto, privi di pietà o con un sorriso malinconico dipinto sul viso. Questa è la storia dell’onorevole Shelby, nato Libanese e “morto” Dandi. E del signor De Angelis, ucciso dall’onnipotenza che annichilisce l’astuzia. Burattini, burattinai. Ricchi, potenti e temuti. Rispettati, a suon di soldi. Soli, nell’amore perduto o comprato per una vita. Abbattuti, dal sussurro mortifero dei fantasmi. Senza speranza, senza più sogni. Sopravvissuti, morti da sempre. Loro come Arthur, il Bufalo. Come Polly, il Freddo, John, Patrizia, Ada, il Sorcio e chissà chi altro. Ognuno di loro non ha più un nome, mai altisonante. Morti, anche se non l’abbiamo ancora visto. “Liberi liberi”, davvero. Figli dell’anarchia, dimenticati dalla Storia dentro una brutta storia. Una di quelle terribili iniziata male, continuata peggio e finita nel sangue.
Antonio Casu
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