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See sta soffrendo ingiustamente la reputazione di una partenza zoppicante

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Dopo due anni dal suo debutto su Apple TV+, See è tornata sui nostri schermi con una seconda stagione che si è rivelata piuttosto avvincente. Ma prima di entrare nel dettaglio, facciamo un passo indietro e ripercorriamo la storia altalenante di See. Quando uscì nel 2019, la serie ideata da Steven Knight (Peaky Blinders, Taboo) ha suscitato curiosità non solo per la presenza di Jason Momoa, ma anche per una premessa tanto insolita quanto interessante. La prima stagione ci ha infatti introdotto in un futuro distopico (qui vi abbiamo parlato del perché le serie distopiche funzionano quasi sempre) in cui la popolazione è stata decimata da un virus, risparmiando poco più di 2 milioni di persone. A causa di questa terribile epidemia le generazioni future nasceranno senza il dono della vista, riorganizzandosi in una società tribale con tradizioni e costumi esplorati sin dai primi episodi. Dunque, l’intento dello show non è mai stato la ricerca delle cause dell’epidemia quanto più l’esplorazione di questo nuovo mondo in cui uno dei nostri sensi più importanti è venuto a mancare. Di una realtà in cui quello che per noi oggi è scontato in un futuro lontano è invece considerato come un’eresia, così come la fonte del male che ha portato alla distruzione della società passata.

Considerato il presupposto iniziale, è chiaro quanto Knight abbia cercato di allontanarsi dagli stereotipi del genere post-apocalittico, rimescolando le carte e proponendo un contesto inedito. Tuttavia, nonostante l’ottimo valore produttivo (scenografie, costumi, cast e location), la prima stagione ha fatto fatica a decollare, passando in sordina sia a causa della piattaforma su cui uscita che per una serie di perplessità condivise da gran parte del pubblico. Prendiamo ad esempio uno degli elementi cardine dello show, la cecità: raccontare una storia in cui i protagonisti non vedono attraverso un media in cui la vista è fondamentale è già di per sé discordante. Difatti, il punto di “vista” dei personaggi raramente si allinea con quello del pubblico, tanto che molti degli elementi dello show sembrano essere stati inseriti più per la comprensione e il piacere degli spettatori (che ci vedono) piuttosto che per le personalità che si muovono cieche all’interno dell’universo di Knight.

Allo stesso modo, la società di See ci viene descritta nei suoi aspetti più pratici attraverso delle facilonerie che potrebbe aver fatto storcere il naso agli spettatori più attenti ai dettagli.

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Basti pensare alla presenza di bottiglie di plastica conservatosi perfettamente dopo anni, o alla costruzione di trappole complesse che difficilmente un cieco potrebbe realizzare. O ancora all’attenzione per i vestiti e le acconciature, così come i combattimenti precisi in situazioni di estremo caos, in cui gli input uditivi potrebbero essere troppi anche per chi ha un udito affinato. Tuttavia, ci sono anche diversi dettagli che invece risultano più verosimili e coerenti con la situazione in cui vivono i personaggi: le corde tese per le strade dei villaggi per facilitare l’orientamento, l’uso di segnali uditivi per segnalare la propria posizione, l’alfabeto fatto di nodi su una cordicella e i campanellini messi alle porte delle abitazioni per annunciare la propria presenza. Dunque, nonostante alcuni elementi risultino più superficiali e improbabili rispetto ad altri, è chiaro quanto per See sia stato fatto uno studio antropologico che, nel bene e nel male, ha costruito un buon contesto per lo show. Un nuovo universo che, in quanto fittizio e ambientato in un futuro lontano, è aperto alla sospensione dell’incredulità – o perlomeno al compromesso – di fronte certe soluzioni narrative.

Tuttavia, per costruire le fondamenta della propria storia, la prima stagione si è soffermata un po’ troppo sul world building, soprattutto nei primi episodi. Dovendo soddisfare la necessità di introdurre lo spettatore a un nuovo mondo – fatto di tribù, regni e nomenclature spesso difficili da ricordare – i primi episodi hanno finito per risultare molto lenti e descrittivi, annoiando così coloro che sono abituati a ritmi più incalzanti. Fortunatamente, dopo questa fase iniziale, lo show ci ha introdotto alla storia vera e propria, contrapponendo il tema del viaggio con la sicurezza della vita quotidiana, lontana dai pericoli ma anche dalla possibilità di inseguire la conoscenza. Preso il ritmo giusto, la serie è dunque riuscita a catturare l’attenzione del pubblico, mostrandoci quanto potesse offrirci sia momenti di azione che di emozione.

Come vi abbiamo anticipato, See è infatti spettacolare.

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Il comparto tecnico dello show è di primo livello, fra location splendide, fotografia mozzafiato e un’estetica che difficilmente non stuzzicherà l’interesse dello spettatore. Gli abiti, i gioielli e le armi ci ricordano un passato lontano riadattato però a un contesto post-apocalittico, mentre le coreografie dei vari combattimenti – soprattutto quelli che coinvolgono Baba Voss – sono originali e mai scontate. Ma ancor più che nell’elemento action, la vera forza dello show sta nei personaggi e nelle relazioni che li legano. Il personaggio di Jason Momoa si dimostra particolarmente carismatico, tanto amorevole e paterno nella vita privata quanto violento e letale nelle situazioni di conflitto. Alfre Woodard porta la giusta dose di solennità e leggerezza alla sua Paris, Sylvia Hoeks si cala perfettamente nell’inquietante e imprevedibile follia della Regina Kane, mentre Christian Camargo incarna alla perfezione la devozione e letalità del Generale Witchfinder Tamacti Jun. Siamo dunque di fronte a un cast che è riuscito a dare il giusto respiro ai loro personaggi, conferendo loro la profondità necessaria per renderli credibili.

Purtroppo, nella prima stagione ci sono stati anche protagonisti che non sono stati all’altezza delle aspettative, in particolare Haniwa e Kofun. Tuttavia, nonostante la mancanza di carisma, i due fratelli portano con sé il nucleo tematico più efficace di See: la condizione di vedenti in un mondo in cui la vista è sì un grande dono e potere, ma allo stesso tempo anche una terribile condanna. Difatti, nello show la luce, in passato legata alla razionalità, viene associata all’oscurità e al male. È proprio grazie a questo concetto che lo show ha potuto parlare di tematiche come l’ambientalismo e il razzismo, portandoci a riflettere sulla paura del diverso e l’ignoranza che attanaglia ancora l’umanità nonostante i mille cambiamenti vissuti.

Dunque, nella sua prima stagione See ha mostrato tanti punti di forza quante debolezze.

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Il tentativo di andare oltre gli stereotipi di genere e il concept che gioca sull’assenza della vista vanno sicuramente elogiati. Tuttavia, la scrittura non ha sempre centrato il segno, tanto da non riuscire a coinvolgere lo spettatore sin da subito. Ma pur non riuscendo a reggere il peso delle proprie ambizioni nei primi episodi, con il passare del tempo See ha dimostrato di avere qualcosa da raccontare, intrecciando più linee narrative e introducendoci a una vera e propria avventura. Con il suo primo ciclo di puntate, lo show ci ha mostrato dunque di star intraprendendo la giusta direzione, pur dovendo ancora trovare un equilibrio fra mitologia, approfondimento dei personaggi e conflitti raccontati. Un equilibrio che sembra essere stato raggiungo dalla seconda stagione, che infatti risulta più coinvolgente e ponderata.

Anche se il world building continua, ormai siamo nel vivo della storia, che viene ripresa esattamente da dove era stata lasciata. Il pubblico si ritrova così in un contesto che già conosceva, potendo apprezzare ancora di più le vicende mostrate e le nuove informazioni introdotte. Difatti, l’universo di See viene ampliato, introducendo nuovi elementi interessanti che si incastrano alla perfezione con la mitologia della prima stagione. Inoltre, rispetto a quest’ultima, i nuovi episodi subiscono un notevole cambio di direzione, dovuto soprattutto alla presenza del nuovo showrunner Jonathan Tropper. Con il suo coinvolgimento, lo show è diventato infatti molto più dinamico: nonostante la presenza di alcuni momenti improbabili, lo show riesce a brillare grazie alla spettacolarità dei suoi piani sequenza, così come alla regia dall’approccio più violento nei combattimenti. Anche dal punto di vista narrativo la serie è riuscita a espandersi, attraverso l’introduzione di nuovi personaggi e location.

A questo proposito va sicuramente citato Edo Voss, necessario sia per indossare i panni di villain che per comprendere meglio gli altri personaggi e il contesto in cui vivono.

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Attraverso il personaggio di Dave Bautista, lo show ci parla dell’oscuro passato di Baba Voss, ma allo stesso tempo ci proietta verso il futuro del protagonista e del regno di Payan. Inoltre, con l’introduzione di Trivantes, la forza militare più potente nel continente, capiamo quanto la vista non sia considerata solo come un’eresia e qualcosa da temere, ma anche come una risorsa per dominare su più territori possibili. Dunque, grazie a queste nuove informazioni, i personaggi che avevamo conosciuto evolvono e portano avanti il loro percorso senza mai rimanere completamente statici.

Baba è sempre il padre amorevole e leader carismatico della prima stagione, e con il conflitto con Edo la sua storia si innerva di una tensione che non ha potuto che giovare allo show. Haniwa e Kofun, i meno forti nella stagione precedente, iniziano a crescere, prendendo strade diverse grazie anche all’interazione con nuovi personaggi (Wren nel caso di Haniwa, Toad nel caso di Kofun). Vecchie conoscenze come Tamacti Jun riescono a reinserirsi nella storia, trovando il modo di redimersi, mentre Kane riconferma la sua natura violenta e imprevedibile, in opposizione a quella dolce e ragionevole di Maghra. Per quanto riguarda invece le new entry, fortunatamente sono riuscite a inserirsi con coerenza nella storia, arricchendola e regalandoci anche interazioni divertenti. Basti pensare a Toad, il mentore di Kofun, o a Lord Harlan, signore di Pennsa che, in assenza della forza fisica, sfrutta ingegno e astuzia per prevalere sul prossimo (ricordandoci così un po’ il Ditocorto di Game of Thrones).

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Dunque, nella seconda stagione ogni personalità avanza all’interno della storia, che sia in virtù degli eventi o dei legami con il passato. Rispetto al primo ciclo di episodi, ci si sofferma meno sull’esotismo tribale e più sulle vicende e i conflitti, senza però mai mettere da parte i temi dello show: l’importanza della famiglia, la vista come segno di pregiudizio, invidia e desiderio. L’amicizia e le prime esperienze sessuali, così come gli intrighi di corte con risvolti incestuosi che, ancora una volta, non possono che ricordarci Game of Thrones. Inoltre, anche l’aspetto tecnico si riconferma come uno dei punti forti dello show. La messinscena è più in forma che mai, anche con la forte deriva action che però non oscura mai completamente lo spirito originario di See. Allo stesso modo, fotografia, costumi e recitazione hanno saputo catturare il pubblico ancor più che nella prima stagione, immergendolo in un universo in cui il futuro distopico incontra elementi del passato (basti pensare agli abiti e le armi scelte per Baba Voss, chiaro omaggio alla cultura giapponese).

Nonostante una partenza zoppicante, See si sta rivelando uno show che vale la pena recuperare.

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Con questa seconda stagione non solo è stata messa nuova carne al fuoco, ma sono state seminate le premesse per il futuro della serie. Ora che l’universo è stato definitivo, i personaggi hanno dato prova di cosa sono capaci e di ciò che potrebbero diventare, mostrandoci potenzialità che potrebbero spianare la strada a un prodotto davvero interessante. Ovviamente i punti deboli non mancano, partendo dalle scorciatoie narrative fino ad alcune lacune nella scrittura. Ma ciò non toglie il fatto che See ha comunque qualcosa da offrire, ovvero un mondo intrigante e inedito nel quale far perdere gli spettatori. Dunque, nonostante i dubbi e i pregiudizi iniziali, il mondo e la storia pensati da Steven Knight si stanno rivelando vincenti, grazie a elementi narrativi e tecnici che potrebbero stupirci ulteriormente in futuro. Il conflitto fra i fratelli Voss, la guerra fra Trivantes e Payan e la follia di Kane sono sicuramente tutte ottime premesse. Dunque, non possiamo che sperare che la terza stagione, già confermata, possa continuare su questa promettente strada.

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