«Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare» (Sigmund Freud, Il perturbante, 1919)
Pochi saggi hanno influenzato la storia del cinema e della televisione come Il Perturbante di Sigmund Freud, un’opera che introduce il concetto di unheimliche, che come sottolinea il teorico culturale Mark Fisher è allo stesso tempo un sensazione e una modalità nella percezione e nella narrazione. L’unheimliche, il perturbante, fa riferimento allo straniamento nel mondo del familiare, “il modo in cui il mondo domestico non coincide con se stesso” (Fisher), la sensazione di disagio profondo che coglie l’essere umano quando qualcosa che dovrebbe apparire come naturale, quotidiana, familiare, all’improvviso si rivela non esserlo.
Il perturbante è l’essenza di molta della produzione horror e fantascientifica dell’ultimo secolo, che fa uso di espedienti narrativi come il doppio e androidi dall’apparenza umana (come in Westworld, della cui costruzione vi abbiamo raccontato qui). Scissione, straordinaria opera di Apple Tv+ che molti non esitano a definire già la serie televisiva dell’anno, fa proprio il senso del perturbante come descritto da Freud, mettendo in scena una vicenda in cui ogni aspetto – da quelli più tecnici a quelli puramente narrativi – riporta nello spettatore un’angoscia straniante, che deriva dal capovolgimento di una realtà che da familiare si rivela incomprensibile.
Scissione è ambientata in un mondo in cui è possibile sottoporsi a una procedura, la “scissione”, che divide il cervello in due, in modo che all’interno di uno stesso corpo possano convivere alternativamente due persone, ciascuna consapevole dell’esistenza dell’altra ma senza la possibilità né di comunicarci né di accedere ai suoi ricordi. Inizialmente sia allo spettatore che a coloro che si sottopongono alla procedura viene detto che la scissione porta alla nascita di una nuova persona detta innie, sveglia soltanto nelle ore dedicate al lavoro, che lascia il posto alla personalità originale (l’outie) ogni qualvolta il corpo si trovi al di fuori della Lumon, l’azienda che ha inventato la procedura e presso la quale vengono impiegati i innies.
“Scissione” gioca quindi con il concetto di doppio, ma in un modo innovativo, perché stavolta non è il corpo a sdoppiarsi, ma la persona, l’identità.
Non si tratta di personalità multiple, ma di persone differenti che vengono artificialmente e consciamente costrette a esistere nello stesso corpo, che vivono vite differenti e destinate a non intersecarsi mai. Le ragioni per cui i protagonisti della serie scelgono di smettere di esistere per qualche ora, lasciando che il loro corpo sia utilizzato da una nuova persona, che nasce dalla scissione e che spesso possiede caratteristiche caratteriali completamente diverse da quelle dell’outie corrispondente, sono diverse, ma ugualmente angoscianti.
L’essenza perturbante della serie, ciò che la rende così riuscita, è che lo straniamento che prova lo spettatore nel vedere l’opposizione tra outie e innie è nulla rispetto a quello che i protagonisti stessi vivono nell’istante in cui realizzano che la separazione netta delle due persone è una finzione, perché condividere un corpo significa dovere fare i conti con l’altro in ogni momento.
L’arrivo di Helly e la contemporanea scomparsa di Petey rappresentano l’avvenimento che sfuma per sempre il fittizio confine che scinde, in cui il perturbante che aveva sconvolto lo spettatore fin dalla prima scena inizia a farsi strada anche all’interno dei protagonisti, in entrambe le loro vite e persone. Vi è in particolare un’opposizione che riporta sullo schermo un senso di angoscia e disagio che scuotersi di dosso risulta impossibile: quella tra la innie Helly R. e la sua outie Helena Eagan, interpretate da un’impeccabile Britt Lower.
Se infatti nel corpo del protagonista Mark/Mark S. (Adam Scott) sembrano convivere due persone dalla personalità simile, come sottolineato anche dal viaggio che entrambe intraprendono indipendentemente l’una dall’altra per scoprire di cosa si occupa davvero la Lumon, Helly fin dal primo istante non accetta il suo status di innie, che le appare incomprensibile. Helly fa di tutto per scappare, si ferisce, minaccia, addirittura tenta il suicidio, consapevole che l’unico modo per essere libera è smettere di esistere e l’unico modo che ha per farlo è costringere Helena a lasciarla andare.
Le due persone non possono comunicare se non per video in differita, ma Helly trova un modo alternativo: distruggere quel corpo che in fondo non è altro che il debole ma inscindibile legame che la obbliga ad essere sottoposta a Helena.
La reazione dell’outie ai tentativi di sabotaggio rappresenta forse la scena più straniante di Scissione, il momento in cui il perturbante diventa reale protagonista della serie. Helena infatti, distaccata e decisa, terrorizza Helly affermando quello che tacitamente sapevamo essere vero: “Io sono una persona. Tu non lo sei”. La retorica fintamente buonista di cui è imbevuta volontariamente la serie fin dal primo istante, che contrasta con una fotografia asettica e una regia attenta alle forme e alle simmetrie, scompare definitivamente in questo istante.
Le belle parole che i capi della Lumon rivolgono ai loro dipendenti che si sono sottoposti alla scissione, l’indottrinamento costante a cui questi vengono sottoposti, la finta separazione tra le due persone che esistono all’interno e all’esterno del posto di lavoro, non sono che apparenza. Il doppio, espediente prediletto della narrazione che si rifà al perturbante, si rivela in tuta la sua potenza narrativa. Se degli outie di Irving, Burt e Dylan sappiamo troppo poco per renderci conto inizialmente della loro duplice persona, se l’outie Mark Scout e il innie Mark S. sembrano la stessa persona divisa in due, è attraverso la complessa contrapposizione tra Helly e Helena che comprendiamo a fondo perché “Scissione” riesce a farci così paura, perché la serie ci entra sotto pelle e non ci abbandona più.
Esistere e non esistere nello stesso istante, vivere vite che non dovrebbero mai incontrarsi e che invece si sovrappongono, abbandonarsi a una realtà che possa alleviare il dolore togliendoci però il diritto al nostro corpo, a ciò che ci dovrebbe essere più familiare in assoluto.
Il senso del perturbante è l’essenza stessa di Scissione, straordinaria nel mettere in scena una fantascienza non nuova ma talmente efficace da regalarci una delle migliori serie tv dell’anno. Tutto è alieno e ma stranamente familiare per i protagonisti, che si ritrovano a dover fare i conti con la perdita di controllo sulla propria persona, sul proprio corpo, sul proprio senso della realtà.
Non esistono punti fissi, tutto è costantemente messo in discussione. Ma l’individuazione di una risposta non è un’opzione, perché gli spazi sono tanto definiti quanto imperscrutabili. Scissione ci costringe a fare i conti con un’alienazione nuova, un ribaltamento del familiare che si traduce in uno spaesamento che tuttavia rende impossibile staccare gli occhi dallo schermo, perché la ricerca di un senso fa parte della natura umana.
Nel suo raccontare un mondo che non esiste, Scissione colpisce nel profondo, costringendo protagonisti e spettatori a chiedersi cosa significa esistere ed entro quali confini ciò sia possibile. Perché, in fondo, solo il perturbante ci rivela i limiti della nostra stessa umanità.