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5 Serie Tv (volutamente) piene zeppe di stereotipi assurdi

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Gli stereotipi sono modelli preconfezionati che disegnano idee e azioni a misura di ogni essere vivente. Le serie tv riproducono spesso questi schemi in chiave realistica o provocatoria, mostrandoci quanto gli esseri umani siano i più grandi attori di quel teatro chiamato società. Nell’articolo parleremo degli stereotipi più assurdi in termini scenografici o concettuali partendo dalla sit-com provocatoria per eccellenza: After Life. Che lo show abbia inizio.

1) After Life

After Life

La serie tv di Ricky Gervais parla degli stereotipi che girano intorno al concetto di dolore e lo fa con personaggi bizzarri. La serie segue il lutto di Tony, ma mostra i pregiudizi che investono tutti coloro che soffrono, come se il dolore seguisse delle regole. È così che Ricky Gervais ci mostra, in tono aspro, personaggi al liminare della vita. Come Brian, un uomo irriverente e fuori dalle righe con i suoi occhiali neri e i capelli unti. La fisicità così caratteristica e le azioni estremizzate di questi personaggi ci smuovono qualcosa dentro, è difficile riconoscersi in loro ma allo stesso tempo è facile provare empatia per la loro solitudine. Kath è una quarantenne single in cui si possono riconoscere tante donne, ma è anche acida a volte e scontrosa con le persone a lei vicine. James è un ragazzo interrotto, non è riuscito a trovare uno scopo nella vita eppure non si muove oltre le mura della sua stessa ingenuità. Personaggi che sono parodia di se stessi e per i quali proviamo tenerezza, ma anche biasimo perché Ricky Gervais usa lo stereotipo per smuovere il torpore di una società che insegue l’illusorio ideale di normalità.

2) Mad Men

After Life

Se ti muovi bene fra un paio d’anni abiterai in città (…) se poi ti muovi veramente bene abiterai in campagna e non dovrai mai più lavorare”

Mad Men è una serie tv ambientata negli anni ‘60, il periodo storico promotore degli stereotipi sociali. Siamo nel periodo del boom economico in cui le aziende assumono forza lavoro relegando la donna a posizioni subordinate. Mad Men è lo specchio di un mondo elegante ma rigido e il protagonista ne è il perno. Don Draper è il direttore creativo dell’agenzia pubblicitaria Sterling & Cooper, è un uomo professionale e geniale, ma anche gerarchico. Mentre in After Life gli stereotipi hanno una funzione provocatoria, in Mad Men servono a riprodurre le sfide dell’uomo moderno. È come una esperimento sociologico in cui si cerca di capire quanto i personaggi si adattino ai ruoli scelti per loro. Presto detto, Don è il classico business man con carriera e famiglia, ma mette in discussione tutto domandandosi cosa sia la felicità. Peggy Olson è l’altra faccia della medaglia, è una donna di valori che cerca una carriera e combatte con un mondo che la vuole assertiva e disponibile. Peggy riuscirà a trovarsi un posto nel mondo a volte ribellandosi, altre volte adattandosi alle regole che lei stessa rifiuta. Poi c’è Joan Holloway, il classico stereotipo di donna compiacente e sensuale, una mangiauomini che accetta di seguire queste regole non scritte. Infine c’è Pete Campbell, il giovane arrivista e fedifrago, maschilista fino all’osso rimarrà sempre intrappolato in questi meccanismi. Personaggi squisitamente vintage, eleganti e interessanti, vittime di una società consumistica che li appaga materialmente, ma li svuota emotivamente.

3) The Goldbergs

After Life

The Goldbergs (qui uno scandalo che riguarda uno dei protagonisti) è una serie tv ambientata negli anni Ottanta che vede protagonista la vera famiglia del creatore della serie, Adam Goldbergs. Le vicende si dipanano lungo le avventure – soprattutto domestiche – della famiglia di Adam e, a differenza della visione semi-realistica di After Life, Adam non rende stereotipi solo i personaggi, ma anche l’ambiente e la scenografia. È tutto portato all’estremo in un luogo esageratamente anni Ottanta. Le case sono tappezzate di carte da parati coloratissime e soffocanti, ogni personaggio ha un look che incarna il boom economico. Erica la sorella di Adam sembra uscita da una scatola di Barbie, indossa spesso leggins plasticosi e brillanti, trucco azzurro e capelli vaporosi. Beverly è la classica madre premurosa con un linguaggio caricaturale ed eccessivamente materno. I Goldbergs sembrano quasi la famiglia Simpson in carne ed ossa: il padre seduto davanti alla TV con i figli che si fanno dei dispetti alla Bart e Lisa. Insomma, l’estremizzazione umoristica ci mostra come un ragazzino adolescente viveva negli anni del consumismo e degli spot del game boy.

4) The Good Place

The Good Place

In The Good Place abbiamo il piacere di stare in compagnia di Kristen Bell, un’attrice frizzante e divertente. La serie è apparentemente leggera, ma in realtà sotto il ramo parodistico si nasconde un’ombra filosofica che mette in discussione la grande sfida tra bene e male. La nostra protagonista, Eleanor, è molto somigliante al protagonista di After Life. Entrambi sono persone ciniche slegate dagli affari del mondo, ma alla fine mostrano il loro lato migliore aiutando i loro amici. La trama è ambientata in una sorta di paradiso in cui finisce Eleanor dopo la sua morte, ma in realtà il luogo di quei perfetti frozen yogurt è l’inferno creato da Michael una sorta di progettista cosmico. Il tema filosofico giustifica l’assurdità di quei luoghi che cambiano continuamente scenario per creare dilemmi esistenziali. Vediamo piovere gamberi enormi dal cielo o animali improbabili. È come in una commedia dell’assurdo, dove Michael è un progettista bambinone, Janet è una sorta di robot che ha la conoscenza di tutto l’universo ma si fa fregare da tutti. Jason si finge monaco buddhista nonostante le sue carenze culturali. Insomma tutti i personaggi sono surreali, ma in realtà sono una perfetta cornice per un quadro divertente e di contenuto.

5) Superstore

Superstore

Superstore è ambientato nel supermercato Cloud 9 e racconta le vicende di tutti i suoi dipendenti, capo compreso. Il Cloud 9 è più che un supermercato, è un universo di dinamiche sociali che sono metaforicamente rappresentate da stereotipi di ogni genere. In questo caso lo stereotipo si lega al fine satirico e alla critica sociale che cambia puntata dopo puntata. Razzismo, discriminazione di genere, femminismo intersezionale, body shaming, disoccupazione e violenza, tutti temi introdotti in chiave parodistica per filtrare un messaggio che arrivi a tutti. Nonostante la critica sociale non ci sono soluzioni che dividono giusto e sbagliato in due appetitose portate. Ogni personaggio è caricaturale ma complesso perché è altrettanto complesso il fenomeno che rappresenta. Myrtle è uno di quei personaggi che non sai se odiare per le sue uscite razziste o amare per ciò che è: un’anziana abbandonata e costretta a lavorare fino alla morte. Sandra è una donna single non troppo sveglia e snobbata da tutti, ma che ogni tanto compie azioni non tanto benevole. Ogni personaggio è lo stereotipo di qualcosa che nasconde sempre un lato più profondo ed è per questo che le nostre risate sono accompagnate da curiosità, è la chiave del successo di questa sit-com.

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