È iniziato da quel “Pijamose Roma e pijamosela mò, prima che ‘o faccia quarcun artro” la storia della banda della Magliana di Romanzo Criminale. Da quello sguardo d’intesa tra Fabrizio Soleri e Pietro Proietti, meglio conosciuti come il Freddo e il Libanese. Da quel momento, da quando Freddo ha deciso di unirsi ai sogni di gloria del Libanese, è nato Romanzo Criminale. La serie tv qualitativamente più alta che la produzione italiana abbia mai visto. E il merito va anche e soprattutto ai personaggi, magnificamente costruiti e interpretati.
Tra questi c’è pure lui, il Freddo, il re di Roma senza Corona.
Nel mondo di Romanzo Criminale, pieno di delinquenza e male, diviso tra la passione e il desiderio di libertà del Libanese e l’egoismo e la sete di potere del Dandi, serve un equilibratore. Un pensatore razionale che possa mettere un po’ d’ordine in quel caos. Perché il Freddo sarà pure un uomo taciturno e riflessivo, che ama la sua solitudine, ma quando deve dire qualcosa non esita a farlo. Anche se deve urlare, anche se ha tutti contro.
Nonostante non ci siano capi nella banda, il potere si accentra nelle mani del Libanese. Il Freddo rappresenta la sua coscienza. Un grillo parlante che consiglia più volte il Re di Roma nel fare le scelte giuste, senza cadere nella sua impulsività. Allearsi con la mafia, la camorra o i servizi segreti deviati è un errore. Freddo prova più volte a farlo capire al Libanese. Perché questo avrebbe comportato la fine della banda, di quel gruppo di delinquenti uniti dall’indipendenza, dalla libertà e da un legame profondo. Più forte di quello di sangue.
Rimanere con i piedi per terra è l’importante. Non solo perché quando si è in cima si può solo scendere, ma anche perché:
“A me nun me va de fa’ i favori a chi non mi s’è inculato per una vita. E si me ribello me sbatte pure ar gabbio”.
Per il Freddo il dominio della Magliana su Roma è un riscatto. La rivalsa tanto attesa nei confronti di un mondo che lo tratta come un rifiuto, un reietto, un essere inferiore, senza dargli una possibilità. E l’hanno imposto da soli, senza l’aiuto di nessuno. Quindi perché scendere a compromessi quando persino la mafia arriva in punta di piedi a chiedere i loro servigi?
Noi vediamo il mondo di Romanzo Criminale con gli occhi del Freddo. E pur essendo un delinquente, un eroe negativo con più difetti che pregi, lo capiamo. Non fino in fondo perché resta un personaggio enigmatico, misterioso, che certe volte ha bisogno dei sottotitoli. Ma lì sta il suo fascino.
È un idealista. Come gli dice Roberta, ha gli occhi che sognano. Sognano una vita diversa. Non necessariamente lussuosa, solo migliore di quella che la società ha deciso per lui. E ne ha l’occasione a un certo punto. Ma la perde in nome del suo codice morale, quello che gli impedisce di accettare la deriva che prima il Libanese e poi il Dandi vogliono dare alla banda. Quello che lo può portare a gesti estremi. Perde la possibilità di ricominciare da capo con l’amore della sua vita, perde il padre perché non può concepire che abbia tradito sua madre, perde suo fratello che per uscire di prigione fa l’infame.
L’onore è più importante di tutto. Vendicare l’amico fraterno diventa la sua ragione di vita. Perché se Libano si è lasciato andare, è diventato così paranoico, è perché quella famiglia che aveva creato gli aveva voltato le spalle. Perché Freddo, la sua bussola morale, vuole lasciarlo solo. Ed è con la sua dolorosissima morte che il Freddo deve prende il controllo della situazione.
Diventa il leader di cui la banda ha bisogno, il re che non vuole lo scettro ma lo deve prendere per il bene di tutti. E governa insieme al Dandi.
Ma quel gruppo, già diviso, ha perso il suo collante. Perché Freddo e Dandi non sarebbero mai entrati in società senza l’empatia criminale che il Libanese riusciva a creare. I due hanno idee troppo diverse: Freddo vuole rimanere un criminale di strada, Dandi vuole fare il salto di qualità.
E il disastro in Romanzo Criminale è servito su un piatto d’argento.
Freddo potrebbe sfuggire al suo destino dopo aver vendicato Libano. Ma il sogno dell’amico, unito al suo codice morale, gli impone di rimanere. Cerca di rimettere insieme un qualcosa che ormai è rovinato. Come quando un piatto cade a terra: anche se proviamo a incollarne i pezzi, non tornerà mai come prima. Rimane sì, ma qualcosa in lui è cambiato. Quell’ideale in cui un tempo credeva, quell’idea di unione e fratellanza, è solo una parola vuota. Anche prima che Libano venisse ucciso sotto casa sua: guardando il suo cadavere già aveva capito a cosa andava incontro. Ma ha tentato comunque. Finché il tradimento di Sergio Buffoni, l’amico di sempre, rende tutto inutile.
Ormai non conta più niente, ormai le sue emozioni non esistono più. C’è solo la rassegnazione, la volontà di seguire l’unica cosa che gli è rimasta in Romanzo Criminale: la sua morale. E nemmeno gli amici d’infanzia, il suo bene più prezioso, vengono risparmiati.
Ecco, se nella prima stagione Libano aveva messo in mano il biglietto al Freddo, facendolo allontanare e incrinando la banda, adesso è Freddo stesso a distruggerla definitivamente. E finalmente raggiunge quella vita lontana che tanto desiderava. Scappa da tutto e da tutti, da un mondo che continua a odiarlo, a considerarlo una nullità nonostante l’impero che ha costruito. Nonostante non abbia mai rivendicato la corona.
Ma i fantasmi del passato bussano alla sua porta. In nome di quell’onore a cui si aggrappa con forza, torna a Roma. Ed è proprio nella sua città che arriva il colpo decisivo. Perché scoprire che il Dandi sapeva il nome dell’assassino del Libanese gli mette in mano due pistole. Quella fisica, con la quale però non riesce a sparare al Dandi. Non può, non dopo tutto quello che hanno passato. Quella morale, con cui fa una cosa a cui non avrebbe mai pensato: chiama Scajola, fa l’infame. O almeno ci prova. Perché sarà nel tentativo di fare per la prima volta la cosa giusta che andrà incontro alla sua fine (qui la potenza dell’ultima scena della serie).
Freddo rimane per tutto Romanzo Criminale fedele a se stesso. Ma questo determina la parabola discendente di un eroe tragico, simbolo del male romantico, che capisce troppo tardi che vince chi è Dandi e non Libanese. La disfatta di un uomo che ha provato a combattere, e a riscattarsi da un destino che però non gli ha lasciato scampo.