Ci è sufficiente ascoltare le prime note di “Gotta Get Up” per essere catapultati nella storia di Nadia e di Alan. Russian Doll è l’ultimo prodotto di Netflix ed è già sulla bocca di tutti. Una serie tv originale dove la morte è la coprotagonista dell’intera vicenda.
In ben 8 episodi conosciamo quel che basta della vita di Nadia e Alan, rispettivamente interpretati da Natasha Lyonne e Charlie Barnett. L’improvviso loop temporale in cui siamo trasportati ci coinvolge al cento per cento, facendoci vivere più volte la stessa giornata. Per lei è quella del suo trentaseiesimo compleanno, per lui quella in cui scopre di non essere più amato dalla fidanzata. Quasi ogni morte è divertente, capace di scatenare una risata in chi guarda. E non è un caso che tutto sia così tragicomico: lo scopo dello show è anche quello di divertire lo spettatore. Russian Doll veste i panni di una dark comedy alla ricerca del proprio lieto fine. E mano mano che si prosegue con la storia tutto ciò che ci sembra banale e scontato rivela invece un significato più oscuro e profondo.
Questa serie tv esplora la psiche umana attraverso il tema del loop temporale che spinge inevitabilmente a riflettere circa le decisioni fatte nel quotidiano. I rapporti tra i personaggi secondari sono sbrigativi, fanno da contorno all’intera vicenda di cui sono involontariamente parte.
In Russian Doll ciò che sembra illogico trova significato razionale, mostrando che quello che spaventa di più gli uomini non è la morte, bensì la vita.
È l’accettazione di se stessi il tema principale della serie tv. Russian Doll, malgrado non possa essere definita perfetta, si rivela essere uno degli show più interessanti dell’ultimo periodo. Dal punto di vista della sceneggiatura sino alla scenografia: ogni azione dei personaggi è curata nei minimi dettagli. Il senso di deja-vù che ci avvolge a episodio concluso è parte di un cerchio che pare non volersi arrestare, se non con il finale dello stesso show.
Ripetendo lo stesso giorno, Alan e Nadia esplorano dimensioni diverse perdendo di vista le persone che li circondano. E comprendono solo alla fine che ciò che hanno di più caro è proprio quello da cui, invece, fuggono: un vero legame con gli altri. Lo vediamo pian piano, in Alan attraverso il perdono di Beatrice, la fidanzata che lo tradiva, e in Nadia nel senso di colpa che si esaurisce nel momento cui si apre con i suoi amici. Dopo ogni morte la realtà appare loro differente, come se morisse anche una piccola porzione di umanità.
Lo spettro del loro passato si rivela essere l’unica chiave in grado di interrompere quel loop temporale. E alla fine ci riescono, insieme.
La linea temporale ritorna ad avere un proprio equilibrio. E malgrado il destino giochi ai nostri protagonisti un ultimo scherzo, essi comprendono che l’unico modo per salvarsi dall’auto-annientamento è salvarsi a vicenda. E ciò non implica una banale storia d’amore tra i due ma un rapporto vero, nato dal bisogno di appartenere a qualcosa e di sentirsi parte del mondo. Una relazione tra due persone che non vogliono più sentirsi sole e che, insieme, riescono a sopportare con più facilità quella vita pesante. Ritrovano quella gioia di vivere che, nel tempo, avevano perso di vista. Sovrastata dall’abitudinaria routine e da un passato sempre più difficile da trascinarsi dietro, essa emerge dagli abissi e li libera. Quella joie de vivre sopravvive, nascosta nell’inconscio dei nostri protagonisti, alle numerose morti a cui assistiamo.
In questa prima stagione le tematiche affrontate sono molteplici, eppure non confondono, né sono discordanti tra loro. I traumi infantili, il rapporto con gli psicologi e le malattie mentali, la solitudine e la depressione: ogni argomento trattato ha il suo giusto equilibrio. La morte diventa lo strumento terapeutico di questi due ragazzi. Attraverso essa ripercorrono i propri passi e i propri errori, costretti dal fato a vivere e modificare i propri atteggiamenti, cambiando il proprio percorso di vita.
La morte diventa la presenza machiavellica di ogni episodio, capace di donare sorrisi, risate, e persino giudizi. Attraverso essa assistiamo a una crescita dei protagonisti che comprendono i propri difetti.
In Russian Doll l’umanità è un pregio per pochi.
La sofferenza di rivivere ogni giorno la stessa realtà porta Nadia a prestare attenzione ai propri amici, a prendersi cura di chi non conosce ma l’ha sempre aiutata, ascoltata. Si cerca un riparo dai propri ricordi sino a quando essi non trovano il modo di colpirti e di porti davanti a un’ultima domanda: sei pronto ad affrontarli o no? Nadia risponde al quesito solo alla fine, quando i toni dello show sono ormai diventati dark, a tratti horror. Ciò che spaventa è il realismo attraverso cui, impotenti, guardiamo quanto i demoni interiori possano influire sul nostro presente.
Russian Doll, sin dal titolo, rimanda alla forza e al coraggio della protagonista. Come il classico giocattolo russo, Nadia si apre sempre di più a ogni morte, accettando i consigli e l’aiuto degli altri senza avere il timore di legarsi a qualcuno. La sua fragilità è servita su un piatto d’argento e alla fine della serie non può più fuggire. Convivere con il passato, perdonare e migliorare se stessi racchiude il fulcro di questo show che ha esplorato l’essere umano nel modo più improponibile. Abbiamo assistito al finale di stagione con l’ansia a mille, sospettando di non rivedere più uno dei due protagonisti. Il lieto fine non era affatto scontato, eppure l’abbiamo ottenuto.
Quando Netflix ti concede una serie tv così ben fatta, capace di prenderti e coinvolgerti, la preoccupazione maggiore è quella che rovini tutto con un seguito.
Non sarebbe la prima volta: la tentazione di realizzare sequel o spin-off è sempre parecchio alta. Ma Russian Doll non ne ha alcun bisogno. In un’intera stagione abbiamo conosciuto la vita intera di due individui che al mondo non hanno lasciato nient’altro che rancore dopo la loro prima morte. E per tale ragione il mondo li ha puniti, o graziati, facendo rivivere loro lo stesso giorno. La debolezza dell’uomo è raccontata secondo una concezione fantasy, esplorando i concetti di universi paralleli, di molteplici dimensioni, di relatività. Si sottolinea che la nostra presenza nel mondo è temporanea e che l’uso migliore sia quello di godersela la vita, e non di averne timore.
Durante gli ultimi minuti dell’ottavo e ultimo episodio vediamo Nadia e Alan che si ricongiungono. In mezzo a una parata di fantasmi e spettri del passato essi, insieme, percorrono quella strada che metaforicamente rispecchia un futuro migliore. Non ci sarebbe modo migliore per concludere la loro storia. La loro (dis)avventura li ha educati facendo aprire loro gli occhi dinanzi la bellezza della vita, da spendere insieme a qualcuno. Russian Doll è una serie tv istruttiva e appassionante, capace di far sorridere salvo poi far precipitare l’attimo dopo in un’atmosfera di ansia e preoccupazione. Natasha Lyonne e Leslye Headland, autrici dello show, in un’intervista a The Hollywood Reporter hanno dichiarato che Russian Doll potrebbe avere un seguito.
Che continui con la storia di Nadia o si sviluppi come una serie antologica è ancora un mistero, ma la domanda è d’obbligo: è necessario?
Giocando la carta del loop temporale e sfruttandola come elemento novità dello show abbiamo già cancellato parte dell’ingegnoso meccanismo che ha costruito la serie. Inoltre, la conclusione della prima stagione ha mostrato i due protagonisti piacevolmente soddisfatti della propria fine. Interpretandolo come un finale aperto, possiamo immaginare il futuro di Alan e Nadia più roseo del loro passato, e del loro temporaneo loop di morte.
Questo show ha affrontato il tema della resilienza e dell’accettazione in un modo che prima d’ora non si era mai visto. Mescolando il genere urban-fantasy alle reali tragedie umane otteniamo un’esperienza totalizzante, capace di restare impressa per giorni nella nostra memoria. Nonostante l’autrice dello show si sia già espressa sul da farsi noi siamo certi che realizzare una nuova stagione di Russian Doll capace di emozionare e intrattenere come la prima sia difficile, se non impossibile.
Quindi custodiamo questo show, lasciamolo così com’è, con i suoi difetti e i suoi molteplici approfondimenti.
Abbiamo seguito per otto episodi la vita di chi non voleva saperne nulla di legami, né di cambiare dinanzi a nuove situazioni. Sino a quando il karma, il destino, non li ha costretti a tale mutamento.
E con i protagonisti siamo cambiati anche noi, divenendo più consapevoli di ciò che questa vita ci permette e ciò che noi, d’altro canto, diamo per scontato.
Solitamente mi piace pensare che ogni serie tv sia come un piccolo percorso verso l’auto-comprensione, sono convinta che ogni storia abbia qualcosa da raccontare e da insegnare. Questa volta, quella di Nadia e Alan ha illustrato perfettamente i pregi del lasciarsi andare ogni tanto alle attenzioni degli altri, scrollandosi di dosso la corazza da invincibili. E forse, è bene che si concluda così: con la gioia di quella parata finale, in nome di una libertà finalmente ottenuta e di un perdono che è arrivato… anche se un po’ tardi.