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Chi è davvero Perry Cox

Perry Cox
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Non dev’essere bello essere Perry Cox. Affatto. Non dev’essere piacevole convivere con quella sensazione di costante disagio, con gli occhi all’insù di chi maledice il creato e le mani dietro la nuca a cingere il capo. Quasi a impedire che esploda. Sentirsi, a ben donde, un vaso di ferro costretto a lavorare con molti vasi di terracotta.

Serie Tv

Quando pensiamo a Cox, istintivamente, ci torna il buon umore. D’altronde è uno dei personaggi più amati e divertenti del panorama seriale dell’ultimo decennio, su questo non ci piove. Va riconosciuto però un aspetto spesso sottovalutato: Perry Cox è anche una delle maschere comiche più tormentate di Scrubs. Un uomo che, sotto una corazza di muscoli e magliette attillate, nasconde una sensibilità che è costretto a tenere il più a fondo possibile. Semplicemente per sopravvivere, per non crollare.

L’unico modo per comprendere chi sia veramente Percival Ulysses Cox è mettersi nei suoi panni. Indossare il suo camice.

Perry Cox e il suo essere un tantino diretto

Se escludiamo le birre in bottiglia, le partite di football, il basket e lo sport americano in generale, c’è poco altro nella vita del Dr. Cox che prescinda dalla sua professione. Prima di ogni altra cosa infatti per definirlo bisogna partire dal suo lavoro. Perry è un medico. Non uno qualsiasi, no signore. È il migliore del Sacro Cuore per distacco (se escludiamo Kevin Casey) e di questo ne è più che consapevole.

Il suo talento è secondo solo alla considerazione che ha di se stesso. La sua ambizione è pari solo alla dedizione che mette nel proprio mestiere. Se c’è da restare intere giornate in ospedale è il primo a non fare una piega; se occorre sacrificare il proprio tempo libero per salvare qualcuno, anche a malincuore, è l’ultimo a tirarsi indietro.

La vita dei suoi pazienti viene sempre al primo posto. Magari non andrà d’accordo con tutti, per usare un eufemismo, ma il suo obiettivo non è familiarizzare o assicurare loro un piacevole soggiorno ospedaliero. Come un teorico del fordismo applicato alla medicina, opera come si trovasse in una catena di montaggio. Individua il problema, somministra la cura e avanti il prossimo. Niente convenevoli, niente smancerie. Quel che conta è che, a modo suo, tiene indistintamente alla salute di ognuno, senza risparmiarsi in ogni caso assegnatogli.

Cox insomma è totalmente devoto alla sua professione; uno stacanovista nato per indossare il camice, per indole e vocazione naturale. Avendo sacrificato tutto per diventare bravo nel proprio mestiere, esige che chi lavori al suo fianco garantisca il massimo dell’efficienza e della professionalità. Non ammette che si batta la fiacca quando si esercita la medicina, indi per cui è un vero flagello per i poveri specializzandi che capitano sotto la sua ala protettiva.

Oltre a essere un grande dottore, Perry Cox è, in seconda istanza, anche un ottimo insegnante. Severo e inflessibile, ma con un criterio pedagogico ben preciso.

Non esistono in nessuna lingua del mondo due parole più pericolose di ‘bel lavoro”. Nessuna frase renderebbe meglio l’idea di insegnamento di Perry Cox quanto queste parole di Terence Fletcher, il temibile insegnante di musica del film di Damien Chazelle, Whiplash.

Non sarà spietato come il Sergente Hartman di Full Metal Jacket, ma non è nemmeno un fervente sostenitore del metodo Montessori. Essere uno specializzando di Perry Cox insomma non è il massimo della vita. Almeno all’inizio. Una volta abituati alle sue sfuriate, ai suoi nomignoli e ai suoi monologhi interminabili con un numero variabile di vessazioni, si sopravvive più o meno agevolmente.

Uno degli obiettivi primari di Cox è quello di forgiare nei suoi giovani apprendisti un animo quasi totalmente desensibilizzato. Non per mero sadismo, sia ben chiaro, ma perché è convinto sia l’unico modo per sopravvivere più a lungo possibile con le insidie della propria professione. Stare quotidianamente a contatto con malattie, dolore e morte è roba per stomaci forti. Chi vuole eccellere e andare avanti deve necessariamente estraniarsi dall’emotività che comporta ogni caso, altrimenti è destinato a mollare.

Non c’è né il tempo né lo spazio per compatire i pazienti, non ci si può immedesimare nel dolore delle famiglie. Non si può star troppo a riflettere su quanta ingiustizia regni nel mondo ogni volta che si perde una vita, bisogna solo pensare alla prossima da salvare. Ci si deve esclusivamente focalizzare sul proprio dovere, farlo al massimo delle proprie possibilità senza che queste possano essere obnubilate da eventuali coinvolgimenti emotivi.

È questo il credo di Cox. Si può discutere se sia eticamente condivisibile o meno, ma è innegabile che, se è diventato il numero uno in ciò che fa, lo deve a questo approccio simil militaresco.

Registi

La sua filosofia in effetti non è dissimile da quella di un reduce di guerra. Ha la faccia di chi ne ha viste troppe e l’età di chi si è stufato di sottostare alle convenzioni sociali. Se ne frega di far finta che vada tutto bene solo per vendere bene la propria immagine alla gente. Perry Cox è un uomo senza filtri, dall’ego smisurato e, paradossalmente, dalle mille contraddizioni.

Figaro qua, Figaro là, Figaro su, Figaro giù. La giornata tipo di Perry è una sorta di loop infinito del Largo al factotum di Rossini. L’Ospedale è il suo habitat, il regno in cui si aggira senza fermarsi un attimo, come un leone della savana a caccia delle proprie prede. Solo che, nel suo caso, il più delle volte sono le prede stesse a cercarlo e a venire da lui.

Nonostante sia temutissimo, chiunque al Sacro Cuore si precipita a fare la fila per chiedere il suo aiuto. Si cerca un suo parere sia per questioni di vita o di morte che per frivole inezie. O, ancora peggio, lo si interroga su questioni burocratiche per le quali non nutre il minimo interesse. Il più delle volte chi osa disturbarlo viene sbranato sia dialetticamente che emotivamente, mettendo a repentaglio anche la propria incolumità fisica se non è lesto a darsela a gambe.

Malgrado esiga di essere lasciato in pace, sbuffando e borbottando a più riprese, la verità è un’altra. Come gli ricorda Bob Kelso, Perry Cox non sa più vivere senza questi continui assilli. In fondo al suo cuore adora essere il factotum dell’ospedale, apprezza che tutti pendano dalle sua labbra cercandolo insistentemente. Anche se non lo ammetterà mai, non può fare a meno di sentirsi il salvatore della patria di colleghi e pazienti.

Il che ci porta a esplorare il suo lato più umano, forse il più interessante. Assodato a più riprese chi sia il Dr. Cox nella sua veste pubblica, cosa possiamo dire dell’uomo Perry, nella sua accezione più intima?

Come è già stato detto, c’è poco altro nella vita di Cox che vada al di là della propria sfera lavorativa. Conduce la vita dell’americano medio, senza concedersi lussi o eccessi di alcun tipo. La sua serata ideale non contempla altro che birra, divano e partita in Tv, da godersi da solo con indosso la maglia della propria squadra del cuore.

Da buon ego-maniaco, è un martello anche nella cura meticolosa del suo corpo. Dedica gran parte del proprio tempo libero alla palestra e all’esercizio fisico, con il rigore e la costanza tipici del suo essere. Fondamentalmente è un lupo solitario, talmente innamorato della propria libertà da ripudiare ogni sorta compromesso e di contatto umano. Una persona così di solito non dura a lungo con nessuna donna. O forse no.

Per ironia della sorte, Perry Cox non poteva che innamorarsi dell’unica donna con un carattere talmente simile al suo da riuscire a tenergli testa. L’infatuazione con Carla è stata passeggera, il suo cuore batte solo per la persona capace di manipolarlo più volte a proprio piacimento. Capace di farlo sentire  indifeso, una volta tanto. Jordan, per tutti questi motivi, è davvero l’anima gemella di Perry. È simile, se non uguale a lui, per tempra, caratteraccio e totale disinteresse di buon costume e qualsivoglia convenzione sociale. Sebbene l’uno cerchi sempre di mostrarsi forte agli occhi dell’altra, entrambi finiscono per sciogliersi, svelando a poco a poco l’un l’altro le proprie vulnerabilità.

È con Jordan e col piccolo Jack che, a tratti, riemerge da Perry quella sensibilità che è costretto a soffocare quando è a lavoro. Quell’emotività che, se liberata, rischierebbe di farlo crollare, come nell’episodio 5×20. Il cinismo non è altro che una corazza da indossare, per sopravvivere a un ambiente e a una vita che altrimenti rischierebbero di divorarlo.

Scrubs

Cox lo sa bene, e non può e non vuole mostrarsi debole in nessun caso con i propri colleghi.

Non può esternare a Kelso che, sotto sotto, col tempo ha maturato un profondo rispetto e nutrito una sincera gratitudine nei suoi confronti. Men che meno può dire a J.D. ciò che tutti noi dall’esterno abbiamo sempre saputo. È orgoglioso del medico che è diventato, vuole bene a quello strano e triste omuncolo in cui ha intravisto del potenziale dal primo momento in cui vi ha posato gli occhi.

Il suo metodo di insegnamento, con molto bastone e poca carota, si può dire che abbia funzionato sia con lui che con Barbie. Anche i diretti interessati alla lunga ne sono divenuti consapevoli, dato che solo quando si finisce dall’altra parte della cattedra si apprezza il lavoro dei propri maestri. Pur con alti e bassi, continuano ad amarlo senza riserve. E noi a ruota con lui.

Tutto questo è Perry Cox, prendere o lasciare. Un medico eccelso che vive la propria vita come fosse al timone del Titanic, ma con le spalle larghe e la saggezza necessarie a evitare che affondi. Nella realtà spesso non basta una vita intera per giudicare una persona. Nelle Serie Tv, per fortuna, otto stagioni (più una) di solito sono più che sufficienti.

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