Il tema del loop temporale, in cui il protagonista di turno resta intrappolato all’interno di un arco di tempo limitato e costretto a ripeterlo all’infinito, è un vecchio trucco dell’arte cinematografica che trova il suo esempio più famoso in “Ricomincio da capo” con Bill Murray. Diventa quindi difficile produrre qualcosa di davvero nuovo o diverso. Ma Russian Doll, la nuova serie Netflix, c’è riuscita.
Russian Doll, il nuovo prodotto originale Netflix, è sbarcata sulla piattaforma a inizio febbraio. Ideata da Natasha Lyonne, Amy Poehler e Leslye Headland, la serie tv ruota attorno al personaggio di Nadia (la Natasha Lyonne che in Orange is the New Black interpretava la mitica Nicky), donna cinica, senza mezze misure e peli sulla lingua, dedita all’alcol, alle droghe e al sesso privo di sentimento. Durante il party del suo trentaseiesimo compleanno, qualcosa di inspiegabile le accade. Dopo essere andata in cerca del suo gatto, Oatmeal, la donna viene investita e muore… salvo riaprire gli occhi nello stesso, identico bagno che fa da cornice alla primissima scena della serie.
Sulle note di “Gotta Get Up” di Harry Nilsson, Nadia ritorna alla sua festa e per un breve momento le sembra che sia solo stata un’allucinazione. Ma quando poi la situazione si ripete capisce che qualcosa di assurdo le sta accadendo. Morte dopo morte, Nadia cerca disperatamente delle risposte. A nulla serve prendere precauzioni, non fare le scale, cambiare percorso, in un modo o nell’altro la morte torna a fare capolino.
Nonostante l’irresistibile senso dell’umorismo della Lyonne renda il tutto assolutamente godibile, si sente il bisogno di smuovere le cose.
Una narrazione che potrebbe in questo modo risultare lineare, se non noiosa, prende allora una piega inaspettata quando entra in scena Alan, affetto anche lui dallo stesso problema di mortite acuta.
I due, anche se con alcune difficoltà, cercano di venire a capo di questo avvenimento che sembra influenzare non solo loro ma anche le vite delle persone che gli stanno attorno. Da questo momento in poi la recensione contiene SPOILER quindi se non avete visto Russian Doll, vi consiglio di farlo e di tornare dritti qui.
Il viaggio che Nadia e Alan intraprendono affonda le proprie radici nelle decisioni che queste due persone hanno preso per tutta la loro vita. Alan con il suo disturbo ossessivo compulsivo, il suo bisogno di rendere tutto perfetto, di non accettare un no, condiziona così le scelte delle persone attorno a lui che, soffocate dal suo freddo bisogno di perfezione, non possono fare altro che allontanarsene, sempre.
Nadia, d’altro canto, non ha mai superato la difficile infanzia. Il fantasma della madre la perseguita ancora oggi e si riflette nello stile di vita autodistruttivo della rossa.
Due vite quindi gestite in maniera diversa ma unite dal fatto che si tratti pur sempre di una non vita. Una morte spirituale e psicologica che ha privato entrambi delle piccole gioie e dalla felicità che può nascere nello scoprire qualcosa di nuovo ogni giorno. Nadia non sa affrontare il passato, Alan non riesce a guardare al futuro. Entrambi si trovano già in un loop temporale, quello della loro esistenza che si trascina stanca e uguale a se stessa.
Il karma entra così in gioco per svegliare i due personaggi dal loro intorpidimento esistenziale.
E ci riesce. Nadia e Alan si rendono finalmente conto, aiutandosi a vicenda in maniera poco convenzionale, della piega disastrosa che le loro vite stanno prendendo.
L’esuberanza e la presenza scenica della Lyonne la fanno da padrone mettendo spesso in ombra il collega. Il personaggio di Alan non riesce mai veramente a spiccare e sembra più un elemento narrativo inserito per non rendere la narrazione troppo statica.
Fino all’ultimo è Nadia è quella con cui ci sentiamo più in empatia. Pur rappresentando spesso lo stereotipo della donna newyorkese nevrotica e con più dipendenze che soldi in banca, rimane un personaggio fermamente umano con un bagaglio di sofferenze e insicurezze non indifferente che nemmeno la chioma da ribelle guerriera può nascondere.
Russian Doll non è comunque esente da difetti.
Ci sono personaggi secondari poco approfonditi, come capita ad Alan, inghiottito dalla ferocia attoriale della sua interprete. La narrazione procede con alcuni piccoli inciampi e con un tono che forse una volta di troppo cambia radicalmente. Passiamo dalla dark comedy delle prime puntate al thriller e persino all’horror a un certo punto.
In un panorama televisivo che sembra volerci propinare il drammone esistenziale a ogni costo, Russian Doll è una piacevole boccata d’aria fresca. Una serie tv che si può vedere in un pomeriggio, che non annoia (quasi) mai e con una protagonista da voto pieno.
È bello, per una volta, spegnere il cervello e godersi un prodotto televisivo per il puro gusto dell’intrattenimento.
Ma Russian Doll non è certo privo di morale o di un messaggio finale che, dopo le ripetute morti, arriva a Nadia così come a noi spettatori, ma lo fa senza andare a pescare a piene mani da filosofie per pochi adepti o costruzioni narrative che ci necessitano, dopo la visione, l’assunzione di qualche pillola per il mal di testa. Ci sono forse passaggi in cui Russian Doll potrebbe ricordare la cugina di terzo grado Maniac, ma mentre la seconda punta tutto sulle relazioni umane e sull’interdipendenza, la prima mette al centro dell’attenzione l’individuo alla deriva. Solo in mezzo al mare e che, alla fine dei conti, può salvarsi unicamente da solo.