Il seguente articolo contiene SPOILER su Romanzo Criminale.
Il Dandi è spesso considerato il vero cervello della Banda della Magliana. In Romanzo Criminale – che potete recuperare qui in streaming – la sua capacità di anticipare le mosse dei nemici e di sfruttare le debolezze degli avversari lo ha reso un leader naturale. A differenza del Libanese, che si lasciava spesso trasportare dall’impulsività, e del Freddo, che tendeva a mantenere una distanza emotiva dal potere, il Dandi sa muoversi con astuzia in un contesto in cui ogni errore può essere fatale. Questi emerge come il migliore capo della banda grazie alla sua intelligenza strategica, al controllo delle emozioni, alla visione a lungo termine, al carisma, alla capacità di adattamento e all’importanza data all’immagine. Mentre il Libanese e il Freddo hanno certamente contribuito in modo significativo alla storia della banda, il Dandi rappresenta l’incarnazione del leader di Romanzo Criminale: calcolatore, ambizioso e carismatico. In questo articolo vogliamo rendere giustizia alla sua ascesa, interrogandoci sui punti principali in suo favore.
“Né il mausoleo de Cesare ma nemmanco er loculo del Libanese“
Quando si pensa al Dandi di Romanzo Criminale spesso ci si sofferma troppo su quanto sia stato influente nel declino della banda. Che poi, a ragion veduta, sarebbe più corretto dire che non ha fatto niente per impedirlo, più che altro. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. Il Dandi non è mai stato uno sprovveduto, ma nemmeno un amico fidato. L’unico a cui è stato fedele – anche questo contestabile successivamente alla sua morte – è il Libanese. Nonostante sia cresciuto con il Bufalo e con Scrocchiazeppi, gli altri due della batteria originale con cui ha imparato a fare il criminale, non ci ha pensato due volte prima di voltargli le spalle. Ovvio che se il Libanese fosse stato in vita tutto ciò non sarebbe mai accaduto. Ed è proprio per questo che la sua fedeltà nei confronti del primo leader della banda è più che contestabile.
Il Dandi è lo stesso che, nel primissimo episodio di Romanzo Criminale, al primo problema nel colpo delle Olivetti era disposto a gettare subito la spugna. È lo stesso che contestava qualsiasi decisione presa dal Libanese, come per mettere le mani avanti, almeno fino al momento in cui non ha intravisto nel suo amico un potenziale. Il Dandi è codardo, manda sempre avanti gli altri e si muove nel buio. Ma è anche il più grande stratega della banda: non si muove mai in prima persona se non è costretto. Una volta che la banda comincia a spadroneggiare su Roma, il Dandi capisce prima di chiunque altro l’aria che tira e, piano piano, si organizza. La sua intelligenza si manifesta nella sua capacità di tessere relazioni politiche e sociali. Il Dandi capisce che il potere non si limita alla strada: è necessario infiltrarsi nei salotti della borghesia e avere contatti influenti.
Il Dandi e il Libanese, in un certo senso, si completavano. Ma singolarmente erano entrambi destinati a cadere
Il Libanese è stato l’unico vero leader della banda della Magliana, questo è chiaro. L’unico capace di mantenere sempre lo status quo, di far filare tutto liscio e di sistemare qualsiasi tipo di intoppo, interno o esterno. Ma anche il primo a credere davvero in un progetto comune, insieme al Freddo, che però dopo la sua morte ha lentamente perso il controllo emotivo della situazione. Ma senza il Dandi, il Libanese non sarebbe durato così a lungo. Il suo carattere indomabile avrebbe frenato la sua ascesa in Romanzo Criminale anche prima rispetto a quanto accaduto. Se il Libanese è stato l’unico vero leader della banda, il Dandi è stato il solo vero Re di Roma. Perché anche se Roma nun vuole capi, è vero che ha bisogno di un Re. I compromessi sono una parte integrante della leadership, e il Dandi ha sempre capito questa regola del gioco, a differenza degli altri.
In Romanzo Criminale, il Dandi è stato l’unico tra i tre a dimostrare una vera visione a lungo termine. Mentre il Libanese si concentrava sul consolidamento del potere a breve termine e il Freddo addirittura remava contro l’idea di espansione, il Dandi ha sempre guardato al futuro. Un futuro che lo ha premiato a incoronato come unico Re della sua città. La sua ambizione lo ha spinto a costruire un impero che andava oltre il semplice controllo del territorio. Questa visione è evidente nella sua capacità di diversificare le attività della banda. Il Dandi non si è limitato a gestire il traffico di droga e le estorsioni, ha investito in settori che garantissero un’entrata costante e, soprattutto, una maggiore influenza sociale. Questo gli ha consentito di consolidare il suo potere e quello della banda, rendendola meno vulnerabile ai cambiamenti.
I cambiamenti. Gli stessi verso cui il Libanese e il Freddo sono sempre stati diffidenti.
Perché anche se il primo ha aperto le danze per la “presa di Roma”, non ha mai accettato del tutto che ci fosse qualcuno più in alto di lui. Lo stesso motivo che aveva convinto il Freddo a lasciare tutto e a rifarsi una vita con Roberta. L’elemento che ha convinto Zio Carlo ad affidare le chiavi di Roma al Dandi è proprio la sua più importante caratteristica di leadership: sapersi adattare. Il Dandi riesce a navigare attraverso le tempeste che colpiscono la banda, riesce sempre a trovare il proprio tornaconto anche nelle sconfitte. Un profilo basso, ma comunque un’immagine elegante, pulita, vincente. Il Dandi comprende l’importanza dell’immagine e della percezione. Il suo stile di vita lussuoso e la sua attenzione ai dettagli non sono solo un riflesso della sua personalità, ma soprattutto strumento di potere. Mostrare ricchezza è un modo per affermare la propria superiorità e per intimidire rivali e persino alleati.
Questo lo distingue dal Freddo, che preferisce rimanere nell’ombra, e dal Libanese, che spesso non riesce a controllare i suoi impulsi. Lui capisce che l’apparenza è una componente fondamentale del potere, e utilizza questa consapevolezza a suo vantaggio, fin dall’inizio. Il Dandi è il vero anello di congiunzione tra il criminale di bassa lega e il boss invisibile. Ciò che serviva “ai piani alti” per mantenere lo status quo su Roma, il cavallo giusto su cui puntare, quello che sarebbe durato di più senza creare problemi, fino al giorno del giudizio. Dalle rapine e i sequestri ai palazzi, le strade e persino una chiesa, puntando al paradiso. Perché tra tutti è quello che ci si è avvicinato di più, ma anche l’unico ad aver capito che prima o poi tutto sarebbe finito.