A cosa pensate quando vi capita di ascoltare ‘Liberi Liberi’ di Vasco Rossi? Qual è il primo riferimento che scatta nella vostra mente? Se vi siete imbattuti in questo articolo o siete semplicemente appassionati di serie sicuramente si sarà materializzato davanti ai vostri occhi Er Bufalo, ormai invecchiato, attorniato dagli altri membri della banda. La cui morte li ha lasciati giovani, immutabili, eterni. Proprio come Romanzo Criminale.
“E che me ponno fa’? So’ morto!”
Basterebbe questa scena a sottolineare quanto Romanzo Criminale sia riuscita a creare un vero e proprio immaginario. Un mondo narrativo a se stante, fatto di musiche raffinate, espressioni iconiche e una scia di violenza che si trascina per decenni. Senza per questo creare una sorta di apologia della malavita che si è abbattuta su Roma tra gli Settanta e Ottanta. I personaggi delineati da Sollima, infatti, pur avendo una sfera emotiva variegata, non certo omogenea, abbracciano consapevolmente il male. E nessuno di loro ne uscirà vincitore.
Ovviamente la storia, come suggerito anche dal titolo, è fortemente romanzata. Il “vero Freddo”, il cui personaggio è ispirato al gangster Maurizio Abbatino, si è spinto a minacciare il pm durante il processo in cui era imputato. La mancata corrispondenza tra attori reali e personaggi è forse l’unico elemento dissonante, per quanto necessario e funzionale. Il modus agendi della banda, il ruolo dello stato e dei servizi segreti, i rapporti con altre cosche mafiose sono rappresentati in maniera tutt’altro che superficiale. L’effetto nostalgia, grazie al meraviglioso lavoro di musiche e fotografia, fa il resto.
Quello che più di tutto ha reso epica questa serie, tuttavia, è la qualità dei dialoghi
Come scrive Aldo Grasso in Storie e culture della televisione Romanzo Criminale ha inaugurato una new age della serialità in Italia perché nell’opera confluiscono diversi generi. Dal crime, al noir, al prison movie, passando per il thriller. Abbiamo, inoltre, uno sguardo introspettivo sulla mente dei criminali, non rappresentati come fredde macchine del male ma come esseri umani, non privi di traumi infantili e dilemmi interiori.
A questo aspetto si aggiunge anche la capacità innata di rendere ricorsivi alcune sue massime. Qualunque opera audiovisiva che entra nell’immaginario non può prescindere da frasi, espressioni ed esclamazioni entrate nel linguaggio comune. “Houston, abbiamo un problema“, “Domani è un altro giorno“, “Sono tuo padre!“, “È la locura, René, è la cazzo di locura“. Romanzo Criminale è una di quelle opere in cui questa funzione è amplificata, alla stregua di quanto avviene con i film di Aldo, Giovanni e Giacomo o la stessa Boris.
“Stavo col Libanese quando sotto casa gli hanno sparato” (Fabri Fibra feat. Thegiornalisti – Pamplona)
Pertanto le massime diventano loop, assurgono alla sfera del trasversale. Creano immedesimazione totale con il personaggio che le pronuncia sullo schermo. E così “Io stavo col Libanese” avrà sempre il volto del Bufalo; “Famo Domani” diventa il manifesto ideologico del Freddo, sempre un passo indietro al destino; “Piamose Roma” è la visione utopica del Libanese. E proprio come per una scena di Tre uomini e una gamba la ripetizione genera imitazione. In una parola questo fenomeno si chiama “meme”.
Oggi, se pensiamo a questo termine, ci vengono in mente le immagini che proliferano sui social e che va detto, a loro modo, preservano il senso originale. La parola fu coniata da Richard Dawkins in The Selfish Gene, in relazione a un equivalente del gene nell’industria culturale. In altre parole, se il gene in biologia può essere inteso come un elemento che si replica, trasmette ed evolve da un corpo all’altro, così il meme manifesta le stesse caratteristiche da un media all’altro.