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Famo domani

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E mo’? S’annamo a pija’ Roma?” “Famo domani

La colpa è indiscutibilmente di Stefano Sollima che ha dipinto ritratti criminali con la sadica intenzione di creare empatia tra essi e lo spettatore. Non per niente già dal titolo Romanzo Criminale, come il film e il libro prima di essa, pone l’enfasi sul carattere romanzato dell’opera.

Così, nel mentre le musiche, la fotografia e il modus operandi della banda restituiscono un’immagine estremamente accurata della malavita romana tra gli anni Settanta e Ottanta, non si può dire altrettanto dei personaggi, a cui è stata conferita una sfera emotiva e psicologica molto più complessa di quella che si addice ai corrispettivi realmente esistiti.

Ciò vale una volta di più per la figura del Freddo.

Il Freddo è colui che più di tutti, in Romanzo Criminale, riesce a penetrare lo schermo e a fare tesoro del punto di vista dello spettatore. O, viceversa, è lo spettatore che guarda agli eventi della Serie attraverso i suoi occhi. E ciò avviene perché è un criminale nella stessa misura in cui è un idealista. La presa di Roma, per lui, rappresenta anzi tutto una rivalsa sociale nei confronti di un ambiente che l’ha relegato ai margini senza possibilità di appello (“e a me nun me va de fa’ i favori a chi non mi s’è inculato per una vita. E si me ribello me sbatte pure ar gabbio”).

È evidente che si tratti di un criminale atipico, anni luce distante da Maurizio Abbatino, il suo alter ego in carne ed ossa (uno che ha la brillante idea di minacciare la famiglia del pm al processo in cui è imputato). È evidente in ogni sguardo, ogni silenzio assordante, ogni battuta iconica, come quel “famo domani” pronunciato a Fierolocchio, al termine della prima puntata, e che incarna appieno la sua filosofia. In quel caso faceva riferimento al prendersi una pausa, a rifiatare, prima di buttarsi a capofitto nella più ambiziosa scalata criminale mai tentata a Roma. Ma col tempo, famo domani si è tramutato in un mantra che, più o meno consapevolmente, ha scandito i tempi della sua vita.

Famo domani” riecheggia ogni volta che il destino l’ha posto dinanzi a un bivio, divenendo il manifesto spirituale della sua esistenza, di tutto quello che poteva essere e che non è stato.

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Perché Freddo è sicuramente il più intelligente, il più razionale e il più riflessivo tra i membri della banda, ma anche quello dotato di un rigido codice morale (è appunto un incrollabile idealista) a cui si attiene senza riserva alcuna. Così, se da un lato è il primo a rendersi conto dell’utopia che lui, Libano, Dandi e gli altri stavano inseguendo, dall’altro gli è impossibile distaccarsene completamente, in virtù di principi di lealtà che gli appartengono, ma che sono altrettanto utopici. Nel Freddo, più che in ogni altro personaggio di Romanzo Criminale, l’es e l’io si scontrano senza soluzione di continuità. Ma alla fine prevale sempre l’es. Prevale sempre il famo domani.

Pertanto, questa è la metafora di un’esistenza fatta di sliding doors gettate al vento, a causa di un conflitto interiore che l’ha indotto a scegliere sempre, sistematicamente, il percorso più spinoso. Nel suo destino avrebbe potuto esserci una vita modesta e anonima, ma felice e in compagnia di Roberta. Invece il forte legame con il Libano lo spinge a vendicare quest’ultimo e il loro sogno di gioventù. Avrebbe potuto essere con Roberta, al parco, col loro bambino. Invece lui è quello che guarda di nascosto, di sfuggita, evaso da prigione letteralmente come un appestato.

Anche dopo aver vendicato (ma sarebbe più corretto dire “creduto di vendicare”) il Libanese avrebbe avuto un’ulteriore occasione di sfuggire al suo destino, ma ancora una volta resta fedele alla banda, cercando di rimettere insieme quel che ne rimane. Non come Dandi, con l’ambizione di essere il nuovo re di Roma, ma in nome di un ideale in cui neanche credeva più da tempo, da prima ancora che l’amico fraterno venisse ammazzato sotto casa. A quel punto, per il Freddo, la via di fuga è ormai ridotta ai minimi storici e subentra la rassegnazione, sfociata nell’uccisione di Sergio Buffoni (“me sa che nun c’avevo niente di meglio da fa‘”).

E questo ineluttabile rimandare l’appuntamento col destino non poteva che essergli fatale.

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Riluttante una volta di troppo a tradire la Banda, confessando tutto a Scialoja, ecco che gli si presenta il conto nelle sembianze di Donatella. E il Freddo muore proprio quando era finalmente riuscito a trasformare il “famo domani” in “famo oggi“. Perchè Romanzo Criminale sarà anche un romanzo, ma non è di quelli a lieto fine. Ogni personaggio affronta la sua parabola discendente, compreso il Freddo, impotente di fronte al destino che gli è sempre un passo avanti.

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