Quello sguardo di Cox nella 3×14 di Scrubs. Quel dannato sguardo di Cox. Non lo scorderemo mai. Non scorderemo mai quel momento irripetibile e devastante. Perché il dolore di Perry era diventato il nostro. La sua presa di consapevolezza la nostra. Perché, in fondo, anche noi sapevamo. Ma negavamo a noi stessi la verità. Negavamo la morte di Ben. Con una costruzione d’intreccio fantastica, Bill Lawrence, il creatore e regista di Scrubs, ci aveva avvertito.
Ma la verità era troppo tremenda, troppo pesante. Ci siamo allora rifugiati in qualcos’altro. In un’apparenza fugace e consolante. Non ci siamo neppure chiesti a chi si riferisse J.D. quando, sconsolato, annunciava a Cox all’ottavo minuto dell’episodio che “Venti minuti dopo che [Cox, NdR] è uscito, ha avuto un infarto”. Il ‘lui’ sottinteso, non poteva che essere il paziente di J.D. Lo abbiamo creduto senza esitazione. Perché Scrubs ci aveva abituato alle morti dei pazienti.
Ma a questo non eravamo pronti. Non lo si è mai.
Quando perdiamo qualcuno il tempo sembra fermarsi. Ogni cosa pare ovattarsi e tutto intorno a noi è una bolla, un’enorme bolla che ci protegge, ma contestualmente isola da tutto il resto. Si sta bene in quella bolla. Riparati dal vento di un inverno troppo rigido. Da tutto ciò che ci fa sentire esposti e vulnerabili. Ma non si può vivere in quella bolla. Fuori, per quanto tremenda, c’è la vita. E la vita ci chiama.
Noi come Cox non possiamo, non vogliamo rispondere subito alla vita. Vogliamo vivere l’illusione di una festa di bambini. Di un Ben allegro e divertente come sempre. Quando J.D. ci rivela che ‘lui’ ha avuto un infarto, quel ‘lui’ è un paziente. Succede. Non dovrebbe, non così. Ma era anziano, aveva un’aritmia e stava già morendo. È la vita. È la morte.
Ma Scrubs è troppo reale, troppo vero, troppo concreto per poter attutire il colpo. Quando, a inizio episodio, Cox domanda a Ben se “Non ti sei ancora stancato di fare foto a qualsiasi cosa, eh?” la risposta è la profezia inascoltata. Il grido di Cassandra. “Finché avrò vita”. “Until the day I die”. Fino a quel momento Ben aveva interagito con J.D., con le sorelle, con Ted. Ma quando J.D. dà la notizia al suo Perry, e subito dopo Ben si palesa, c’è qualcosa di diverso.
“Finché avrò vita”. La sua macchina fotografica è sparita.
Il simbolo della sua irresistibile, vitale, vivida estemporaneità non c’è più e non tornerà più. Ben non c’è più. Ci ha lasciato stroncato da un infarto, esito comune per un malato di leucemia. Ma per noi quel dettaglio, quella macchina fotografica mancante, non esiste. E non ci importa che Ben non interagisca più con nessuno. Per noi Ben è lì. Non può che essere lì. Al fianco del dr. Cox, al fianco del suo migliore amico. Non è così grave la sua condizione. In fondo sta bene, no?
“Il senso di colpa a volte porta alla negazione”, ci avvisa, fuori campo, JD con la consueta voce della coscienza. Ma cosa dovremmo negare? No, Ben è lì e sorride. Irresistibile come sempre. E non ci importa neppure che quando Cox sospende J.D., accanto al protagonista di Scrubs, si intraveda qualcuno di molto simile al paziente affetto da aritmia. No, non è lui. Come può essere? Quel paziente è morto.
Era uno qualunque. Era anziano. Nessuno è infallibile. Cox perdonerà se stesso e J.D. per quanto accaduto e tutto tornerà come prima. In fondo è questo il mondo in una bolla che ogni comedy ci ha sempre regalato, no? Una realtà in cui ogni cosa alla fine si ricompone e ci lascia col sorriso incoraggiante di chi spera che anche la vita sia così. Ma Scrubs non è una comedy e forse, fino a quel momento, fino a quel terribile sguardo sconvolto di Cox, non ne eravamo davvero consapevoli.
Finché la bolla non scoppia la vita scorre tranquilla, seppur attutita.
Ma nell’aria c’è qualcosa. Un senso di sospensione. Lo intuiamo, ma decidiamo, più o meno consapevolmente, di ignorarlo. Lo sguardo di J.D., le parole di Cox che afferma: “Io ho una regola: non vado mai a feste in cui l’ospite d’onore non ha idea di cosa succede”. Certo, il figlio di Perry è troppo piccolo per capire cosa sarebbe accaduto. Si riferiva a questo, no?
Anche quando J.D., abbattuto e sconvolto, riferisce al suo mentore che “Ha chiamato Jordan, vuole essere sicura che Lei venga oggi”, non dubitiamo che si riferisca alla festa per Jack. Perfino sul finale quando Ben, rivolgendosi al suo amico, lo ringrazia per essere lì, non ci viene alcun dubbio. Non ci chiediamo perché mai Ben debba ringraziare Cox per essere alla festa di suo figlio. No, perché tutto si è ricomposto. J.D. e Perry hanno fatto pace. Tutto è andato come dovrebbe sempre andare. Un piacevole finale.
Ma Scrubs ha rubato un briciolo di vita. L’ha strappata alla nostra realtà fin dal primo episodio. Ma solo in questa 3×14, in questa puntata dal titolo profetico, “Il mio sconvolgimento”, ce ne siamo resi davvero conto. Perché ci è stata sbattuta in faccia con una violenza inaudita. Proprio come a volte fa il mondo. Quando meno te lo aspetti. Quando tutto nella tua bolla sembra poter andare come deve.
E invece niente è come sembra.
Scrubs ci aveva avvertito, aveva provato a prepararci. Aveva seminato la storia di indizi, di pesanti suggerimenti. Ma noi siamo rimasti chiusi nella nostra confortante visione del mondo. Tutti erano sconvolti intorno a noi e noi abbiamo fatto finta di non vedere. Abbiamo fatto nostra la negazione del dr. Cox. Perché, semplicemente, era più facile.
Ma prima o poi quella bolla scoppia. E quello che ti resta non è altro che la sconfortante solitudine del dolore. Siamo soli nella nostra sofferenza. È da solo, Perry Cox, ora che non può far altro che accettare la tremenda realtà. La realtà di Scrubs e della vita. “Dove pensa che siamo?”. Anche se la speranza non ci lascia mai perché “Alla fine l’importante è accettare che per quanto ti senta solo, per quanto sia doloroso, con l’aiuto di chi ti è vicino ce la potrai fare”.
Dolore e amore. Solitudine e conforto.
Perché è nei rapporti con gli altri e non in una bolla d’isolamento che possiamo trovare la forza e la vita. Scrubs ce l’ha svelato. E la speranza è che almeno questa rivelazione non venga ignorata. Che anche noi, come Cox, possiamo trovare la forza per reagire grazie al sostegno di chi ci ama. E lasciarci alle spalle una negazione rassicurante, ma falsa. Perché non c’è vita senza accettazione e condivisione del dolore.
Non c’è solo sofferenza, anche se saremmo portati a crederlo. Un giorno, quelle nostre fantasie confortanti potranno avverarsi, almeno un po’. Almeno per un po’. E non sarà una bolla pronta a scoppiare. Sarà tutto reale, reso ancora più profondo dal dolore e dalla sofferenza attraversati e superati. “E chi dice che non accadrà? Chi può dirmi che le mie fantasie non si avvereranno, almeno stavolta?”.