Nel Maggio del 2015, la NBC rilasciava il pilot di Aquarius, tra l’altro in una formula anomala per un network, vale a dire la trasmissione settimanale delle puntate, come si è soliti fare e, contemporaneamente, la disponibilità immediata dell’intera stagione sul proprio sito web e su altri servizi. Un po’ come l’abbonato a Netflix o chi visiona contenuti su altre piattaforme streaming è abituato a fare. In Italia è arrivato poco dopo, in estate, sul solito canale seriale Sky Atlantic. Ma l’esperimento è stato piuttosto negativo, più per demeriti della serie stessa, che non del servizio.
Mi sono chiesto spesso come mai più volte ero stato sul punto di iniziare questa serie e puntualmente, ogni volta, optavo poi per un’altra. Anche il fatto di non sentirne praticamente mai parlare in giro mi dava da pensare, ma non era certo la prima volta che mi decidevo ad iniziare una serie poco conosciuta. Beh, mi sono dato la risposta da solo già dopo una manciata di episodi: Aquarius è un prodotto totalmente deludente!
Se ci soffermiamo soltanto sulla trama, sembra senza dubbio qualcosa d’interessante: siamo sul finire degli anni ’60, un’epoca complicata tra amore libero, Woodstock e il ’68 alle porte, gli hippy e uno strano concetto di giustizia e divario tra bene e male. La trama dicevamo: due poliziotti di Los Angeles indagano sulla scomparsa di una ragazzina di 16 anni figlia di una coppia “bene” della città e finiscono ben presto sulle tracce di un musicista pregiudicato, Charlie Manson, e della sua comunità hippy. Parla di fatti realmente accaduti, di un Manson pluriomicida che ha veramente sconvolto la città in quegli anni con l’aggiunta come spesso accade di avvenimenti creati ad hoc per far funzionare meglio la serie. Anche se la trama detta così non fa impazzire e ha l’aria di un prodotto già visto e rivisto in tante salse, aveva i suoi spunti originali che potevano consentirne la riuscita. Potevano, appunto.
I due poliziotti sono il detective Sam Hodiak (David Duchovny) e l’agente Brian Shafe (Grey Damon) reclutato per infiltrarsi sotto copertura nella comunità e negli uomini vicini a Manson (Gethin Anthony). La giovane ragazza è Emma (Emma Dumont), una sedicenne delusa dal fidanzatino e incantata dal fascino di Manson, dei suoi racconti, delle sue ragazze, della sua comunità. La classica ragazzina viziata che dai genitori ha avuto tutto ciò di cui avesse bisogno tranne, probabilmente, amore e sincerità. I due genitori sono un avvocato di successo, Ken Karn (Bryan F. O’Byrne) e la moglie Grace (Michaela McManus), vecchia fiamma di Sam. Partiamo dal presupposto che se il motivo centrale della trama è questo, viene scoperto tutto troppo brevemente. L’identità di Charlie viene scoperta quasi subito tramite l’agente Shafe che riesce ad abbindolare il braccio destro del criminale prima torchiando l’ex fidanzatino di Emma (Rick, Beau Mirchoff), poi con l’aiuto della bella agente Charmain Tully (Claire Holt) con una facilità che definire disarmante è dire poco. E con altrettanta facilità Charlie riesce a nascondere in un primo momento la presenza della ragazza, prima di rivelarla addirittura al padre stesso in un incontro in un garage. Lì scopriamo che i due si conoscono, che Karn è stato il suo avvocato, che ha chiare tendenze omosessuali nascoste e represse e che il suo rapporto con il “rapitore” della figlia è ben altro che quello di un semplice rapporto avvocato-cliente. Manson per anni ha rifornito di droga e prostitute la maggior parte dei personaggi influenti della città ed è stato coinvolto nell’omicidio e nella sparizione di una prostituta straniera proprio con Karn e il suo socio coprendo ogni traccia e tenendoli così sempre in pugno. Davvero non si riesce a capire come Manson possa agire indisturbato in tutto ciò che fa, che oltre a fuorviare ragazzine indifese e spesso minorenni comporta anche pestare la gente, spacciare droga, minacciare avvocati o personalità influenti, persino uccidere a sangue freddo (sotto gli occhi di Brian infiltrato) senza essere mai nemmeno lontanamente perseguitato dalla giustizia. Libero di fare ciò che vuole indisturbato. Spesso durante alcune scene mi sono detto “ma come si può essere così idioti da non riuscire ad incastrare questo qui?”.
L’agente Shafe, sotto copertura, non convince neanche un po’. Sembra palesemente un pesce fuor d’acqua sia “sul campo”, sia in commissariato, così come i problemi di razzismo nel suo quartiere (lui bianco, sposato con una ragazza di colore) sembrano messi lì giusto per dare “colore” alla storia e non perché realmente potessero dare quel qualcosa in più. La bella Charmain che pure avrebbe delle potenzialità è ridotta a personaggio secondario e se non a compiti brevi e spesso passati sottotraccia. Anthony nel ruolo di Manson trasmette veramente poco o nulla. Sembra inspiegabile come tante persone pendano dalle sue labbra, lo considerino quasi un Dio, quando in realtà lui non fa un cazzo niente dalla mattina alla sera, se non strimpellare un po’ con la chitarra, fare l’amore con chiunque capiti a tiro e ciondolare di qua e di là. Si fa fatica persino a odiare questo personaggio, non fosse per alcuni violenti scatti d’ira con le sue ragazze. Indifferenza è ciò che Charlie Manson mi ha trasmesso. Lo stesso Duchovny personalmente è stato molto deludente. Oltre a non sembrare tutto questo genio come detective, pur risolvendo a stento alcuni casi, non sembra essere nemmeno un sex symbol in grado di portarsi a letto chiunque gli capiti a tiro (come in realtà succede, ex moglie ed ex fiamma Grace comprese) e allo stesso tempo non può essere considerato nemmeno un bravo poliziotto a tutti gli effetti visto che spesso e volentieri cerca stratagemmi per raggirare la legge (emblematico quando impone a Charmain di fare una testimonianza falsa per incastrare un sospetto killer di poliziotti) o violenza pura e gratuita (contro lo stesso Manson, per esempio, pestato a sangue) o risulta poter diventare persino subdolo nel proteggere a tutti i costi il figlio, disertore dell’esercito in cerca di verità, cercando e ottenendo un accordo con Karn che in cambio di un suo intervento con membri importanti del governo, vede sparire delle tracce che lo coinvolgerebbero nella già citata sparizione della prostituta. Per non parlare dell’espressione facciale di Duchovny, praticamente identica per tutta la durata dei 13 episodi, che fosse felice o incazzato, che ridesse o pestasse qualcuno, che parlasse con un suo superiore o facesse l’amore con una donna, praticamente aveva sempre stampato quel sorrisino ebete sulla faccia!
La storia stessa risulta essere totalmente ingarbugliata, con tante situazioni o casi che si mescolano tra loro ma che vengono risolti, accantonati o trattati con una velocità che non ti permette di andare fino in fondo a niente. Né di capirci qualcosa. Io che seguo comunque molti crime ho fatto una fatica pazzesca a stare al passo dei casi seguiti durante il corso degli episodi e raramente sono riuscito a venirne a capo di qualcosa. Alcuni personaggi ricorrenti poi sono talmente tanto secondari, per non dire inutili, che da un episodio all’altro si fa fatica persino a ricordarli e non è raro chiedersi “ma chi è questo qui?”.
Aquarius nel suo concetto di base poteva essere buono e forse in una miniserie da 6/8 episodi sarebbe potuto essere sviluppato meglio. Magari la 2° stagione, già annunciata ufficialmente dalla NBC, sarà più accattivante e racconterà maggiormente le gesta da pluriomicida di Manson, ma per adesso la sensazione che mi è rimasta alla fine dell’ultimo episodio è quella di aver sprecato quasi 10 ore della mia vita dietro a una serie della quale se ne poteva fare, tranquillamente, a meno!
Paolo Martina