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5 motivi per cui le serie tv italiane non funzionano all’estero

serie italiane

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5) MA QUESTA NON È L’ITALIA – Una bottiglieria della Garbatella ed un prete ciclista con un giubbotto in pelle (Henry Winkler, celebre interprete del Fonzie di “Happy Days”, compirà settant’anni il prossimo 30 ottobre) sono i massimi esempi di trasgressione concessi nelle serie tv generaliste. E dire che l’Italia, “povera patria”, è un libro aperto dai filoni narrativi sorprendenti, inquietanti e, per questo, intriganti. È sufficiente osservare la realtà e costruire la sceneggiatura con crudezza e sincerità (l’America di House of Cards” lo fa). L’Italia non è solo un Paese di santi, navigatori e poeti, ma anche delle mille contraddizioni. Le favole, dopo un po’, annoiano, la realtà di tutti i giorni no. Sky, dal canto suo, ha avviato un percorso in questo senso ed i risultati si vedono: Gomorra e “Romanzo Criminale” sono sbarcati negli Stati Uniti con ottimi risultati, a differenza della stragrande maggioranza delle fiction Rai e Mediaset. Proporre una televisione diversa, quindi, è possibile: solo a quel punto si potrà esportare fino in fondo. Ma gli italiani sono italiani, non sono internazionali. Non ora, non tutti. Tra cinquant’anni forse sì. Fino ad allora saranno valide le parole dello sceneggiatore Aprea, rivolte a René Ferretti: “Questa è l’Italia del futuro: un Paese di musichette, mentre fuori c’è la morte! È questo che devi fare tu.” Non siamo mica gli americani, d’altronde.

@antoniocasu_

 

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