Scene da un Matrimonio è il titolo di una miniserie svedese di sei episodi creata dal grande maestro Ingmar Bergman, prima che i minuti venissero però ridotti da 281 a 167 e questa diventò un film, nel 1973, dall’omonimo titolo. Adesso, questa storia che continua a viaggiare nel tempo, portandosi dietro un bagaglio di inestimabile valore, ed è diventata una serie prodotta da HBO, trasmessa da Sky. Il debutto al Festival del cinema di Venezia ha solleticato le aspettative e il remake di questo storico capolavoro ha suscitato reazioni contrastanti, senz’altro tutte molto intense e sentite.
Alcuni spettatori hanno reputato atmosfere e dialoghi troppo stucchevoli, costruiti al limite della assurdità e altri che, al contrario, hanno visto in questo racconto uno spaccato di vita di notevole vividezza, capace di ricalcare una quotidianità realistica. La domanda sorta spontanea per chi conosce il film originale o perlomeno ne ha sentito parlare, è stata però: quanto questo nuovo prodotto, probabilmente figlio della nostra epoca, abbia potuto ricordare e omaggiare un grande regista come Bergman?
Trovare una risposta al quesito così posto non è poi così scontato, perché i punti di contatto e di discordanza su cui riflettere sono molteplici e aprono il varco a pensieri nuovi e diversi. Partiamo con la trama che rappresenta il punto di partenza fondamentale dell’intreccio. Marianne e Johan sono sposati da dieci anni, hanno due bambine e apparentemente sono una coppia felice, tuttavia qualche crepa nel loro matrimonio minaccia il fragile equilibrio costruito in questo tempo trascorso insieme. Sappiamo che nella stesura di questa sceneggiatura di immensa raffinatezza, Bergman attinse infatti alle sue esperienze personali. Decise di “fare tesoro” dei suoi matrimoni infelici di cui fu marito, traditore, e amante al punto che la stessa Ullmann, interprete di Marianne, definì l’esperienza sul set quasi un documentario più che una storia di finzione. Questa è, senza ombra di dubbio, una delle motivazioni per cui l’intensità con cui i temi di Scene da un matrimonio vengono sviscerati è potente, e risulta difficile prenderne le distanze, in un modo o nell’altro.
Analizzando questa contemporanea trasposizione di Hagai Levi, è subito chiaro il riferimento all’opera prima di cui la miniserie ha deciso di onorare l’eredità, portandosela sulla spalle, senza però lasciarsi schiacciare. L’opera di Bergman è un pazzesco concentrato di analisi dell’animo umano, in tutte le sue complicate ed enigmatiche sfumature. Le sensazioni altalenanti, le dinamiche emozionali e sentimentali, la necessità di decifrare linguaggi del viso e del corpo per elaborare una valida risposta a chi ci è di fronte, tutto questo significa stabilire un legame, una connessione che ci mette nelle condizioni di dover interpretare segnali, gesti e parole e che non sempre hanno una interpretazione univoca. Scene da un matrimonio è un faro puntato sulla mancanza di alfabetizzazione che gli umani hanno collezionato nei confronti delle relazioni. Oggigiorno abbiamo un corso per imparare qualsiasi cosa, cucinare, creare ceramiche, imparare a scrivere un romanzo e qualsiasi altra cosa vi venga in mente. Molto probabilmente c’è qualcuno, in una parte del mondo, disposto ad insegnarvela perché ne ha appreso segreti e requisiti imprenscindibili.
Non è lo stesso con le relazioni, soprattutto quando ad essere contemplato è l’Amore. Per quale ragione ci si innamora di qualcuno? Come si costruisce una solida relazione capace di resistere alle difficili circostanze della vita? Come si impara ad ascoltare l’altro e ad appoggiarlo, senza assecondarlo passivamente? Come si accetta la fine di una storia che in principio ci ha travolti in pieno ma che ora ci prosciuga e ci fa soltanto desiderare di essere altrove? Scene da un matrimonio sicuramente non fornisce le risposte a tutti questi nostri interrogativi ma ci avvicina ad uno scenario di coppia fra i tanti possibili, quello di Jonathan e Mira, come in passato quello di Jonah e Marianne. Riesce a farlo senza filtri, con una nitidezza a tratti spaventosa e, soprattutto, aprendo il varco a un’indagine che scandaglia l’animo di ciascuno, oltre ad essere inondati dalle schegge di quello dei protagonisti che vediamo sullo schermo.
La natura umana, con i suoi meccanismi psicologici e l’indecifrabilità delle emozioni è la protagonista assoluta di questi frammenti di storia, come ci ricorda il titolo. Si tratta di scene salienti che compendiamo momenti di fondamentale importanza, da cui dipendono le diramazioni di una strada in partenza immaginata come un rettilineo. Eppure, davanti a questi esplosivi concentrati di sentimento, rimaniamo attoniti perché sarebbe azzardato stabilire con esattezza quello che anima azioni e discorsi dei due personaggi coinvolti.
Scene da un matrimonio è l’anti-idealizzazione dei rapporti di coppia, della vita quotidiana condotta sotto lo stesso tetto, del modo di vivere la genitorialità e la sfera della sessualità.
Bergman dà vita ad una caustica battaglia dialogica con un saldo impianto registico teatrale tra due esseri caratterialmente coloriti. Levi, dal canto suo, decide di non stravolgere l’eredità ricevuta ma di attualizzarla, pur essendo consapevole che l’ “analfabetismo sentimentale” è rimasto lo stesso, immutato nel tempo e continuerà ad esistere in questo modo.
Non importa quanti anni siano trascorsi, quanto la società si sia evoluta e i ruoli di genere siano cambiati, i sentimenti sono sostanza in continuo divenire che difficilmente si impara a gestire. Nell’opera di Bergman, così come in quella contemporanea, questi due esseri umani vengono travolti dalle proprie vite, dalle inaspettate emozioni che si agitano nel loro inconscio. Non siamo chiamati, in nessuno dei due casi, a prendere le parti o schierarci. Scene da un matrimonio di Levi sceglie, così come Bergman, di ambientare la storia di coppia in un ambiente a tratti claustrofobico, in cui il mondo esterno viene tagliato fuori, assumendo così un’importanza minimale. Forse, a malapena questo remake, il rimando al mondo al di fuori delle mura dell’abitazione diventa più ricorrente ma niente di ciò che accade lì fuori è degno di essere mostrato dalla macchina da presa.
L’impianto meta-cinematografico scelto dal regista, il quale ci mostra alcuni minuti di backstage prima di dare inizio ad ogni episodio, onora senz’altro la predilezione di Bergman per un assetto teatrale granitico. Oltre alla fotografia, studiata attentamente per creare un evocativo contrasto tra calore del nido domestico e sgretolamento dell’idilliaca storia d’amore di Jonhatan e Mira, una scelta meritevoli di lodi è quella dei due attori protagonisti che hanno contribuito alla riuscita dell’eccezionale risultato finale. Oscar Isaac e Jessica Chastain, nei ruoli che furono di Erland Josephson e Liv Ullmann, hanno un’intesa travolgente, percepibile anche se dietro uno schermo. Si incastrano perfettamente colmandosi a vicenda e le loro interpretazioni funzionano così bene da farci dimenticare che si tratti di una commedia di finzione. I dialoghi costituiscono la maggior parte della sceneggiatura di questo piccolo capolavoro e sono espressione dei tormenti, delle incertezze e dell’incomunicabilità totale dei propri tumulti interiori.
Siamo abituati a personaggi compatti che non rifuggono mai da ciò che pensano e dicono e, invece, Scene da un matrimonio ci racconta di un uomo e una donna che fanno fatica ad essere coerenti con i propri pensieri e sentimenti. I due attori sono protagonisti anche dei piccoli gesti che ci regalano una sfumatura impercettibile e, al tempo stesso, densa di significato. Proprio per questo motivo davanti all’opera di Levi, così come era accaduto con quella di Bergman non possiamo rimanere indifferenti. Questo carico emozionale ci colpisce, ci scuote, ci tormenta e ci porta a riflettere su noi stessi e sul modo di costruire relazioni e rapporti. Quanto mettiamo in discussione di noi stessi per essere accomodanti e tenere accanto le persone che amiamo? Quanto siamo disposti a sopportare prima che il peso delle aspettative diventi insostenibile? Sicuramente Bergman ci parla di un mondo diverso, dove le relazioni di genere si costruivano in modo diversi, con presupposti diametralmente opposti. Un uomo proiettato verso il mondo fuori dalle mura di casa e una donna vincolata ai suoi ruoli di moglie e madre. In questa miniserie remake, al contrario, la donna si proietta fuori dalla realtà chiusa della casa e affronta il viaggio e cerca di mettere a tacere i suoi dissidi interiori attraverso un allontanamento fisico, anche se meno psicologico.
Siamo davanti ad un innegabile grande piccolo capolavoro che, dopo tanta ipocrisia, ci racconta senza edulcorazioni la difficoltà non solo di comprendere il prossimo, ma soprattutto noi stessi. Levi ha scelto di portare sul piccolo schermo un monumentale Bergman, che come tutti i grandi maestri, ha parlato anche per noi oggi, a distanza di decenni e in un mondo profondamente trasformato e diverso dal suo.