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Riguardandolo “da grande” è successo: mi sono trovata in disaccordo con Scrubs

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Certi capolavori non invecchiano mai o, al massimo, quando lo fanno ci ricordano come eravamo non troppo tempo fa: uno di questi è Scrubs, una vera scuola di vita (qui trovate la prescrizione per un rewatch annuale). Ma forse non sono davvero i capolavori a invecchiare o almeno non solo loro: siamo noi e, guardandoci indietro, ci accorgiamo di tutti i limiti che avevamo quando eravamo giovani e inesperti.

Proprio come i protagonisti di Scrubs.

Quest’anno ho riguardato Scrubs avendo più anni dei protagonisti quando cominciano il loro tirocinio al Sacro Cuore: e, per la prima volta, certi aspetti di quella comedy mi hanno provocato una reazione diversa dalla risata. Quando cresci con uno show televisivo la componente emotiva a volte è troppo forte per riuscire a separare la qualità oggettiva dalla nostra impressione personale e affezione. Nel mio caso, pur riconoscendo alcuni difetti di Scrubs come show, non riesco a non pensarci comunque come la comedy che mi ha cresciuta.

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Ma nonostante questo, ci sono alcune cose che mi hanno provocato il bisogno di riflettere e chiedermi se questa serie tv non fosse invecchiata male, sotto certi aspetti. Perché non poteva essere solo un mio problema.

Prendiamo le cose più innocue: le battute a sfondo sessuale. Ora, in tempi di #metoo, è diventato sempre più difficile per le comedy far ridere senza poter contare sui cari, vecchi stereotipi di genere. Scrubs, in questo, si è sempre comportata egregiamente, confinando questo genere di comicità a personaggi borderline: il malefico dottor Kelso, Todd il chirurgo ninfomane e segretamente gay, il misantropo dottor Cox. In questo modo la carica comica è intatta e la risata scaturisce senza sensi di colpa e senza che la serie possa essere tacciata di veicolare messaggi sessisti.

Ma per altre cose Scrubs non è per nulla all’avanguardia: il messaggio che passa in alcuni momenti (per niente comedy) è che la donna sia biologicamente destinata a donare la vita e, non solo, ad accudirla e proteggerla come unica destinataria di tale compito. La figura del maschio è più sfuggente, dedita al culto dei piaceri personali e, in alcuni casi, alla fuga dalle responsabilità.

Anche per quanto riguarda il mondo omosessuale Scrubs mostra i segni del tempo: nei primi anni Duemila il tema non era ancora così ampiamente sdoganato anche in ambito seriale e la narrazione lo rispecchia. Nella serie gli omosessuali non esistono o, se esistono, sono macchiette, stereotipi che assolvono la funzione di strappare una risata (con conseguente riflessione).

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Ma è nel rapporto con le classi esterne all’ospedale che Scrubs mostra non i segni del tempo, ma una visione decisamente classista. Pensiamo a quando viene introdotto il personaggio di Dan, il fratello di JD, nella seconda stagione. Dan viene presentato come un fallito totale: ha 40 anni e vive con la madre, sogna una vita migliore e fa il barista nel locale dove andavano a bere da ragazzi. Per tutta la puntata JD non fa che sminuire e umiliare il fratello, perché si vergogna di lui: anche in seguito, lo rispetterà solamente quando sarà diventato uno speculatore finanziario e guadagnerà bene.

Cosa c’è di male a fare il barista, secondo Scrubs?

In generale, le altre classi sociali diverse dal medico e dal chirurgo sono trattate con sufficienza da questi ultimi (e loro stessi, fra loro, non si sopportano). Chiunque non rispecchi l’ideale di arrivismo sociale che incarnano i dottori viene visto come un fallito, nel perfetto stile di una società in cui solo chi ha un’assicurazione sanitaria può curarsi. Persino l’amicizia viene scavalcata, in nome del classismo: Carla, “la più in gamba di tutte fuori dall’ospedale”, per ammissione del suo stesso marito Turk, viene sminuita in diverse occasioni perché infermiera e quindi, conseguentemente, insoddisfatta.

Il pregiudizio e il classismo in Scrubs appartengono alla serie fino a un certo punto: e quel confine è il suo protagonista, JD. Attraverso i suoi occhi vediamo il mondo e la sua visione è parziale, fallace e intrisa di pregiudizi e spocchiosità. Giudica Elliot un’incapace in campo medico, sminuisce continuamente i suoi risultati, salvo cadere ai suoi piedi perché solo come femmina riesce a smuovergli qualcosa dentro. Giudica Carla una del ghetto che ne è uscita, ma non sarà mai alla sua altezza perché non è un dottore. E anche per il suo amico del cuore Turk non ha sempre bei pensieri: lo ama, ma non lo rispetta come professionista.

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JD cresce davvero quando si toglie i paraocchi che lo accecano e vede il mondo per com’è: lui non è meglio degli altri perché è medico. A volte, essere medico lo rende peggiore.

Amiamo JD perché nonostante i suoi difetti è un personaggio straordinario: lui incarna uno dei messaggi più profondi e sottovalutati della serie. Ovvero che molti dottori credono di poter giudicare gli altri per le loro scelte o, a volte, solo per il loro destino. Scrubs ci mostra la contraddizione connaturata alla professione più assistenzialista e insieme meno empatica che esista: che il classismo sia insito nella serie o sia un filtro trasmesso dalla visione del protagonista, poco importa.

Il rapporto di superiorità auto indotta dei protagonisti con il mondo extra accademico è quanto di più reale possa esistere: Scrubs non è una serie che fa del moralismo, ma mostra uno spaccato di realtà, a volte aumentata, ma sempre (talvolta scomodamente) ancorata alla vita vera.

Finalmente JD è cresciuto, alla fine: ma la cosa importante è che siamo finalmente cresciuti anche noi. Abbastanza da apprezzare un capolavoro, pur con i suoi difetti.

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