3) SI PARTE DAGLI ATTORI, LA SCENEGGIATURA È UNA CONSEGUENZA – Altro punto: è possibile costruire un filone narrativo intrigante utilizzando gli attori come presupposto e non come mezzo? No, non lo è. L’Italia televisiva pullula di attori più in evidenza per le qualità mediatiche che per quelle recitative. Immaginereste Gabriel Garko nei panni di Frank Underwood? Manuela Arcuri in un ruolo femminile qualunque di “Game of Thrones“? Beppe Fiorello (si attende al varco il Dio in salsa sicula) in versione John Watson di “Sherlock“? No, probabilmente no. Rai e Mediaset hanno dei personaggi di riferimento da proporre e riproporre a prescindere dal ruolo da interpretare. La costruzione della storia è un passaggio successivo. Ogni attore (o presunto tale) porta con sé un bagaglio di profili stereotipati da mescolare, rivedere, adattare a tempi e modi simili tra loro. Il risultato finale è “Il peccato e la vergogna”. Oppure “Le tre rose di Eva”. Oppure “Dio: una storia italiana” (ancora da scrivere, meglio evitare gli spoiler). All’estero funzionerebbero? Sì, per ironizzare sugli italiani.
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