Anno 1999. Bill Lawrence decide di rivoluzionare il mondo della Tv comedy realizzando Scrubs, una Serie destinata a rimanere negli annali. Non è il primo caso in cui il drama e la commedia si fondono per dare vita a un ibrido ma, data l’epoca, parliamo di un prodotto assolutamente all’avanguardia. Il tipo di comicità e le tematiche approfondite, infatti, rendono l’ospedale, luogo in cui si sviluppa la maggior parte degli eventi, metafora della vita. Il risultato è una carrellata di risate miste a lacrime.
ATTENZIONE: Stiamo per addentrarci in un campo minato di SPOILER. Se non avete visto Scrubs, e in particolare l’episodio 1×04, si salvi chi può. Fuggite sciocchi. Look away.
Il lunatico e sognatore JD. Il candido Turk a cui è impossibile non voler bene. La complessata Elliot. Cox, mentore burbero, esilarante e orgoglioso. L’inserviente, geniale e fuori dagli schemi. Kelso, il capro espiatorio. Il timido e sudaticcio Ted. Difficilmente un’altra Serie Tv è stata in grado di regalarci un numero così elevato di personaggi iconici. Altrettanto difficile è tenerne il passo poichè Scrubs, in mezzo a tante risate, ci ha riservato numerosi epiloghi sconvolgenti.
Probabilmente quello che ricordiamo con maggiore tristezza, per l’impatto emotivo suscitato, è il finale della 3×14: la morte di Ben Sullivan (una delle 10 morti più sconvolgenti dell’intero panorama seriale). Altrettanto famoso è quello della 5×20 in cui Cox sbrocca dopo aver perso tre pazienti, sulle note di How To Save a Life. Momenti atroci che si sono rivelati un duro colpo tanto per i personaggi quanto per noi spettatori. Ma che Scrubs fosse una Serie di questo tipo ce l’ha fatto intuire sin dalle prime battute.
Dopo le prime puntate introduttive, utili a familiarizzare con i personaggi e con la storia, giungiamo al quarto episodio: ‘My Old Lady’. I nostri tre specializzandi principali – JD, Turk, Elliot – sono alle prese con altrettanti pazienti di età , condizione ed estrazione sociale totalmente diversi. La signora Tanner è una simpatica 74enne con un problema ai reni; David è un giovanissimo appassionato di Baseball che, durante l’operazione all’ernia, scopre di avere un tumore in fase avanzata; la signora Guerrero, una donna latina di mezza età afflitta da Lupus.
La voce narrante di JD ci avverte:
“In una giornata media al Sacro Cuore muore un paziente su tre”
Al che noi spettatori comprendiamo: verso la fine della puntata uno di quei tre non sopravvivrà .
Più l’episodio va avanti maggiormente entriamo in empatia con i tre soggetti. Implicitamente la Serie, tanto profonda quanto bastarda, ci chiede un enorme sforzo. Ci impone di riflettere su chi possa essere la vittima: operazione che non possiamo fare senza un pizzico di cinismo. Ma Scrubs se lo può permettere perchè una delle sue più grandi qualità è quella di coinvolgere e immedesimare lo spettatore in maniera esemplare. Nel bene o nel male.
La logica imporrebbe un nome su tutti: la signora Tanner. La nonnina è di una simpatia immensa, portatrice sana di vitalità . Lo capiamo quando, malgrado la gravità della sua situazione, fugge dall’ospedale per festeggiare il compleanno della nipotina. La sua sottotrama procede tra gag e battute fino alla mazzata che piomba su JD e anche su di noi: è lei stessa ad opporsi alle cure, considerandosi pronta ad accettare la morte senza rimpianti.
“E così dicono che uno su tre dei nostri pazienti muore qui. Ma ci sono giorni in cui va anche peggio”
A questo punto siamo completamente adirati con Scrubs. Ci ha fatto affezionare a una simpatica donnina per poi farci assistere alla sua fine. E invece no. Non è “la sua fine” perchè in certi giorni va anche peggio. La vita stessa, nella sua imprevedibilità , può andare peggio del solito. Infatti ad aggravarsi non è solo la Tanner ma anche la signora Guerrero e il giovane David. E nessuno potrà essere salvato.
Non una mazzata, dunque, ma ben tre, ben assestate. Scrubs ci ha mostrato, per la prima volta, di che pasta è fatto, dimostrandosi molto più brutale di quello che credevamo. Lo ha fatto attraverso una condotta dell’episodio magistrale, non solo unendo comicità e tragedia, ma anche portando avanti una sceneggiatura spaventosamente efficace. Le due cose diverranno delle costanti della Serie fino alla fine (fine = ottava stagione, of course).
Tuttavia il messaggio dell’episodio non è cinismo allo stato puro. Urge ribadirlo, come farà Cox in un’altra memorabile puntata poco più avanti (la 1×15). Il finale, per quanto denso di tristezza, rappresenta uno snodo fondamentale per i personaggi.
Turk ha finalmente imparato a familiarizzare con i suoi pazienti; Elliot comincia a fare amicizia con Carla e intraprende un lunghissimo percorso verso l’autostima; JD può finalmente stendersi su un prato a contemplare quante e quali cose vuole fare nella sua vita. Persino l’orgoglioso e burbero dottor Cox si palesa in tutta la sua umanità consolando, nel suo stile, Elliot.
Tutta la Serie, in effetti, non è cinica quanto intrisa di un crudo realismo.
Ci saranno dei momenti in cui gli autori alzeranno il tiro e farà ancora più male. In altre occasioni la verosimiglianza sarà sfruttata per farci ridere o riflettere in maniera più soft. Risate e lacrime ci accompagneranno fino al magnifico ultimo atto (remember: ottava stagione!) di questa meravigliosa esperienza seriale. Ma da questo punto di vista, schietta com’è, aveva provato ad avvertirci fin dal quarto episodio: ora lo sappiamo.