ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Rutheford Falls!
Mancano pochi giorni alla prémière della seconda stagione di Rutherford Falls, la serie uscita nel 2021 su Peacock, il servizio streaming della NBCUniversal presente negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e Irlanda, Germania e Italia. Il catalogo Peacock presenta, come tutte le piattaforme streaming, prodotti originali e non, questi ultimi tratti dai registri della Universal Pictures e Universal Television. Nei prodotti originali si trovano, tra le altre cose, Bel-Air, il reboot drammatico di Willy, il principe di Bel-Air e, appunto, la nuova sitcom creata dal trio composto da Michael Schur, Ed Helms e Sierra Teller Ornelas: Rutherford Falls.
È interessante sottolineare che i tre autori hanno già avuto modo di collaborare insieme: Teller e Schur hanno lavorato su Brooklyn Nine-Nine; Helms e Schur si sono incrociati lungamente sul set di The Office US. Teller e Helms hanno fatto un pilot insieme. E tutti e tre hanno avuto modo di collaborare insieme per un episodio di Brooklyn Nine-Nine.
Quando Schur e Helms hanno ideato il personaggio di Nathan Rutherford, il protagonista della serie, hanno subito pensato di coinvolgere Teller: “quei due si sono presentati a casa mia e mi hanno raccontato di Nathan. Una volta, due volte, tre volte. Ogni volta io aggiungevo particolari ai quali loro non avevano pensato e così ne è venuto fuori un gran bel personaggio“.
Il trio ha da subito deciso di puntare su qualcosa di nuovo, che fosse capace di stimolare una riflessione negli spettatori: la storia dell’America.
“Abbiamo voluto proporre un argomento insolito e probabilmente inatteso dal grande pubblico“, continua Teller. “In un periodo problematico come lo è il nostro, volevamo offrire un prodotto che facesse ridere e al tempo stesso riflettere. La storia americana, quella dei nativi, è poco conosciuta e per lo più legata a cliché che ormai dovrebbero avere fatto il loro corso. Abbiamo pensato che fosse giunto il momento di raccontare le incredibili storie di un popolo che abitava questo paese e che ha una cultura e delle tradizioni che andrebbero conosciute“.
I tre hanno perciò deciso di riunire uno staff dentro quale fossero presenti in larga maggioranza nativi americani in maniera da raccontare una storia che fosse il più possibile verosimile.
In Rutherford Falls gli autori hanno deciso di inventare tutto: i personaggi, la cittadina e la tribù di nativi. Questa scelta è stata fatta per evitare complicazioni di ogni genere in un momento, sia storico che politico degli Stati Uniti, piuttosto complesso. Una scelta che, apparentemente, ha fornito una base di stereotipi dalla quale poter partire per fornire nuove informazioni sui nativi americani al pubblico televisivo.
“Perché Rutherford Falls“, secondo Teller, “è uno show che deve servire a qualche cosa, a far riflettere e non limitarsi a far ridere il pubblico. Per questo usiamo le conoscenze dei non nativi, così cristallizzate ormai, come punto di partenza. Vorremmo suggerire un’altra visione della storia e dei popoli nativi che fanno parte di questo paese. Vorremmo che la gente si rendesse conto che i nativi esistono ancora e fanno parte di questa nazione“.
Seppure partendo da un evento che negli ultimi anni si sente spesso nei notiziari la serie ha ben poco di satirico rispetto ad altre create da Schur, come Parks and Recreation o la più recente The Good Place. Nel centro della cittadina di Rutherford Falls, nel profondo nordest degli Stati Uniti, c’è una statua che rappresenta Lawrence “Big Larry” Rutherford, antenato del protagonista, Nathan, e fondatore della cittadina. Questa statua non è un problema politico per la comunità ma, piuttosto, un problema di viabilità trovandosi nel mezzo della strada principale e perciò causa di parecchi incidenti automobilistici. La sindaca della cittadina, Deirdre Chisenhall, interpretata da Dana L. Wilson (Dexter), decide che il momento di spostare il monumento è finalmente arrivato scatenando veementi riserve da parte di Nathan (Ed Helms), il quale non può accettare che la statua del suo antenato venga trasferita dal luogo dov’è stata sistemata.
Questa trovata piuttosto semplice è l’input che darà il via a una serie di situazioni piuttosto simpatiche, divertenti, e naturalmente ben scritte.
L’umorismo presente nella serie è leggero ma efficace, pungente ma non spigoloso, mirato ma non forzato. Fin dalla prima puntata è chiara e netta la disparità tra nativi e bianchi. Da una parte il centro culturale della tribù, inventata, dei Minishonka, gestito da Reagan Wells (Jana Schmieding), miglior amica di Nathan. Il centro è situato all’interno di un casinò e i manufatti esposti appaiono come i più banali e scontati souvenir. Dall’altra il museo cittadino gestito proprio da Nathan il quale ne è anche il curatore. Un museo sontuoso e ricco di cimeli di famiglia che hanno, però, una storia e una cultura molto più recente rispetto a quelli nativi.
Tra Nathan e Reagan c’è un profondo legame di amicizia che, nelle intenzioni degli autori, rappresenta simbolicamente l’amicizia, in realtà inesistente, tra nativi e colonizzatori giunti dall’Inghilterra a bordo del Mayflower. Sia Nathan che Reagan, infatti, sono attivi l’uno per l’altra e si aiutano vicendevolmente cercando di far prosperare la cittadina attraverso il bene comune.
Quando viene dato l’annuncio che la statua in mezzo alla strada ha fatto il suo tempo e deve essere rimossa la vita di Nathan viene completamente stravolta. L’uomo, che ha speso il suo tempo nel lustrare la memoria della sua famiglia, perde il lume della ragione. In un accorato quanto maldestro discorso ai cittadini di Rutherford Falls Nathan si scaglia contro quella che considera una malsana moda: la rimozione dei monumenti storici. Nel farlo inciampa nei più biechi cliché conservatori senza nemmeno rendersi conto della risposta muta del suo pubblico che non lo sta nemmeno a sentire.
Rutherford Falls è una show che ha infranto nuove barriere nel mondo della serialità. La storia dei nativi americani, infatti, è stata sempre considerata poco e male dalla televisione ed è una delle prime volte che, attraverso una sitcom, se ne parla apertamente andando oltre i soliti luoghi comuni.
Al tempo stesso si ha l’impressione che manchi qualcosa. Forse un po’ di coraggio. Forse un po’ più di irrisione e sfacciataggine. Forse persino un po’ più di impegno sociale.
Intendiamoci: la seria è scritta bene e gli attori, in maggioranza nativi, sono perfetti nei loro ruoli. Helms, poi, è davvero ottimo nel ruolo dell’uomo bianco intriso di conoscenze falsate da una narrazione storica chiaramente di parte, con quella sua aria stralunata e naif. Ed è splendido in coppia con Reagan, uno tra i personaggi femminili meglio scritti nell’universo di Schur, una donna intrisa di indulgenza e maturità che emana forza e moralità. La loro amicizia, così ricca di sfumature e mai scricchiolante sebbene siedano su barricate opposte, è la spina dorsale dello spettacolo e non è mai stucchevole né inverosimile.
Malgrado vengano affrontati argomenti spinosi come il colonialismo, le popolazioni native e il furto della loro terra e persino la cancel culture, Rutherford Falls non risulta essere un esperimento perché gli autori non sono inesperti, alle prime armi. In queste prime dieci puntate, infatti, è bene espresso tutto il loro talento e la loro capacità creativa. Si intuiscono anche chiaramente i loro sogni e le loro ambizioni. Restano invece latenti i loro bisogni, le loro necessità. Ed è proprio su questa latenze che viene a mancare, almeno per il momento, quella forza cumulativa tipica delle serie del SchurUniverse. Siamo ancora lontani da Brooklyn Nine-Nine, da Parks and Recreation e da Good Place, serie dove l’insieme dei personaggi ha reso esplosivo il prodotto finale. Ma i semi, quelle tipiche caratteristiche delle serie di Schur che vanno dalla sigla orecchiabile ai riferimenti pop, passando per i personaggi bizzarri, sono già stati piantati, innaffiati e sono pronti per germogliare Probabilmente occorre solo un po’ più di tempo e la giusta stagione. Magari già la seconda.