ATTENZIONE: l’articolo può contenere spoiler sulle serie tv dell’Arrowverse Arrow, The Flash e Supergirl
Ma che bel periodo è stato quello dell’Arrowverse? L’universo condiviso ideato da The CW, e basato sui supereroi della DC Comics, ha segnato una delle pagine più importanti della storia recente della serialità. Soprattutto del suo lato più pop. I supereroi, in televisione, difficilmente hanno avuto il successo raggiunto dai protagonisti dell’Arrowverse. Sicuramente c’è stato il ciclo dei Defenders di Netflix. Certamente non possiamo non tenere in considerazione Agents of S.H.I.E.L.D. . Ma la compiutezza dell’Arrowverse, proprio come organismo narrativo, probabilmente non ha eguali all’interno del suo genere.
A contribuire al successo dell’Arrowverse sicuramente concorre la capacità di creare dei protagonisti molto diversi tra loro, ognuno capace di imprimere la propria essenza sull’universo. Come ben sappiamo, il franchise ha mosso i suoi primi passi da Arrow, proseguendo poi con The Flash e allargandosi ad altre produzioni, tra cui spicca Supergirl. Le tre serie tv simbolo dell’Arrowverse fanno capo a tre protagonisti molto diversi, ognuno capace di gettare un proprio, unico, sguardo sull’universo narrativo e sul ruolo del supereroe. Proviamo, dunque, a soppesare il contributo che Oliver Queen, Barry Allen e Kara Danvers, aka Green Arrow, Flash e Supergirl, hanno dato a questo organismo seriale, col loro sguardo peculiare sulla materia supereroistica.
Oliver Queen e la giustizia come redenzione
Partiamo, ovviamente, da quello che è il capostipite degli eroi dell’Arrowverse. Questo grande universo seriale ha preso il via nel 2012, con l’inizio di Arrow. Al centro della scena troviamo Oliver Queen, miliardario playboy, eternamente immaturo, che dopo un incidente in mare e un naufragio su un’isola deserta, torna a Star City e dedica la sua vita a salvare la sua città. Oliver Queen ci offre un eroismo da giustiziere. Quella di Green Arrow è una vera e propria crociata, una battaglia per epurare Star City dai suoi mali, ma soprattutto per ripulire se stesso dai propri vizi.
Prima dell’incidente, Oliver ha condotto un’esistenza dissoluta, racchiuso dal vizio e dal lusso della sua condizione natale. L’esperienza sull’isola lo ha stravolto e di ritorno nella società, quell’immaturo miliardario è divenuto uno spietato vigilante, impegnato a giustiziare tutti coloro che hanno “tradito questa città”. Oltre a offrirci un eroismo di strada, Oliver ci regala la prospettiva della giustizia come redenzione. Dietro la volontà di ripulire Star City dal crimine, c’è quella di redimere se stesso.
Il punto di vista di Oliver Queen è estremamente personale. Chiaramente, con l’incedere delle stagioni la prospettiva cambia. Il protagonista di Arrow fa pace con i suoi demoni e la sua crociata diventa meno personale. Tuttavia, l’essenza del Freccia Verde di The CW rimane legata a questa volontà di redenzione. Il primo sguardo che gettiamo sull’Arrowverse, dunque, inquadra il supereroe come vigilante e giustiziere, che opera in primis per un motivo personale. Questo sguardo orienta chiaramente la narrazione, e viene poi integrato dallo sviluppo del primo spin-off dell’Arrowverse.
Barry Allen e l’eroismo classico
Il grande successo di Arrow ha portato, nel 2014, alla nascita di The Flash, primo spin-off della serie madre dell’Arrowverse. Nella sua lunga storia editoriale, il velocista scarlatto ha assunto diverse identità (per approfondire, qui potete leggere un confronto tra il film e la serie tv), ma The CW ha deciso di puntare con forza su quella di Barry Allen. Le origini dell’eroe in questo caso sono molto diverse. Green Arrow non ha alcun potere, se non un addestramento impressionante e fondi illimitati. Flash possiede, invece, la super-velocità in seguito all’impatto di un fulmine. Da questa premessa si ricava una prima conseguenza che differenzia i due: Oliver è un supereroe per scelta, Barry per necessità.
Se il primo, dunque, si dall’eroismo, per così dire, per soddisfare dei bisogni personali, il secondo si ritrova con dei poteri che sono troppo importanti per non essere usati. Le questioni personali, per Barry, vengono dopo. Sono importanti, e lo sappiamo bene, ma non sono la ragione primaria delle sue azioni. Allen non si stanca mai di cercare di scarcerare suo padre, ma questa è un’attività parallela a quella da eroe, che conduce invece con rigore ed entusiasmo.
Con The Flash (di cui qui potete ripercorrere le 10 morti più brutali) abbiamo una visione più pura, per così dire, dell’eroismo. Barry è un eroe classico, che eredita dei poteri e li mette al servizio della comunità. La sua non è una crociata personale, ma una sorta di pubblico servizio. Si ribalta, in questa seconda serie dell’Arrowverse, completamente la prospettive. Se il punto di vista di Oliver era personale è interno, quello di Barry è puramente esterno. Flash aiuta gli altri per puro altruismo, non per riscattare se stesso o per qualche altro tornaconto personale. In virtù di questo sguardo completamente diverso, The Flash si connatura come una serie molto diversa da Arrow, meno cupa e più ottimistica. Anche per questa ragione le sue serie sono andate avanti su binari paralleli, ma opposti: perché capaci di presentare lo stesso scenario sotto forme completamente diverse.
Kara Danvers e i doveri di un supereroe
Supergirl arriva in un momento di decisamente maggiore maturità dell’Arrowverse. Solo un anno dopo rispetto a The Flash, quindi nel 2015, ma fortissima del successo delle due precedenti serie. Forse anche per questo motivo, la serie riesce a permettersi uno sguardo ancora diverso, che rappresenta una sorta di mediazione tra i due precedenti. Kara Danvers, al secolo Kara Zor-El e in arte Supergirl, presenta una sorta di contaminazione tra i tratti di Oliver e di Barry. Lei è una supereroina sicuramente per natura, visto che la sua natura kryptoniana le permette di essere praticamente una dea sulla Terra. Ma, di fatto, è una supereroina anche per scelta, dal momento che spontaneamente decide di indossare il costume e aiutare il prossimo. Un incontro tra Barry e Oliver, dunque.
Lo sguardo offerto da Kara Danvers sull’Arrowevrse è, quindi, ancora diverso. Il dovere, qui, si fonde con l’intento personale di volersi integrare e soprattutto di proteggere quel popolo che l’ha accolta dopo la fuga da Krypton. Kara rimane sempre in bilico tra questi due poli, così come tra la sua natura umana e quella aliena. La sua non è né una crociata come quella di Oliver, né un atto di puro altruismo come quello di Barry. È più che altro un compromesso tra la sua volontà e la sua natura.
Uno sguardo nuovo, per una serie ancora una volta nuova, che punta il mirino su altri temi. Supergirl, in virtù della sua contaminazione, oscilla tra l’ottimismo di The Flash e le tinte fosche di Arrow, concentrandosi su tematiche come l’integrazione e la diversità che presentano una grande eco anche nel dibattito attuale. Lo sguardo di Kara è andato a integrare quelli di Oliver e di Barry e la convivenza dei tre e delle loro serie tv ha regalato i migliori momenti dell’Arrowverse, prima del calo e del definitivo crollo.
Che magnifica esperienza è stata l’Arrowverse
Oggi dell’Arrowverse rimane solo il ricordo. La Golden Age, per usare un tema caro alla narrazione supereroistica, è un’effigie del passato e l’Arrowverse si è lentamente sgretolato. Eppure, che magnifica esperienza che abbiamo vissuto. A guardare ora l’universo di The CW ha sicuramente un grande peso la delusione per come sono state gestire serie tv, anch’esse ricche di potenziale, come Batwoman e Black Lightning, ma non dobbiamo mai scordarci delle grandi parabole che hanno vissuto Arrow, The Flash, Supergirl e anche Legends of Tomorrow, che dal canto suo avrebbe sicuramente meritato un finale migliore.
L’Arrowverse è stato un grandissimo viaggio, arricchito dal poter guardare la narrazione da diversi punti di vista. Questo è stato, probabilmente, il segreto del successo dell’universo condiviso, che è andato oltre anche quello delle serie tv in se. La capacità di offrire sguardi differenti, che illustrassero varie concezioni del ruolo del supereroe e che orientassero a modo loro la narrazione. Ne è uscita un’esperienza indimenticabile come quella dell’Arrowverse.