2. Utopia
Quattro giovani ragazzi sono i protagonisti della serie, tutti membri di un forum dedicato a “The Utopia Experiments“, un graphic novel di cui l’autore è morto in circostanze sospette, in un ospedale psichiatrico, lasciando l’opera incompiuta.
I ragazzi decideranno di incontrarsi nel momento in cui verranno a conoscenza della sconvolgente esistenza di un inedito manoscritto contenente il sequel del romanzo, al fine di intraprenderne la ricerca. Sulle tracce di quest’ultimo, tuttavia, è presente anche un’organizzazione dal nome “The Network“.
Il motivo è grottesco ma drasticamente motivante e ragion per cui la serie assume la valenza sociale che lo accosta concettualmente ai lavori di Kubrick: il manoscritto conterrebbe, in maniera subliminale, informazioni segrete su una potenziale arma di distruzione di massa.
Per comprendere l’antifona di “Utopia“, è necessario identificarlo per l’antitesi che mostra tra nome e contenuto, tra utopia e distopia, e somatizzare il tutto in un così semplice e banale desiderio: l’utopia, appunto, sociale. Quella soluzione ultima che qualche secolo fa veniva professata con la “teoria social-utopistica” di Marx, con il disperato desiderio di una società priva di interesse egoistico. Priva di tutti gli elementi che Kubrick esalta al fine di renderli palpabili e scansabili come ostacoli.
Attraverso “Utopia” viene raccontato il desiderio contaminato dall’inconscio che lavora su pezzi di immagini compromesse e surrogati di solipsismo ed alterigia come valori mascherati.
3. American Horror Story – Hotel
L’ultima stagione di “American Horror Story“, così come le storie di tutte le quattro stagioni precedenti, interseca trame e sotto-trame, lega i personaggi con conseguenze di vicende prevaricatrici: il tutto per unire ogni singolo elemento e condurlo ad un male univoco che si esprime in forme differenti.
I fatti di “American Horror Story Hotel” non si legheranno certamente a quel tipo di male legato al complottismo che alberga nei piani alti della società, ma in comune con le opere di Kubrick c’è senza alcuna ombra di dubbio la struttura visiva, lo stile, il simbolismo, la geometria e, soprattutto, il tratto distintivo di cui Kubrick è considerato il pioniere: il famigerato “ultraviolence“.
Gli “equilibri” delle vicissitudini dell’hotel del terrore, di cui “La Contessa” Elizabeth Johnson (interpretata dall’eccentrica ed, all’occorrenza, voluttuosa Lady Gaga) è proprietaria, vengono rotti dall’arrivo dell’assassino sulle cui tracce c’è il detective John Lowe, sopraffatto dall’incombenza di un male inguaribile: la perdita di uno dei suoi due figli, il piccolo Holden. L’approdo di John all’Hotel Cortez sarà l’inizio della resurrezione di una paranoia e dei sensi di colpa che, stavolta, hanno l’agrodolce sapore di evanescente ritorno e l’inizio, per noi, di uno spettacolo visivo che fa da evidente omaggio alla geometria ed al passaggio dal minimalismo all’impressionismo tipici di Kubrick.
Dalle immagini iconiche, come quella degli inquietanti bambini, rivisitazione della coppia di gemelle in Shining, alla riproduzione fedele della moquette dell’Overlook Hotel, fino alle inquadrature dalla limpida e raggelante precisione simmetrica e potere dirompente ed evocativo dei colori in un’ambientazione non casualmente simbiotica a quella in cui brancolava l’altalenante personalità in bilico tra lucidità e delirio di Jack Nicholson.