5) Twin Peaks – Brizzolato, ma non per vecchiaia
Spesso non si guarda che col cuore.
Ciò che vediamo non è necessariamente ciò che sentiamo sia giusto vedere in una determinata situazione, pertanto cerchiamo un rimpiazzo ideale, che rimarrà imperituro ai singoli. Come un “oggetto sostitutivo” per un bambino, o l’immagine selettiva di uno “scotoma transitorio” che ne rimpiazza un’altra assente.
E’ ciò che accade con uno dei cliffhangers a metà della seconda stagione di “Twin Peaks”.
A conoscenza di ciò che è stato negato e concesso al “Maestro” David Lynch, l’amaro in bocca per il modo in cui questo colpo di scena si sarebbe potuto lavorare è impellente.
Le visionarie sequenze che inducono perennemente ad interrogarsi sulla propria natura, di quella del male istintivo insito in ognuno di noi, collocate al metronomo guida dell’evocativo sonoro hanno reso il momento dell’interrogatorio di Leiland Palmer, la scoperta della possessione di Bob e l’intero finale di puntata ugualmente indimenticabili.
Come diceva Jung, bisogna capire le immagini del proprio inconscio e non rifiutare la responsabilità morale che abbiamo nei loro confronti.
Anche in questo caso, abbiamo una responsabilità morale nei confronti delle immagini del nostro inconscio: quelle che ci aiutano ad immaginare il modo in cui Lynch avrebbe raccontato questo stralcio di esperienza immerso nella “monade” delle serie televisive, se non fosse stato vittima delle malsane pressioni della mittente.
6) American Horror Story Asylum – Sublimazione Freudiana
Lana è seduta sul morbido ed accomodante divano della calda ed altrettanto affabile dimora del Dottor Thredson. Nessun gesto avrebbe potuto infondere tanta indissolubile fiducia, se non quello di liberarla dalla scabrosa sede di soprusi ed immoralità del Briarcliff Asylum.
Tuttavia, il sentimento che ha albergato fino al momento in cui varca la soglia sembra volersi smentire da solo. L’atmosfera si capovolge.
Questo non perché la cupa risonanza di inquietudine oscilla e si diffonde nel salotto del dottore come una cappa di fumo che si infrange al soffitto.
Probabilmente, nemmeno perché il suo occhio cade casualmente su di una lampada di ambigua fattura, apparentemente fatta di pelle umana, che sembra emanare voluttuosità e perversione.
Certo, tutto ciò non passa inosservato.
Ma il vero indizio probante è scritto sullo sguardo dalle latenze torve dello psicanalista, su quell’abbraccio di attenzioni indebite che soffocano la serenità ed allarmano come un topo tra gli elefanti.
L’irrequieta necessità della sublimazione della violenza ed i complessi edipici travagliano la mente dell’uomo che, di li a poco, si rivelerà essere il sanguinario “Bloody Face”.