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7 Serie Tv che hanno tentato inutilmente di raccontare la Generazione Z col linguaggio di un vecchio boomer

and just like that
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Cosa passa nella mente di un giovane non lo sa nemmeno il giovane stesso. Figuriamoci uno sceneggiatore di mezza età che si ritrova a scrivere un solo dialogo oppure un intero script in cui i personaggi coinvolti hanno meno di 25 anni. A questo punto lo sceneggiatore ha due opzioni. No, fingersi morto non è tra queste. La prima opzione, la più nobile, è quella di osservare, indagare, raccogliere dati e testimonianze dirette per raccontare cosa significhi davvero essere giovani in un certo momento storico. Come hanno fatto con Euphoria o Sex Education, per intenderci. La seconda, quella imbarazzante, consiste nell’attivare il pilota automatico. Prima lo sceneggiatore si sforza di ricordare come si sentiva quando aveva approssimativamente vent’anni. Dopo di che ficca in bocca ai personaggi qualcosa che suoni più o meno come quello che sente dire agli esemplari di mammifero umano più piccoli. Poi spera che nessuno si accorga che un giovane del XXI secolo non è davvero come l’ha rappresentato. Che And Just Like That sembrasse lo zio ultra cinquantenne che arriva alla festa di compleanno di suo nipote ascoltando Cardi B e sfoggiando un paio di jeans strappati, illudendosi di sembrare al passo con i tempi, lo avevamo già detto. E così, per non lasciarlo solo, abbiamo cercato altri sei compagni di giochi che potessero fargli compagnia. Prima di tuffarci nel vivo di queste 7 serie tv che si sforzano di raccontare i giovani, però, chiariamo perché tutte quante parlano con la voce di un boomer.

Boomer a chi?

And Just Like That...

Non bastavano le cellette di Excel e l’Internet: tutto si complica quando a un certo punto, nel parlato quotidiano, sono entrate a pieno titolo le etichette usate in sociologia per indicare le diverse generazioni. Non sappiamo quando e non sappiamo perché, ma a un certo punto ci siamo ritrovati a usare (o ascoltare) espressioni come “cringe”, “droppare” o “Ok boomer!Boomer, per chi non lo sapesse, indica i nati nel periodo del “boom economico”, cioè tra il 1946-1964. Con il tempo, l’etichetta si è trasformata in un’espressione carica d’implicazioni intrinseche negative, finendo per diventare un aggettivo qualificativo: “vecchio-ammuffito”. Capiamo di essere diventati boomer quando, inspiegabilmente, dalla nostra bocca fuoriescono fonemi che compongono frasi come: “ai miei tempi era diverso”, “i giovani d’oggi non hanno voglia di fare nulla” oppure quando ci ritroviamo a commentare sotto i post dei Måneskin con le ricette del brasato ai funghi porcini. Ok Boomer! invece è un’espressione coniata dalla Gen Z, ma in voga anche tra noi millennial (1981- 1996) – ché no, ormai non siamo più giovani – per sottolineare proprio l’incapacità di questi soggetti umani di capire il presente. I nati dal 1997 al 2012 sono dunque i membri della cosiddetta Generazione Z, detta anche Centennial, Digitarian, Gen Z, iGen, Plural, Post-Millennia e Zoomer.

Venirne a capo è un inferno, per tutti, ma soprattutto per gli sceneggiatori della vecchia scuola che si sono persi negli anni ’90. Quelli che con ottime probabilità credono ancora di essere giovani. La Generazione Z comprende quelli che oggi, nel 2022, hanno tra i 10 e i 25 anni. I nativi digitali, insomma, che a pieno titolo possono rivendicare il privilegio di essere chiamati “giovani”. Per boomer, invece, non intendiamo una fascia anagrafica piuttosto una tendenza. Cioè quell’incapacità di rendersi conto che ogni generazione è diversa e complicata a modo suo. Quella presunzione di sentirsi superiori ai cosiddetti giovani, con i quali non si riesce a comunicare, e non certo per colpa propria! L’incapacità di saper ascoltare unita a quella di non sapersi adattare ai cambiamenti può dare vita a una narrazione seriale arida. Una scrittura, come quella di And Just Like That, in cui i giovani sono visiti come delle figure bidimensionali e dove il conflitto generazionale si nutre di stereotipi. Una narrazione mistificata che riduce gli under 25 a delle creature indecifrabili, avvolte da una patina anacronistica, grossolana e approssimativa.

Proprio come hanno fatto And Just Like That e le altre serie tv di cui stiamo per parlare.

And Just Like That (2021)

And Just Like That

And Just Like That, il sequel di Sex And The City, è arrivato nel 2021 agghindato di tutti i crismi dell’era contemporanea. Ma si esprime con un linguaggio anacronistico, pieno di cliché e spesso scollegato dall’attualità. Il progetto, è vero, si rivolge agli over 45, cioè quelli che nei primi anni 2000 erano trentenni. Non si rivolge certo ai giovani di oggi. Ma se un Centennial si avvicinasse, anche solo per sbaglio, dubitiamo che riuscirebbe a riconoscersi in Rock, il figlio di Charlotte York, ridotto a un banale “maschiaccio” o nel figlio “sessuomane” di Miranda Hobbes. Non ci sarebbe nulla di sbagliato nell’ammettere che Carrie e le sue amiche sono invecchiate e ora sono delle 50enni alle prese con i mutamenti generazionali. Anzi, il sequel avrebbe dovuto parlare proprio di questo per essere all’altezza della serie madre.

Invece per dimostrare a tutti i costi di essere a proprio agio con le tematiche del presente, la serie compie un passo falso dietro l’altro, scambiando la carta dell’irriverenza con quella della tristezza. Parla di pronomi, di cambiamento climatico, di podcast o di gender fluid come se ne capisse il senso, ma dimostra di non aver fatto i compiti. Invece di sfruttare questo gap per parlare dell’evidente divario generazionale tra Gen X e Gen Z, si maschera “da giovane” per un clamoroso effetto cringe. Sebbene Darren Star, classe 1961, sia a tutti gli effetti un boomer, Sarah Jessica Parker e Cynthia Nixon appartengono invece alla Generazione X (1965-80). Ma lo spirito non cambia. And Just Like That è una boomerata in piena regola: parla di cose che non vuole capire con un linguaggio che non è interessato a imparare. Ma poi gli under 25 lo indossano ancora il cappello con la visiera al contrario?

Dad, Stop Embarrassing Me (2021)

Dad Stop Embarrassing Me

Una nuova serie tv firmata Netflix dove l’adulto, Jamie Foxx (Django Unchained), davanti alla sua profonda incapacità di comunicare con la figlia adolescente, decide di andare insieme a lei in terapia. Fantastico! Ecco un’altra occasione mancata per parlare del divario generazionale. Prendete la freschezza, la sensibilità e la capacità di ascoltare di Sex Education e dimenticatela, perché in Dad, Stop Embarrassing Me non c’è nulla di tutto questo. Una comedy creata dallo stesso Foxx e da Jim Patterson (Two and a Half Men, The Ranch) – cancellata dopo una sola stagione – che sembra essere stata scritta (male) negli anni ’90.

In fondo i giovani, avranno pensato, sono gli stessi: basta renderli irritabili, qualche urletto isterico e le braccia conserte in segno di protesta, diamo loro uno smartphone, degli AirPods con J Balvin a profusione e convinceremo tutti che non siamo in Willy, il principe di Bel-Air. Purtroppo però anche il titolo ulula anni ’90. Lui, Brian Dixon, è un padre single e sexy che attira – di nuovo – delle presunte ventenni svampite. Lei, Sasha Dixon (Kyla-Drew), è una teenager che incarna tutti i cliché della 15enne incompresa in stile Dawson’s Creek. Si vergogna del papà che la mette in imbarazzo e che non capisce il suo modo di parlare “moderno”. Il risultato è una sfilza di gag dolorose da guardare. Neanche la rottura della quarta parete ci riporta nel presente. Dopo l’ennesima battuta sui pantacollant, nemmeno Samuel L. Jackson nei panni di Stephen Warren riuscirebbe più a salvare la situazione.

Pretty Smart (2021)

pretty smart

Se And Just Like That si sforza di parlare il linguaggio della Generazione Z mentre Dad, Stop Embarrassing Me è ferma agli anni ’90, la sitcom Netflix creata da Jack Dolgen & Doug Mand ha problemi più gravi. Tralasciando la carovana di stereotipi, quasi offensivi, di cui si fa carico, l’umorismo di Pretty Smart dovrebbe nascere dal divario socio-culturale all’interno della Generazione Z stessa. Chelsea (Emily Osment), una ragazza studiosa che regala costose teiere vittoriane, si ritrova a convivere con la sorellina e i suoi vivaci coinquilini. La rappresentazione dei giovani che ne deriva è ingiusta, bidimensionale e manichea.

Per farla breve, gli intellettuali rifiutano tout court la tecnologia digitale e preferiscono un approccio più “vintage” alla vita. I non-intellettuali, invece, come gli influencer o i palestrati, sono dei decerebrati interessati solo alle apparenze, alla forma fisica e allo yoga. Gli intellettuali indosserebbero giacche di tweed e dolcevita mentre i non-intellettuali se ne andrebbero in giro sudati e perennemente in canottiera. Una lettura della gioventù odierna approssimativa che solo un boomer riuscirebbe a concepire. Oltre alla mistificazione degli under 25, la storia è banale e sembra essere modellata sulle sit-com anni ’80. A eccezione della presenza di concetti più attuali, come l’inclusività, i vari orientamenti sessuali e dei personaggi di diverse etnie: argomenti trattati comunque con altrettanta superficialità.

Chelsea: Non sono suoi social media.

Jayden: Oh! E come fai a vedere quanti like hai ricevuto?

Guida astrologica per cuori infranti (2021 – 2022)

Guida astrologica per cuori infranti

La commedia romantica ispirata all’omonimo romanzo di Silvia Zucca (un caso editoriale del 2015 di ben altra natura) non ha fatto flop solo perché si lascia guardare. È un guilty pleasure frivolo che, in qualche momento, regala pure un intrattenimento sfizioso, se vi piace l’astrologia. Ma non fatevi ingannare dalla fotografia fresca, dalla colonna sonora, una spolverata di cinismo e dall’ambientazione urban che fa tanto Los Angeles (mentre invece siamo a Torino) perché Guida astrologica per cuori infranti è a tutti gli effetti una boomerata pazzesca. O meglio è esattamente come i boomer vedono i giovani, che tra l’altro non sono manco più tanto giovani. La protagonista è una trentenne (quindi una millennial) alla ricerca dell’amore con un lavoro precario. Ecco, se siete dei millennial arrivati al 2021 a forza di lavoretti dequalificanti e umiliazioni di ogni genere, la rom-com con Claudia Gusmano – senza aggiungere nulla – arriva quando di questa situazione ne abbiamo avuto abbastanza.

Potremmo definirla una New Girl troppo frizzante, ma arrivata con un decennio di ritardo a ridirci quello che Bridget Jones ci aveva già detto. Jessica Day, ad esempio, è scesa tra noi nel 2011, alla soglia dei trent’anni, ma è riuscita a parlare con una voce autentica ai teenager, ai ventenni e ai trentenni. Alice Bassi, invece, arriva con il più vecchio modello di Panda in circolazione a riproporci i soliti cliché sui giovani cuori solitari (quando persino il nonno col cappello è più aggiornato e se ne va a spasso con l’ultimo modello di Panda). La rom-com scritta e diretta dalle over 45 Bindu De Stoppani e Michela Andreozzi è una semplificazione sciapa del mondo dei trentenni (per altro fotografati nel 2014), dipinti come dei ragazzini, un pochino sfortunati sì, ma sempre degli inguaribili romantici. Con la conseguenza che i millennial faticano a riconoscersi in Alice mentre la Gen Z, cioè i veri giovani, vedono in lei solo la copia sbiadita e senza personalità della protagonista di una rom-com qualsiasi dei primi 2000.

The Great Indoors (2016)

The Great Indoors

Qui facciamo un salto indietro di 6 anni, quando la Gen Z si apprestava a compiere vent’anni e a intimorire i boomer eravamo ancora noi millennial. Arrivata nel 2016, la sit-com della CBS con l’allora 45 enne Joel McHale è una guerra intergenerazionale sul posto di lavoro dove è difficile capire da che parte stare. Ma soprattutto, perché dovremmo schierarci, invece di fare fronte comune. L’umorismo dovrebbe nascere quindi dalle lacune generazionali che sorgono tra il team dei giovani under 30, esperto di tecnologia, il loro supervisore della Generazione X, Jack (Joel McHale), e il baby boomer Roland (Stephen Fry), l’editore della rivista. La CBS temeva di essere percepita come troppo vecchia, così ha deciso di portare sugli schermi una sit-com che ha aggravato la situazione. Il network non ha solo confermato i suoi sospetti, ma ha dimostrato di essere un boomer in piena regola. Infatti il progetto evidenzia la disconnessione tra tutte le generazioni e quanto questo impedisca di costruire un futuro lavorativo migliore. Quello che proprio in quel momento la Gen Z si apprestava a conoscere.

L’utilizzo reiterato delle etichette Boomer, Gen X e Millennial è tanto frequente quanto imbarazzante. Il ritratto che viene fuori dei nati entro il 1995 è superficiale e macchiettistico. I giovani, pigri e viziati, non farebbero altro che parlare di tecnologia digitale e di social media. Come riporta IndieWire, durante l’anteprima del pilot, i critici più giovani presenti in sala, tra cui Sonia Saraiya di Variety, dopo aver sottolineato l’atteggiamento anti-millennial dello show hanno infuocato il dibattito. Fino a quando il produttore esecutivo, Mike Gibbons, ha rimproverato la giornalista come fosse una bambina, zittendola per averlo interrotto. Oltre alla dubbia qualità dell’umorismo, l’unico motore narrativo è lo scontro generazionale, raccontato dal punto di vista di un boomer. Una visione che impedirà alla sit-com di essere recuperata dai “nuovi giovani”, i quali, invece, riescono ad apprezzare ancora Friends, arrivata nel ’94.

Call Your Mother (2021)

Call Your Mother

Della sit-com creata da Kari Lizer (Will & Grace, The New Adventures of Old Christin) – cancellata dopo una sola stagione – avevamo già parlato, definendola come una serie tv nata già vecchia. La family comedy di ABC, infatti, compie lo stesso identico errore di And Just Like That, parlando di una generazione che non conosce e che non ha nemmeno intenzione di scoprire. Il ritratto che viene fuori del 23enne Freddie (Joey Bragg), un designer e tester di video game, e sua sorella “perfetta”, la 25 enne Jackie (Rachel Sennott), è irrealistico. Nel contesto generale i due sembrano due cuccioli di un animale in via d’estinzione che, pur parlando la nostra lingua, non riusciamo a capire. I giovani fratelli vivono a L.A., lontani dalla loro madre iperprotettiva Jean Raines (Kyra Sedgwick), anch’essa un concentrato di cliché.

La svolta narrativa umoristica dunque è tutta qua: la frizione generazionale che nasce da una 50enne dell’Iowa imbranata che piomba a sorpresa nelle vite dei suoi “bambini” solo perché non riceve loro notizie da ben quattro giorni. La sit-com non è divertente e purtroppo rivanga sullo stereotipo del ventenne frivolo che non sa cavarsela senza mamma accanto. Su IMDb, Call Your Mother non raggiunge nemmeno la sufficienza, mentre su Rotten Tomatoes conquista addirittura un 9% di critica e un generoso 38% di gradimento del pubblico. Le battute scricchiolano e i personaggi sono interamente costruiti sulla visione superficiale che un boomer ha del presente. Ma anche di sé stesso, evidentemente. Infatti chi ne esce fuori distrutta è la stessa mamma chioccia, la quale, come le tre protagoniste di And Just Like That, sembra essere vissuta tra i boschi, ben coperta dal muschio che le ha impedito di venire a conoscenza dell’Internet e della vita odierna in generale.

So cosa hai fatto (2021)

So cosa hai fatto

Anche noi sappiamo cosa ha fatto l’adattamento seriale del cult cinematografico del 1997, a sua volta tratto dall’omonimo romanzo del ’73 di Lois Duncan. L’operazione co-prodotta da Amazon Studios è stata tanto semplice quanto disastrosa. Hanno preso i protagonisti della versione cinematografica e li hanno scaraventati nel contesto attuale. Hanno sostituito il telefono con lo smartphone; la parola alcol con la parola droga; qualche leggera rivalità qua e là e la rappresentazione della Gen Z è completa. Senza dimenticare, ovviamente, d’inserire gli elementi più attuali: un po’ di dramma esistenziale alla Euphoria, qualche accenno all’inclusività e al gender fluid e il disastro è servito. Il remake è stato un flop, soprattutto perché (strano?!) non è riuscito a convincere il target giovanile a cui puntava. Ma nemmeno i nostalgici dei classici horror slasher. Eppure la sceneggiatura è firmata da Sara Goodman, la stessa del meraviglioso Preacher (2016) e del cult giovanile Gossip Girl (2007). E forse è proprio questo il problema. La rappresentazione dei protagonisti – dei liceali che stanno per andare al college nel 2021 – è indietro di vent’anni.

So cosa hai fatto, così come And Just Like That, dimostra che per raccontare una generazione bisogna conoscerla e comprenderla a fondo. Invece, proprio come dei boomer, le 7 serie tv di questa lista parlano dei giovani odierni (e alcune di loro si rivolgono direttamente a un target under 25) con la voce di un’era lontana. Come degli spettatori accondiscendenti, non hanno raccontano, ma hanno giudicato qualcosa dall’esterno, senza comprenderla. Si sono fermati alle caratteristiche più evidenti della loro età – ai loro occhi incomprensibili – come “l’ossessione” per Internet, per il clima e per la fluidità. Raccontando tutto con superficialità.

L’essenza dei giovani non emerge, ma solo quello che un boomer percepisce di loro in apparenza. E la conseguenza è una rappresentazione mistificata di una generazione complessa (come lo sono tutte), che andrebbe compresa e ascoltata senza pregiudizio. Apprezziamo comunque lo sforzo. Sarà per la prossima volta. Ok Boomer?

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