ATTENZIONE: Il contenuto che segue contiene SPOILER sulla serie Romanzo Criminale
Di scene iconiche Romanzo Criminale ce ne ha regalate molte. Dal matrimonio di Scrocchiazeppi alla partita di calcio in spiaggia, dalla scena d’apertura fino al commovente finale. Tantissimi momenti marchiati a fuoco nella mente di ogni appassionato e non solo, ma c’è una scena che forse, più di tutte, simboleggia in pieno la serie e specialmente il percorso di un suo personaggio principale. Si tratta della rappresentazione della morte del Libanese, di quello straziante finale della prima stagione in cui il personaggio interpretato da Francesco Montanari, in totale delirio e smarrimento emotivo, si reca sotto casa della madre, in cerca dell’ultima disperata approvazione della donna. Sotto la pioggia battente, nel pieno della solitudine e della perdita di sé, si consuma l’ultimo atto della vita del Libanese, che proprio lì trova la morte. Mentre si compiace disperatamente di aver messo “tutti in riga” sotto di lui e s’illude di aver finalmente regalato una vita migliore a sua madre, il Libanese viene colpito a tradimento, trapassato da quei proiettili che in un istante stroncano l’esistenza del principe di Roma, del più feroce criminale della Capitale.
Si tratta di una scena dalla potenza incredibile. Non solo emotiva, ma soprattutto simbolica. La morte del Libanese sotto casa della madre rappresenta l’essenza del percorso del criminale (nella serie). È il simbolo di tutto ciò che lo ha smosso nel suo cammino, del significato delle sue azioni. È anche la chiusura perfetta di un cerchio, perché il Libanese è partito dalla dimora materna e lì sotto è andato incontro alla fine dei suoi giorni. È entrato nel mondo del crimine per riscattare sua madre, ed è stato ucciso sotto casa sua proprio mentre decantava tutto ciò che ha fatto per lei.
Questa famosissima scena simboleggia l’importanza che ha avuto, per il Libanese, il legame con la madre e rappresenta il culmine di un processo di identificazione che ha portato il criminale a proiettare le sue esigenze su Roma, l’altra grande figura materna di cui il Libanese ha cercato l’amore. Una personificazione che però ha finito per rigettarlo, come ha fatto sua madre, abbandonandolo lì, per strada, sotto la pioggia, col corpo crivellato dai colpi di pistola.
Romanzo Criminale e Mamma Roma
Nel 1962 uno dei più grandi geni della storia della cultura italiana, Pier Paolo Pasolini, ha diretto uno dei suoi più celebri film, Mamma Roma, interpretato da una sontuosa Anna Magnani. L’attrice veste i panni di Roma Garofolo, una prostituta della Capitale che tenta con tutte le sue forze di cambiare vita per il bene del figlio. Questo film è entrato a pieno titolo nell’immaginario collettivo e nella storia del cinema, introducendo una tematica che sarebbe diventata fondamentale negli anni avvenire. Quello di Mamma Roma è un tema ripreso a più battute, in letteratura, al cinema, nella musica e pure nelle serie tv. Si tratta di una tematica volta a personificare la città di Roma, dannata e passionale, pronta a spendersi per l’amore dei propri figli, ma in balia costante dei desideri dei singoli, che vogliono quell’amore materno tutto per sé.
Questo elemento possiamo traslarlo tranquillamente a Romanzo Criminale e inserirlo nella parabola del Libanese. Nella serie, la madre e Roma sono due figure sovrapponibili per il criminale col volto di Francesco Montanari. Il motore dell’azione per il Libanese è sempre l’amore materno. Il suo desiderio più profondo è quello di riscattare la povertà della madre, di ripagarla per tutti i sacrifici che ha compiuto, di regalarle un futuro migliore, non più da serva, ma da signora. Tutto ciò che fa il Libanese è indirizzato a questo fine. Poi ci sono il potere, i soldi, il rispetto, tutti elementi da tenere in considerazione, ma subordinati rispetto a quell’amore materno a cui il Libanese ha sempre anelato.
Tuttavia, i desideri dell’uomo non corrispondono a quelli di sua madre. La donna ripudia l’attività del figlio, lo respinge e più lui si addentra nel mondo del crimine per onorarla, più lei sviluppa un senso di repulsione verso quel figlio che non riconosce più. Succede allora che la crepa tra il Libanese e sua madre si faccia sempre più grande e il criminale si trova a dover ricercare quell’amore tanto desiderato in un’altra madre: Roma.
In Romanzo Criminale il Libanese cerca costantemente sua madre
In questo senso, dunque, possiamo leggere tutto il percorso del Libanese in Romanzo Criminale. Sin da subito, l’uomo mostra un’ostinazione fuori dal comune, una volontà di dominio praticamente mai vista nella città eterna. “Roma nun vo’ padroni” si sentirà dire in continuazione, ma il suo “pijamose Roma” sarà un motto che non conoscerà limiti e ostacoli. Sappiamo bene come il Libanese sia riuscito in un’operazione del tutto inedita nella città: organizzare una banda capace di controllare tutto l’immenso territorio capitolino, sbaragliando la concorrenza e creando, per la prima volta, una struttura capace di confrontarsi con le grandi realtà criminali del sud Italia.
Tutto questo disegno, per il Libanese, non è una scalata al potere, né una rivincita personale. È un estremo e perverso atto d’amore. Il Libanese, come detto, intraprende la sua carriera criminale per tirare fuori la madre dalla povertà e dopo il rifiuto di lei si prodiga a cercare l’amore di un’altra madre. Il Libanese vuole Roma per essere il suo figlio prediletto, vuole ricevere quell’amore, e soprattutto quella riconoscenza, che non è riuscito ad avere e per cui ha speso tutto se stesso. Quello che inizialmente doveva essere un mezzo per ottenere l’amore della madre diventa, di fatto, il suo sostituto. Qui s’innesca, dunque, lo sfruttatissimo tema del Mamma Roma pasoliniano in salsa Romanzo Criminale.
Alla base di questo meccanismo c’è, ovviamente, una visione distorta dell’amore. Il Libanese mostra un egocentrismo senza pari nelle sue azioni, la sua ricerca costante di attenzioni è proiettata esclusivamente su se stesso. Lui non cerca l’amore della madre in quanto tale, ma solo come autocompiacimento. Lo dimostra il fatto che in realtà non ascolta mai le richieste della donna, ma ha una sua idea ben precisa di felicità e pretende che gli altri vi si uniformino. Lo pretenderà dalla madre, lo pretenderà da Roma, ma alla fine non otterrà da nessuno ciò che ha sempre, disperatamente, preteso.
ll finale tragico di Romanzo Criminale
Arriviamo così, o meglio torniamo, alla famosa scena della morte del Libanese. Alla fine, il personaggio incarnato da Francesco Montanari viene rigettato da entrambe le due figure materne, le quali finiscono per sovrapporsi completamente, tanto che l’uomo chiama la madre “regina di Roma”. Le due sono un tutt’uno e insieme decretano il tragico epilogo. Il Libanese viene ucciso sotto casa della madre e viene condannato a morte proprio da Roma e dai suoi intrecci, da tutto quel meccanismo che ha cercato di dominare, ma che gli è inevitabilmente sfuggito di mano. Mamma Roma, in Romanzo Criminale, dimostra ancora una volta che non può pensare a un solo figlio, non può dedicare tutto il suo amore a un singolo prescelto. Ha dovuto, dunque, lasciare solo e abbandonato il Libanese, travolto dalla sua cecità, dalla sua ostinata convinzione e dall’amore a senso unico che ha inseguito per tutta la vita.
In sostanza, possiamo leggere l’intera vicenda del Libanese come una continua ricerca dell’approvazione materna. Il personaggio ha un bisogno patologico di supporto, di ricevere amore. Il suo narcisismo, però, lo porta a non capire che quell’amore che cerca lo deve trovare in un altro modo, perché non si può convincere una persona a provare quel sentimento, ma bisogna meritarselo. Occorre far sì che la persona sia portata ad amare. Il Libanese invece rimane intrappolato nella sua idea di amore e continua a spendersi per trovarlo, ma la sua è una lotta destinata al fallimento. La ricerca dell’amore materno per il Libanese non è solo una giustificazione, ma è la spinta propulsoria per ogni sua mossa. Il criminale è fermamente convinto delle sue motivazioni, ma è cieco di fronte alla realtà.
Così, anche questo finale a dir poco tragico trova il suo compimento. Il Libanese muore da solo, abbandonato da quelle due madri a cui ha dedicato la sua vita. Alla fine, però, entrambe lo hanno rigettato, perché il Libanese ha fatto di tutto per inseguire il loro amore, ma nulla per meritarselo. Non ha dato ascolto alle richieste, non è riuscito ad assumere un punto di vista diverso dal suo. Ha fatto di quell’amore materno la sua crociata e alla fine ha trovato la morte proprio nel posto in cui a squarciagola ha gridato il suo tormento. “Nun te devi più vergogna de me” grida il Libanese nei suoi ultimi istanti di vita. La madre però non ascolta. Non risponde nemmeno Roma. E così si concretizza il fallimento di una vita, che si conclude con quei colpi di pistola che alla fine sono quasi liberatori.