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Romulus 1×09/1×10 – Un finale diverso è possibile

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Se si versa un po’ d’olio in un recipiente vuoto, la cosa che salta immediatamente all’occhio è che le goccioline non si separano. Restano compatte, unite, addensate tra di loro. Se però in quello stesso recipiente aggiungiamo un filo di aceto, allora vediamo che la macchia compatta d’olio inizia a disgregarsi. Il nuovo liquido ci si insinua dentro e ne sgretola la composizione dall’interno. Fa in modo che le goccioline si dissocino dalle altre, in quello che non è più un fluido compatto, ma un miscuglio eterogeneo di particelle scisse tra di loro. Ma chi è l’olio e chi l’aceto in Romulus?

Sul finale di stagione si prevedono reazioni contrastanti, ma prima di avventurarci nelle impressioni a caldo cerchiamo di capire cosa è successo nelle ultime due puntate della serie.

Sembra passata un’eternità dal primo episodio di Romulus. Molte cose sono cambiate – alcune in fretta, altre più lentamente -, ma ciascun personaggio è giunto in fondo al suo percorso di maturazione. Persino Yemos, quello che sembrava più silente, è riuscito a “uccidere il ragazzo” e diventare uomo.
I due fratelli si ricongiungono, il figlio torna dalla madre, il Principe di Alba ritrova il suo esercito. Ma Yemos è inevitabilmente cambiato. Il trapasso dalla giovinezza all’età adulta è stato per lui traumatico, vissuto con incertezza. E il ragazzino rispettoso delle tradizioni è diventato un guerriero che uccide i nemici strappandone via il cuore e mangiandolo un pezzettino alla volta.

Ma quanto possono correre veloci i cambiamenti nell’VIII secolo a.C.?

amulius

I Trenta sono intimoriti da un re che parla di divinità oscure e temibili, da un esercito di selvaggi che è venuto dal bosco per reclamare una città. E quando le cose non si comprendono appieno, è allora che ci si rivolge agli dèi. Lo sa anche Amulius, a cui gli dèi ormai non parlano più. E mentre l’usurpatore del trono di Alba si lascia dilaniare dal senso di colpa e dalle conseguenze del suo oltraggio, Wiros riesce invece a trovare un modo per vincere la ritrosia degli alleati inducendo le divinità latine a mandare un segno di approvazione. Che una cucciolata di maialini possa determinare la presa della armi o meno, può sembrare una cosa completamente fuori dal mondo. Nell’VIII secolo a.C. però, le guerre dovevano decidersi proprio così.

Dunque, tutto è pronto. L’esercito di Yemos marcia verso Alba per spodestare l’usurpatore. La guerra è sempre più vicina, lo scontro inevitabile. Romulus ci regalerà una memorabile battaglia.

romulus

Scherzetto, ci siete cascati. Niente di tutto ciò.

Sapevamo che Ilia prima o poi avrebbe scoperto la verità sull’uccisione di Enitos e quel momento arriva proprio prima dello scontro finale. Uscita allo scoperto per tagliare la testa a Yemos, la giovane guerriera accecata dal furore scopre che è stato invece suo padre a togliere la vita a Enitos. Perché?

Odiavo a morte mio fratello e desideravo diventare re. Ho ucciso solo per questo.

Amulius è un villain anomalo, caduto nella spirale della malvagità per insicurezza e paura. È un re che ha perso il rispetto degli dèi, un marito che ha visto morire sua moglie, un padre che non alzerebbe mai un dito contro sua figlia. Destinato alla sconfitta, sembra pronto ad abbracciarla senza riserve, con la follia di un suicida che agogna le tenebre eterne. Amulius offre la propria testa a sua figlia e rinuncia alla battaglia.

Così Alba è salva. Ilia fa aprire le porte della città e offre il trono a Yemos, il legittimo re dei Trenta. Nessuno spargimento di sangue, nessun clangore di spade.

Da questo momento in poi, Romulus corre veloce verso la fine. “Il tempo che inizia oggi è solo nostro”, suggerisce Wiros. Ma come bisogna disegnarlo questo tempo? È chiaro che le divergenze tra le varie parti sono inconciliabili. Yemos ha incontrato il diverso e lo ha abbracciato come fratello, ma la forma mentis del latino dell’VIII secolo a.C. non è ancora predisposta ad accettare i cambiamenti. Il diverso resta diverso, l’olio deve tener lontano l’aceto.

Il finale di Romulus chiude molti cerchi. A Yemos era stato tolto un fratello e ne ha trovato un altro; Ilia era stata riportata alla vita da suo padre e adesso è lei a restituirgli una seconda occasione; a Numitor e Silvia era stato imposto di lasciare Alba, ma ad Alba ritornano negli ultimi episodi. Siamo al punto di partenza. La storia si è intaccata per un breve frangente, ma poi tutto è tornato a scorrere come prima. Con la differenza che, nel viaggio, tutti sono cambiati e nessuno è più lo stesso di prima. Neanche Alba e il mondo che conoscevamo. Nella capitale della Lega latina non c’è posto per il progresso, per una visione nuova. Per questo Yemos, posto dinanzi all’alternativa di regnare da solo scacciando i Ruminales o scatenare una guerra con i Trenta, sceglie una terza via: lui e Wiros daranno ai figli della Lupa una nuova città, la Velia di quel re Spurius che è stato assassinato da Yemos per vendicare i suoi fratelli. La stessa Velia da cui il viaggio di Wiros è partito. I cerchi che si chiudono…

La nostra città, se lo vorrete, si chiamerà Roma.

È l’inizio di una storia che attraverserà i millenni e che è nata da un gesto di solidarietà verso il diverso, l’emarginato. Si prevedono reazioni contrastanti, dicevamo. Chi si aspettava di vedere una grossa battaglia finale è rimasto deluso. E, in effetti, dopo tanto pathos per l’imminente scontro, vedere la matassa sbrogliarsi senza che sia versata neppure una goccia di sangue, può lasciare un po’ di aspettative deluse. Ma la forza di Romulus sta anche in questo, nel presentarsi come un prodotto diverso dagli altri. Ci aspettavamo il fratricidio al primo episodio e il fratricidio non c’è stato. Ci aspettavamo un villain crudele e invincibile e invece ci siamo ritrovati davanti un uomo insicuro e pronto ad accettare la sconfitta. Ci aspettavamo una maestosa guerra che potesse inaugurare un nuovo corso, invece la diplomazia e il pragmatismo hanno avuto la meglio sulla violenza.

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Alcune scelte sono sembrate un po’ affrettate e prevedibili, ma nel complesso questa serie ha saputo colpirci in positivo. Regia e fotografia sono state sempre impeccabili, coerenti con l’andamento lento della narrazione. Dietro la scenografia c’è un lavoro di scrupolosa ricerca e di attento studio, ben visibile nei dettagli dell’abbigliamento, degli utensili, delle armi dei guerrieri. Il protolatino ha un effetto straniante su chi guarda, che sembra rapito dal presente e scaraventato in un’epoca lontana e sconosciuta.

Romulus ha il coraggio di presentarsi come una storia che avanza a passi lenti, che rinuncia alle battaglie, al caos eccessivo, ai grandi plot twist, e che scorre calma, in alcuni tratti quasi rallentata, prendendo grosse boccate d’aria tra un episodio e l’altro.

Sarà interessante capire come si evolverà il progetto, dato che il rinnovo per una seconda stagione appare ormai praticamente certo. Come diventerà grande Roma, questa città che racchiude in sé il caos del bosco e l’ordine delle tradizioni latine? Che farà Amulius una volta giunto a Cures, nella terra dei Sabini? Chi, tra Yemos e Wiros, è il Romulus della leggenda?

Le risposte può darcele solo Matteo Rovere con una seconda stagione della serie che attendiamo con ansia.

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