ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sugli episodi di Romulus 2!
Esplorare la storia dietro il mito della fondazione. Riesumare i colori, le forme, le fragranze e i profili di un’epoca talmente lontana da perdere i connotati di realtà. Guidare lo spettatore nella scoperta di un mondo affascinante e carnale, dominato da passioni violente e istinti primordiali. Riscrivere l’epica con gli strumenti della modernità: questo e tanto altro è riuscito a fare Matteo Rovere con Romulus, uno dei suoi progetti più ambiziosi – e anche uno dei più riusciti. La serie, che è tornata su Sky dal 21 ottobre e si è conclusa venerdì 11 novembre con il rilascio degli ultimi due episodi, è tornata con una seconda stagione ancora più coinvolgente della prima. Immersiva, avvolgente, originale, Romulus 2 si è presentata al pubblico come un prodotto di grande qualità, destinato ad impreziosire l’offerta televisiva made in Italy. Una scelta coraggiosa quella di puntare su una storia ambientata nell’VIII secolo a.C., un periodo di cui si hanno notizie scarne e confuse, i cui dati storici sono frammentari e tendono a fondersi con i miti e le leggende. La mole di lavoro che è dietro la realizzazione di Romulus è impressionante. Niente è lasciato al caso: le ricostruzioni scenografiche sono curate nei dettagli, l’abbigliamento è studiato nei minimi particolari, gli oggetti, le armi, gli utensili sono stati riprodotti cercando di tener fede quanto più possibile alle poche testimonianze che abbiamo di quei secoli. La storia parte da uno dei racconti più inflazionati di sempre – il mito della fondazione – per incanalarsi poco alla volta su strade finora inesplorate.
Romulus 2 è una straordinaria operazione artistica, che ci lascia in eredità un prodotto innovativo ed innovatore, che va ad arricchire il panorama della serialità italiana.
Il season finale della seconda stagione è andato in onda venerdì 11 novembre su Sky Atlantic. La domanda che ci eravamo posti all’inizio di Romulus 2 – si può regnare in due? – ottiene qui una risposta, che un po’ ci sorprende e un po’ ci aspettavamo. Nell’ultimo episodio, quello della battaglia sul campo, avevamo visto Yemos fare un passo indietro, lasciando la guida di Roma al fratello Wiros. Contrasti e divergenze tra i due protagonisti sono emersi in maniera chiara ed inequivocabile lungo tutto il corso della seconda stagione. Il popolo di Roma rischiava di dividersi assecondando l’uno o l’altro re. La profezia pronunciata da Ersilia nei primi episodi non poteva che realizzarsi nel finale, portando a compimento ciò che noi spettatori già sapevamo in partenza: la città di Roma avrebbe avuto un solo re, l’altro sarebbe morto per mano del fratello.
Il re dei Sabini Titos Tatius, lo straordinario e paranoico villain della seconda stagione, ha dato a Roma tre giorni di tempo per proclamare la resa. A presentarsi davanti al figlio di Sancos però non ci sono più i due fratelli figli della Lupa, ma solo il piccolo re schiavo. Wiros ha accettato il potere, ne è rimasto sedotto. Celebra se stesso e ama ciò che è diventato. Si crede più forte degli dei e non c’è più nulla che lo tenga legato a Yemos, se non un passato che appare ormai lontano e perduto per sempre. Anche il principe di Alba si rende conto che, per il bene di Roma, uno dei due re dovrà morire e l’altro sopravvivergli. Lo scontro finale tra Wiros e Yemos non è né spettacolare né eccessivamente scenografico. I due ragazzi si affrontano sulla sabbia, l’uno dinanzi all’altro, e alla fine una lama finisce per perforare il ventre di uno dei due. Ad avere la peggio è Yemos, che però prima di morire sussurra all’orecchio del fratello parole di verità: non siamo dei, Wiros. Nè io, né te. Dopo un arco narrativo durato due stagioni, il personaggio di Yemos lascia i suoi fratelli. Ma, come ci ricorda Ilia nel finale del settimo episodio, un uomo è morto, ma la fine non è questa. Al contrario: è appena l’inizio.
C’è odio, c’è sfiducia, c’è morte nel cuore di tutti noi. Ma se avessimo ali di aquila, allora potremmo volare sulle nostre case e vedere che non siamo soli. Noi siamo una moltitudine, siamo un popolo. Questa città non appartiene a uno soltanto, ma a ognuno di noi.
È quel noi siamo Roma scandito a voce alta e con il braccio sul cuore che rende poetico un racconto che ha attraversato i secoli, ma che riesce ancora a smuovere qualcosa nell’animo di chi resta in ascolto. Yemos è morto, Wiros è rimasto in vita. Eppure, le sorprese del finale di Romulus 2 non finiscono qui. A Wiros non basta sopravvivere a Yemos per affermare la propria autorità e il proprio potere su Roma. Deve essere qualcosa di più di un uomo straordinario: deve essere un dio. In un’epoca in cui il sacro scandisce le tappe della civiltà, il legame diretto con gli dei garantisce un’aura di intangibilità che nessun uomo normale avrebbe potuto costruirsi. Wiros ne è consapevole, per questo prova ad alimentare la leggenda dei tre figli del dio Sancos abbandonati in un bosco. Uno è Titos, cresciuto da solo, senza la compagnia di qualcuno che gli volesse veramente bene. L’altro è Wiros, lasciato da piccolo in una cesta e preso come schiavo a Velia. Non importa quanto ci sia di vero nelle parole che pian piano si intrufolano nella testa delle persone – disperati, sovrani e semidei -, quel che conta è che ci credano.
Gli ultimi due episodi di Romulus 2 sono più intimistici e spirituali. La serie Sky procede con la solita cadenza lenta, senza rincorrere cliffhanger spettacolari o l’azione a tutti i costi. La scelta è perfettamente aderente all’impostazione del progetto: siamo nel 753 a.C., la vita procedeva a ritmo lento, in una terra in cui passione e sangue erano i motori dell’esistenza. La grande qualità di Romulus 2 si riscontra anche nel coraggio di non snaturarsi per inseguire a tutti i costi i modelli tradizionali, ma di esplorare nuove vie. La scelta del protolatino è ardita e dispendiosa, ma è il grande meccanismo propulsore che accresce il valore della serie Sky. Una serie che ci ha regalato personaggi interessanti, complessi e fragili, e che ha raccontato prima la ricerca di se stessi e l’esaltazione dell’individualità (Romulus 1), poi l’affermazione del collettivo e la difesa della comunità (Romulus 2). Un percorso graduale, che ci ha trascinato a bordo di un viaggio lento e faticoso, ma pieno di stimoli e suggestioni. I punti deboli della serie finiscono per sparire dietro l’enorme lavoro fatto da tutta la produzione per realizzare un progetto tanto ambizioso e originale. Sulla possibilità di una terza stagione ha già parlato Matteo Rovere:
Il progetto che ho sempre avuto sono tre stagioni. È un progetto ambizioso che richiede non solo grandi risorse, ma un enorme impegno temporale e anche ideativo da parte degli autori che si susseguono. È una grande avventura per tutti quelli che lo vedranno, ma anche per chi lo realizza. Bisognerà vedere dove ci porterà il percorso, ma il sogno è arrivare alla morte di Romulus, che compirebbe un po’ il percorso che volevamo raccontare.
Romulus 2 si è dimostrata una serie coinvolgente e di qualità, che è riuscita a svuotare l’epica della sua pomposità per estrapolarne i tratti più realistici e universali. Non è un prodotto che piacerà a tutti, ma tra qualche anno ne coglieremo l’importanza.