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Non c’è nulla di simile alla fredda e asettica estetica di Scissione

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ATTENZIONE! L’articolo potrebbe contenere SPOILERS della serie tv Scissione.

Minimale eppure angosciante. Così si presenta, fin dal primo episodio, Scissione (disponibile sul catalogo Apple TV+), la serie tv distopica che bussa con insistenza alle porte della nostra realtà. In quel dedalo fatto di corridoi tutti uguali a se stessi, stanza che sembrano chiudersi su chi vi lavora dentro. Una struttura di cui ci è noto solo l’interno, almeno all’inizio, tanto da farci credere che il mondo si riduca agli uffici della Lumon Industries. Essi sono un amalgama di design retrò-futuristico e minimalismo claustrofobico. Spazi ampi ma incredibilmente vuoti, pareti bianche e sterili, corridoi che sembrano non finire mai. Lo spazio di Scissione viene espressamente pensato per creare una sensazione di isolamento e deumanizzazione.

Un mondo sospeso nel tempo

Le scrivanie sono disposte in modo quasi surreale, lontane tra loro ma al tempo stesso disposte in un ambiente opprimente. I computer utilizzati dai dipendenti ricordano vecchi terminali degli anni ’80, con interfacce digitali volutamente anacronistiche, come se la tecnologia fosse rimasta bloccata in un’epoca indefinita. Gli stessi outie, che passano le loro interminabili vite in un loop di 8 ore lavorative, appaiono individui indefiniti, privati di una parte essenziale del loro essere tanto da renderceli impossibili da cogliere nella loro pienezza. Metà di un tutto, gli outie sono solo ingranaggi di una sterile catena di montaggio. Li piazza sul circuito, li fa muovere lungo percorsi ben definiti, li rimpiazza con estrema facilità una volta esaurito il loro compito. O peggio, una volta ribellatisi al movimento perenne del meccanismo.

Il tempo perde significato, esattamente come accade per gli outie. L’assenza stessa di riferimenti temporali precisi è strettamente legata al concetto di scissione alla base della serie. I lavoratori che si sottopongono al procedimento perdono completamente la consapevolezza di ciò che accade nel mondo fuori. Il loro tempo è un eterno presente lavorativo. Né la Lumon, come struttura, presenta elementi ambientali che possano contraddire questa idea.

Gli spazi infiniti e labirintici dell’azienda (che tornano insistentemente nella seconda stagione) amplificano la sensazione di disorientamento. Così come la mancanza di finestre o di foto, oggetti personali o qualsiasi altro elemento che possa suggerire un’evoluzione del tempo. In opposizione, invece, alla presenza di corridoi interminabili, stanze che sembrano ripetersi all’infinito e ambienti che appaiono e scompaiono come se obbedissero a logiche non euclidee. La Lumon non è solo un luogo di lavoro, ma un universo chiuso e autoreferenziale, in cui il concetto stesso di tempo viene manipolato per mantenere i dipendenti in uno stato di perpetua subordinazione.

Ed è questo che rende Scissione così inquietante: la sensazione che il tempo, invece di essere un flusso continuo, possa diventare una gabbia da cui è impossibile uscire.

Credits: Red Hour Productions

Il bianco, il verde e il vuoto

Il controllo totale esercitato sugli outie si riflette in ogni, apparentemente, insignificante aspetto dell’estetica di Scissione. La palette cromatica della serie gioca un ruolo fondamentale nell’evocare il senso di freddezza e alienazione. Il bianco, per esempio, domina gli ambienti lavorativi, conferendo una sensazione di sterilità e controllo. Il bianco, in Scissione, non rappresenta la purezza o la semplicità: è un bianco impersonale, freddo, che cancella l’identità e suggerisce una condizione di vuoto esistenziale. È il colore dell’oblio, della tabula rasa sulla quale la Lumon riscrive la vita lavorativa dei suoi impiegati dopo la procedura di scissione. Dentro quegli uffici, i personaggi non hanno passato né futuro, solo un eterno presente fatto di compiti privi di significato e regole arbitrarie.

La luce contribuisce a rafforzare questa sensazione: l’illuminazione è piatta, diffusa e priva di ombre, come se l’azienda volesse eliminare ogni zona d’ambiguità o introspezione. L’assenza di contrasti visivi riflette la mancanza di profondità della vita degli “Innie”, le versioni lavorative dei dipendenti, che non hanno alcuna memoria del mondo esterno.

Il verde pallido delle moquette e delle pareti suggerisce un’atmosfera ospedaliera, come se i dipendenti fossero pazienti inconsapevoli di un esperimento più grande di loro. È il colore degli spazi progettati per essere accoglienti ma che, nella loro artificiosità, suscitano un senso di disagio. Inoltre, il contrasto tra il verde e il bianco rafforza la sensazione di trovarsi in un ambiente volutamente progettato per contenere e manipolare i suoi abitanti. Il grigio si associa ai dipendenti, parti sacrificabili di un meccanismo molto più complesso. ll singolo lavoratore, come Mark S (interpretato da Adam Scott) è inglobato all’interno di una corporazione. Ridotto a numero, deve concentrarsi sull’obiettivo senza avere mai chiaro il quadro generale. In tal modo sarà più facile piegarlo e spezzarlo.

Il vuoto: l’assenza di identità in Scissione

Forse ancora più potente del bianco e del verde è ciò che Scissione riesce a comunicare attraverso l’uso del vuoto. Gli spazi all’interno della Lumon sono enormi, sproporzionati rispetto ai pochi arredi presenti. Gli uffici sembrano stanze destinate a contenere molte più persone di quelle effettivamente presenti, e i personaggi appaiono spesso piccoli e isolati in ambienti troppo vasti. Al di fuori della Lumon, il contrasto è evidente. Il mondo esterno è freddo, grigio, spesso immerso in un inverno perenne. Anche qui domina una sensazione di vuoto, che riflette l’apatia e il senso di smarrimento dei personaggi nella loro vita fuori.

Una scena dietro le quinte del primo episodio della seconda stagione di Scissione
Credits: Apple TV+

La geometria dell’oppressione

Un altro aspetto fondamentale è l’uso della simmetria, che in Scissione diventa un simbolo di rigore e costrizione. Le stanze, i corridoi e gli arredi sono disposti con una precisione quasi ossessiva, evocando un ordine artificiale che soffoca qualsiasi espressione di individualità. La perfezione inquietante, tipica delle distopie. Come nel caso di quel 1984 scritto da George Orwell, anche in questa società tutto è esattamente al suo posto. Il mondo creato così accuratamente da Kierge Eagan acquista maggiore valore e rilievo rispetto a quello fuori dalla Lumon, quello reale. Il primo è preciso e netto, il secondo imperfetto e volubile. Incrinato dalla volatilità dei sentimenti e dai desideri del singolo che inquinano il quadro completo.

La scissione riguarda l’intero tessuto narrativo, non solo i personaggi, ma anche gli spazi.

Molte scene utilizzano inquadrature perfettamente centrali, con i personaggi incorniciati nel mezzo di ambienti rigidamente simmetrici. Questo tipo di composizione visiva, ispirata al cinema di Kubrick, trasmette un senso di inevitabilità e predestinazione: i personaggi non possono sfuggire alla struttura che li imprigiona, perché il mondo stesso è costruito per mantenerli sotto controllo.