ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere spoiler su See.
Che sia attraverso un romanzo, un film o una serie tv, il genere distopico ha sempre esercitato un grande fascino sul pubblico. Immaginandosi un futuro in cui tutto ciò che conosciamo viene meno, queste opere ci spingono infatti a riflettere sul nostro presente, così come sulla natura dell’essere umano. Come ci comporteremmo se il pianeta venisse sconvolto da un’epidemia zombie? O se il mondo diventasse un deserto di ghiaccio in seguito al tentativo di porre rimedio al surriscaldamento globale? E se un regime teocratico totalitario prendesse il comando degli Stati Uniti, sottomettendo la popolazione femminile? Domande critiche alle quali show come The Walking Dead, Snowpiercer e The Handmaid’s Tale hanno cercato di rispondere, proponendoci storie che funzionano quasi sempre perché capaci di mantenere vivo un dibattito su tempi sempre attuali. La serialità ci ha inoltre mostrato quanto questo genere narrativo si possa combinare con successo con altri filoni (poliziesco, horror, commedia, azione e così via), portando così a prodotti non solo in grado di spingere alla riflessione ma anche di intrattenere.
Nata dal genio creativo di Steven Knight, See riesce a fare entrambe le cose, dando una nuova direzione al genere distopico grazie a una premessa affascinante. In un futuro non troppo lontano, l’umanità viene decimata a causa di un’epidemia causata da un virus, lasciando i pochi sopravvissuti (non più di 2 milioni di persone) senza il senso della vista. Anni dopo, le nuove generazioni sono tornate a vivere in uno stato primitivo e tribale: non ci sono più grandi città e tecnologie avanzate, ma villaggi, clan rivali e armi bianche. I luoghi appartenuti al passato sono stati abbandonati alla natura e intemperie, oppure riadattati funzionalmente come la diga su cui erge Kenzua, la capitale del Regno di Payan. In questo mondo spoglio delle comodità del passato, la cecità è considerata l’assoluta normalità. L’umanità infatti si è adattata alla mancanza di uno dei sensi più importanti per noi oggi, arrivando a considerarlo non solo superfluo ma anche fonte di ogni male. Chiunque possegga il dono della vista è infatti etichettato come eretico o strega. Un portatore di luce che, se in passato era associata alla razionalità, in questo futuro distopico è invece sinonimo di malvagità. È proprio per questo che Baba Voss (qui troverete alcune curiosità sul suo interprete, Jason Momoa) e Maghra (Hera Hilman) faranno di tutto pur di proteggere i loro figli vedenti dai Witchfinder, soldati con il compito di cacciare e giustiziare streghe ed eretici.
Siamo dunque di fronte a un contesto molto diverso da quello del nostro presente, ma che ne conserva comunque alcuni pregiudizi, così come la paura del diverso. Una paura che gioca principalmente sul senso della vista, il nucleo tematico più efficace della prima stagione di See.
La sua assenza o presenza è infatti la chiave attraverso la quale è possibile comprendere l’universo in cui si sviluppa lo show, così come coloro che lo popolano. Da un lato abbiamo chi è cieco sin dalla nascita, uomini e donne che hanno imparato tanto a muoversi quanto a interagire nel buio. Difatti, il non vedersi non è un motivo per ignorarsi, anzi. Le interazioni fra i personaggi non vedenti sono ancora più intime e ravvicinate proprio a causa della cecità. Per sentirsi e capirsi è necessario stare vicini, una realtà che vediamo soprattutto nella tribù degli Alkenny in cui c’è un autentico senso di comunità, di vicinanza fisica ed emotiva. Inoltre, nonostante la cecità, i protagonisti mostrano una grande consapevolezza di sé. Volgendo lo sguardo verso se stesse piuttosto che al di fuori di sé, le varie personalità dello show trovano la propria identità, costruendo la loro morale e principi. E mentre molti decidono di rimanere ancorati a essi senza alcuna possibilità di cambiamento, altri invece dimostreranno di essere disposti ad ampliare le proprie vedute, o quantomeno ad aprire la propria mente a ciò che è sconosciuto per il bene dei propri cari.
Dall’altro lato abbiamo invece i vedenti che, pur adattandosi alla vita della propria comunità, non possono che vedere il mondo attraverso un punto di vista diverso, interrogandosi sia su se stessi che sul loro posto nel mondo. La vista di cui sono dotati è un dono o una maledizione? Il loro destino è quello di nascondersi per sempre, oppure iniziare una nuova vita in cui riportare nel mondo le conoscenze del passato? Il poter vedere li rende superiori al resto della popolazione, oppure è una comodità superflua in un mondo di abili ciechi? Tutte domande che abbiamo visto tormentare Haniwa (Nesta Cooper) e Kofun (Archie Madekwe) più volte nel corso degli episodi, e che non hanno avuto mai risposte facili o immediate. Difatti, niente è totalmente bianco o nero nel mondo di See, così come una verità non ne esclude necessariamente un’altra.
Dunque nonostante potesse rivelarsi uno show statico e difficile da sviluppare, See è riuscito a mettere al centro della sua narrazione un dilemma che non solo ha spinto alla riflessione ma ha anche funzionato come catalizzatore degli eventi.
Ma per quanto fondamentale, il tema della vista non è di per sé il cuore dello show, che trova la sua vera forza nelle dinamiche che legano i personaggi. Nelle relazioni di famiglia, amicizia, amore e fedeltà, così come in quelle di ostilità, odio e rancore. Emozioni che in alcuni casi trascendono la logica, e che in altri affondano le radici nell’oscuro e traumatico passato dei protagonisti. Ma al di là di quella che può essere la loro natura, ciò che accomuna questi sentimenti è il loro potere di spingere i personaggi ad agire e interagire, a essere figure attive in un mondo in cui, per l’assenza della vista, ci si potrebbe immaginare una tendenza alla staticità. Ma come vi abbiamo già accennato, nel mondo di See ben poco è statico. Dopo alcuni episodi più lenti e introduttivi (necessari per il world building), la serie ci introduce infatti a una vera e propria avventura. La quiete della vita degli Alkenny viene infatti messa da parte per lasciare spazio al tema del viaggio, sia fisico che mentale. Basti pensare a quello della famiglia di Baba Voss, alla ricerca della Casa del Chiarore. A quello di Tamacti Jun, intenzionato a trovare Jerlamarel e i suoi figli, o ancora a quello psicologico della regina Kane, in balia della sua follia e paranoie.
La cecità dunque non è un ostacolo nel percorso dei protagonisti, anzi. L’assenza della vista rafforza tanto gli altri sensi quanto la forza d’animo e sensibilità dei protagonisti (o la follia e imprevedibilità, nel caso della Regina). Non c’è dunque da stupirsi se i personaggi più interessanti siano quelli ciechi piuttosto che i vedenti. È vero, Kofun, Haniwa e Wren si dimostrano fondamentali per il vantaggio tattico in battaglia e per la speranza in un futuro migliore. Ma alla fine dei conti è Baba Voss a rapire gli spettatori con il suo amore di padre e la sua furia di guerriero. È la follia della Regina Kane a intrigarci e inquietarci. È la perspicacia e magia di Paris a farci avvicinare a un mondo che, per quanto diverso, non ha potuto che catturare la nostra immaginazione.
Con la deriva action della seconda stagione, c’era il rischio che lo show mettesse da parte il suo aspetto più introspettivo, dimenticandosi così di dare corpo alle relazioni.
Fortunatamente non è stato così. La prima stagione ci aveva proposto storyline che hanno giocato con il senso di scoperta, l’importanza della famiglia, l’odio e il pregiudizio nei confronti del diverso. Nella seconda, See ha dato molto spazio ai giochi di potere e alle grandi battaglie, ma ha trovato anche il tempo per parlarci ancora una volta di amore (familiare e non), della ricerca della propria identità, così come delle ombre del passato di Baba Voss. Tutte questioni che sono state inserite nel tessuto narrativo con coerenza, espandendo l’universo dello show e mostrandoci la sua capacità di far empatizzare il pubblico.
Inoltre, se si va oltre alcune facilonerie ed errori narrativi, lo show si rivela anche un’ottimo mezzo con il quale riflettere su tematiche importanti come l’ambientalismo, il razzismo e la paura del diverso. Tutte tematiche “viste” attraverso gli occhi di una società lontana dalla nostra, ma non poi così diversa. Allo stesso modo la realtà tribale, apparentemente diversa dalla nostra, ha saputo descriverci diversi tipi di relazioni con una delicatezza e intimità comprensibile anche dallo spettatore moderno. Si parla infatti di faide familiari, di amore incondizionato, di rancore e risentimento. Legami ed emozioni con cui è facile empatizzare, soprattutto grazie alla performance di un cast veramente azzeccato. Basti pensare al solo Jason Momoa: l‘attore aveva già dato prova della sua eccezionale presenza fisica nei film e serie tv nei quali aveva partecipato, ma in See dimostra di saper anche toccare il cuore degli spettatori. L’attore ha infatti portato la giusta dose di amore paterno e furia guerriera al suo Baba Voss, una delle figure più intriganti dello show (se non la più intrigante).
Sicuramente lo show ha ancora tanta strada da fare, ma già con le sue prime due stagioni ci ha mostrato quanto la sua bellezza non risieda solo nel comparto tecnico.
Non possiamo negarlo: fotografia, scenografia e regia sono ammalianti, oltre che sempre in linea con la storia raccontata. La stessa cosa si può dire di costumi e make-up, capaci di dare ancor più personalità ai personaggi e di accontentare il gusto estetico del pubblico. Ma tutti questi elementi, così come l’azione e le coreografie delle battaglie, non avrebbero alcun significato senza il nucleo emotivo posto al centro di ogni vicenda. Gli eventi ai quali assistiamo non sono mai fini a se stessi, ma generati da dinamiche vecchie e nuove, da emozioni nobili o deplorevoli. Da sentimenti forti e imprevedibili, comprensibili da chiunque, ciechi e non.
Dunque, See ci ha mostrato quanto sia possibile interagire e agire anche in un mondo senza vista. In un mondo in cui, liberi da un senso oggi fondamentale, sia ancora possibile amare e costruirsi una vita, così come distruggerla. La deriva action della seconda stagione ha portato nello show una dinamicità che ci ha parlato proprio di questo, ma sono ancora i sentimenti e i piccoli dettagli a rendere See così intrigante. Per quanto le grandi battaglie siano ben coreografate e godibili, è negli scambi intimi fra i personaggi che lo show brilla davvero, oltre che nei grandi discorsi motivazionali di Maghra e Baba Voss. Monologhi che ci parlano di senso di comunità, di famiglia, così come del desiderio di creare un futuro in cui le nostre differenze verranno finalmente messe da parte. See riuscirà in questa missione? Ancora non lo sappiamo, ma non ci resta che continuare a seguire lo show per scoprirlo.