Un re che avanza a passi lenti verso una gabbia, come uno schiavo. Uno schiavo con la schiena insanguinata che qualcuno chiama re. Una famiglia persa nell’oscurità, un popolo che cerca una casa. E quelle ultime, memorabili parole con cui si chiudono gli episodi: “Dal nostro sangue nascerà Roma”. Ma come siamo arrivati a questo punto? La settima puntata di Romulus riannoda tutti i fili. Prende le storie singole e le ributta nel calderone, lasciando che i nuovi legami trovino la strada da soli, in maniera naturale, spontanea.
C’era una volta Ulisse, che con una sola idea aveva vinto la sua guerra: il cavallo di legno nelle mura di Troia costò la guerra ai Troiani e offrì la vittoria facile agli Achei. Allo stesso modo, Eulinos il greco – che di quella tradizione è figlio – si introduce a Gabi col suo carro carico di vino. I soldati brindano e mandano giù i calici, mentre fuori, nel buio, i figli della Lupa iniziano la conquista della città. Romulus ci avverte: da questo momento in poi si scivola verso la fine della serie. Non ci sono più tentennamenti, niente giri a vuoto: la guerra si combatte qui e ora. Così vediamo due eserciti contrapporsi: da una parte i soldati di Alba guidati da Ilia, dall’altra i figli della Lupa con i soldati di Lausus, il legittimo re di Gabi dopo la morte di Ertas.
Un ex schiavo contro un’ex vestale. Due personaggi che sembravano relegati ad un ruolo di secondo piano e che invece si ritrovano a combattere, l’uno di fronte all’altra, per tracciare il destino di un’intera comunità.
Wiros ha compiuto la sua ricerca. Il ragazzino impaurito del bosco ha trovato il suo posto nel mondo ed è disposto a difenderlo con i denti e col sangue. I figli della Lupa lo hanno seguito perché ha dimostrato coraggio nel salvare la ragazza-oracolo, che infatti si rivolge a lui come depositario del volere della dea Rumia. Sembrano un esercito di zombie, sporchi e tremanti. Riemergono dal bosco col terrore di chi fuori dalla propria caverna non si sente al sicuro (“Siamo usciti dal bosco e l’oracolo è morto“). Eppure, quella moltitudine di disperati è la chiave per riportare ad Alba il suo legittimo re. E a capirlo prima di ogni altro è Silvia, la figlia di Numitor, una madre spinta all’azione dall’amore incondizionato per il figlio disperso.
Wiros non è più un orfano solo. Ha finalmente trovato la sua famiglia e ora è disposto a guidarla per conquistare anche una casa.
E mentre una famiglia si unisce, un’altra si sfalda, disgregandosi dalle fondamenta. Gala, la moglie di Amulius, è preda di una malattia terribile e sconosciuta. Forse la collera degli dèi che si scatena sul suo corpo vulnerabile e fragile. Ma un altro morbo si è abbattuto sulla casa del Re dei Trenta: quello del sospetto, della paura, dei rimorsi di coscienza che divorano fino all’ultimo barlume di lucidità. Qui la regia di Romulus è magistrale: ogni volta che la scena si sposta sulla casa di Amulius, le tonalità cromatiche cambiano, si fanno più fredde, lugubri, agghiaccianti. Gala è una donna perduta, devastata dalla malattia e dal senso di colpa. Amulius è consumato dal dolore, dalla paura, dal bisogno di essere amato. E anche Ilia sembra ormai perduta. La sua furia omicida conosce ancora qualche spazio incontaminato, ma non sembra affatto intenzionata a lasciarsi sopraffare dai sentimenti della vecchia ragazzina ormai morta e sepolta.
Gli ultimi due episodi di Romulus sono principalmente emotività. Giocano sui sentimenti e sui loro contrasti, mirano agli istinti passionali più che alla strategia e alla logica.
Ci perdiamo in riti e tradizioni che ci appaiono assurdi e ancestrali. Ci lasciamo trascinare nel cuore dell’VIII secolo a.C. ascoltando una lingua incomprensibile e guardando negli occhi la paura del divino. Sono leggi arcaiche a decretare la vita o la morte di un uomo. Ma la resa scenografica e l’impatto visivo di quel mondo sullo spettatore sono assolutamente eccezionali. Nella 1×07 e 1×08, Romulus abbonda col tono epico, in alcuni tratti persino troppo. Alcune scene sembrano un po’ forzate, ridondanti. Altre addirittura stonate rispetto allo stile della serie. Ma nel complesso, Romulus continua a funzionare. E lo fa alla grande.
Yemos è rimasto l’unico prigioniero vivo della schiera di figli di Rumia catturati da re Spurius. Si è camuffato per mesi nei boschi. Lui, il fratricida, il sovrano spodestato, è stato prima uno schiavo, poi un prigioniero, infine un guerriero libero del popolo di Rumia. Con i suoi compagni ha combattuto per una causa che non era la sua. Li ha visti morire, ha pianto per loro, ma il suo destino non è ancora compiuto. Yemos è un personaggio indecifrabile. La maggior parte del tempo la passa in silenzio, poi all’improvviso si schiera. È uno che ha molto da dire, ma che finora è rimasto in disparte, volutamente in penombra. A guardarlo si ha come la sensazione che il mondo gli sia indifferente, che la sua battaglia non l’abbia ancora combattuta. Ora però, Yemos ha altro sangue da vendicare. I fantasmi delle persone che ama lo spingono verso il suo destino.