Qual è la differenza tra malinconia e tristezza? “So perché sono triste, ma non saprei dire perché sono malinconico” scrive Emil Cioran in Al culmine della disperazione. La differenza è proprio questa: la tristezza è un’emozione e, come tale, ha quasi sempre una ragion d’essere. La malinconia può essere trasognante come un grande spazio aperto, è più uno stato d’animo, a volte un tratto del carattere. Ecco perché in questa lista esploreremo i caratteri: 10 malinconici personaggi delle Serie Tv da Breaking Bad e Better Call Saul, passando per Stranger Things e Mr. Robot. Personaggi che amiamo e che, in modi diversi, ci faranno sempre una profonda tenerezza.
1. Jesse Pinkman (Breaking Bad)
Il fatto che nella prima idea di sceneggiatura Jesse Pinkman fosse stato pensato come personaggio marginale , più che protagonista, parossisticamente calza bene con il deficit di autostima che lo perseguita e il manto di malinconia che lo avvolge sin dalla prima apparizione. Una mancanza di fiducia che si mischia chimicamente alla necessità di distruggersi, perché non c’è via possibile di salvezza.
Anche un innocente, un’anima inquieta ma buona, in cerca di pace, come quella di Jesse, a causa del dolore imprevedibile che la vita infligge, può trasformarsi in qualcosa di orrendo, colpevole, che spaventa prima di tutto se stessi. Violenza che chiama violenza, colpa che genera colpa come nelle tragedie di Eschilo. Come nella scena in cui Walter White intima a Jesse di uccidere Gale, uno dei momenti più strazianti dove emerge pienamente la dicotomia irrisolta, tra pensiero e azione, di un ragazzo non solo malinconico, ma scisso, spezzato dalle scelte e dal caso, o destino.
Tra Breaking Bad e Better Call Saul, tantissimo è stato scritto su Jesse Pinkman, sfaccettato antieroe di un viaggio tumultuoso con cui ci si può immedesimare amandolo, oppure al contrario distaccarsene, deridendolo. Perché Jesse, come molti di noi, è tutti i suoi sbagli.
2. Will Byers (Stranger Things)
Non è solo perché porta sotto la nuca il persistere di un trauma, essere stato inghiottito nell’Upside Down. Non è solo l’angosciante connessione con il Mind Flayer che lo costringe ad avere solitarie, incomunicabili visioni premonitrici di nuovi mostri e pericoli in arrivo su Hawkins.
È il Will Byers che vediamo crescere nelle 4 stagioni di Stranger Things che continua a emozionarci e intenerirci, intelligente, sensibile, devoto ai suoi amici anche quando non si sente più compreso. Mike e Lucas crescono, si fidanzano (anche Dustin!) e non vogliono più passare il tempo a giocare nel basement di casa di Mike così Will rimane solo, relegato in un’infanzia che non vorrebbe lasciar andare e scappa, la pioggia si unisce alle lacrime, e distrugge la capanna dei ricordi. Uno dei momenti più malinconici della serie.
Anche quando Will diventa adolescente, il suo talento artistico, la presenza silenziosa, che vorrebbe essere protettiva, accanto a El ci portano a volergli sempre più bene. Sebbene nella quarta stagione, che abbiamo recensito qui, il suo ruolo non sia più centrale, questo – lungi dal renderlo un personaggio minore – ne acuisce i tratti distintivi: lo sguardo profondo, la riflessività, l’altruismo e il suo mondo intimo, malinconico e introverso, che traspare nell’opera d’arte a cui sta lavorando e che per il momento non vuole svelare. Ti aspettiamo Will e, come sempre, avremo cura di te.
3. Adam Groff (Sex Education)
Bullo, bello e invulnerabile? Duro e spavaldo? Come canta Piero Pelù con Mina in Stay with me: “Non illuderti, non sono uno che si innamora”. Potrebbe essere il claim giornaliero di Adam Groff, la complessa figura di Sex Education. Il rifiuto dell’amore, di qualsiasi forma di cedimento affettivo.
Adam il figlio del Preside, Adam privilegiato, bianco, etero cisgender, all’apparenza normativo, in un mondo che lo riconosce ma in cui lui per primo non si riconosce, chiudendosi in una corazza di gesti aggressivi e prevaricatori, rivolti principalmente a Eric, il suo contraltare gioioso, il polo d’attrazione. Su Eric, Adam sfoga e proietta la rabbia per la libertà di essere che lui non possiede e il dolore per il riconoscimento di sé e dei suoi sentimenti che non sa scoprire meno che mai verbalizzare, vittima di un padre che lo bistratta e lo vorrebbe self confident, temprato, in tenuta militare.
L’atteggiamento sofferente di Adam è una maschera che col tempo viene scalfita rendendolo protagonista malinconico e, come raccontato qui, essenziale di Sex Education. Con Adam assistiamo, durante le tre stagioni, a un profondo character development intriso di tenerezza ed empatia.
Lo spleen che travolge Adam si trasforma pian piano in un tentativo, dolce e malinconico, talvolta goffo, di spensieratezza. Forse transitoria (chi di noi non l’ha vissuta?), ma finalmente consapevole di un amore desiderato, libero e puro.
4. Elliot Alderson (Mr. Robot)
Parlando di personaggi malinconici, non possiamo non menzionare una serie destabilizzante, che attacca direttamente le pareti del cervello, come Mr. Robot e il suo protagonista genio informatico, sociopatico e paranoico, dolcissimo nei suoi occhi blu con cui osserva il mondo a debita distanza, evitando il contatto fisico, Elliot Alderson.
Mr. Robot presenta un mix di scelte stilistiche e di script brillanti, in cui la tecnologia è un tramite per indagare la nostra psiche, l’intelligenza emotiva collettiva, attraverso l’introspezione di Elliot che vive meglio quando non prova niente.
Alla malinconia è preferibile l’apatia o, in un quadro psico-patologico, l’alessitimia. Anticonformista, detesta la società e soffre, soffre così tanto che la morfina è il suo unico modo per distendere la mente. Al contempo però una delle sue frasi cult resta “I wanted to save the world”, perché Elliot è tante cose insieme. E il disturbo di personalità si rivela anche il suo plusvalore, tassello del genio, perché è dentro questo spettro dissociativo che le emozioni, le poche che riesce a sentire ma che noi impariamo a distinguere in lui – malinconia, solitudine, lotta, paura, diffidenza e fiducia – prendono vita, destabilizzando il nostro schermo e universo cognitivo con la forza di un racconto che ci piomba addosso e che bisogna saper sostenere.
5. BoJack Horseman (BoJack Horseman)
Semplicemente lui. BoJack, l’espressione del disagio di vivere che, pur mettendoci tristezza (ne abbiamo parlato qui) non possiamo non amare.
Irriverente, polemico, oscilla tra autodistruzione e autocommiserazione per elevarsi in scatti di ipomania narcisistica. “E non vedo nessun altro. Vedo solo me stesso”. Proteso verso un cammino di liberazione dai drammi della sua vita, da errori e gesti irresponsabili, dipendenze e alcolismo, BoJack è il volto ironico e istrionico della malinconia. Una malinconia da cavalcare fino all’ultimo, redimendosi per sprofondare ancora fino alla depressione più totale.
Puntate con la vocina nel cervello come, nella meravigliosa quarta stagione (Ep6) in cui il SuperEgo lo incalza con moniti spietati quali “come on you drunk piece of shit, be less drunk!”. BoJack beve per dimenticare, perché sa di aver commesso errori per cui andrebbe punito ma, essendo famoso, non viene pressoché mai punito e dunque vive le sue colpe con atteggiamenti ancora più nichilisti e distruttivi.
Il suo obiettivo tuttavia rimane confidare nel cambiamento, nella serenità, nel ritorno al successo professionale ed esistenziale. Tornare sobrio. Ecco perché prova, con i 12 passi di Alcolisti Anonimi e in Rehab, ad affrontare i demoni della sua infanzia travagliata e quelli del presente. Ecco perché, anche se il suo spirito disfattista lo porta a dire “everything sucks”, in conclusione di serie, finisce con l’accettare in qualche modo il senso della vita guardando le stelle, con la sua amica più cara, Diane, perché “è una bella serata”.
6. Tony (AfterLife)
Immancabile Tony. Lutto, rabbia, cinismo, catarsi, ironia, disprezzo spericolato per la vita che solo chi ha subito una perdita irreparabile può sperimentare. E i propositi suicidari come backup strategy!
Nel descrivere Tony ho scelto di farmi ispirare da Nick Cave che con Into my arms conclude il terzo episodio della prima stagione. Una malinconia soffusa mi ha invaso. La stessa che pervade Tony e AfterLife, tra gag sarcastiche e umorismo nero.
Tony ogni mattina si sveglia e apre il laptop per guardare i videomessaggi della moglie defunta, isolato nella malinconia.
È un difficile percorso quello che Tony deve affrontare per rinunciare al suicidio come idea risolutiva e per non irridere tutta l’umanità e il mondo che lo circondano. Tony prende di petto la morte con straordinaria, irriverente disperazione. E gioca con la vita, ridotta a maceria, tra una bevuta e un’altra, cercando conforto in un’anziana amica vedova con cui si trovano seduti su una panchina al cimitero. Sbeffeggiando il suo inqualificabile psichiatra, cercando una complessa via Zen, commuovendo e divertendo noi che, come lui ma senza la stessa lingua affilata, demolitrice di luoghi e convenzioni comuni, viviamo in un’ Europa post-Brexit e nell’effimera, fragile società del progresso.
7. Alex (Maid)
Alex, umana, semplice, vera. La dignità con cui affronta i problemi della vita – violenza, solitudine, povertà, sacrificio – e la tenacia con cui difende il suo amore più grande, Maddy la figlia di due anni, sono sconvolgenti e ci toccano nel profondo. Destano ammirazione prima ancora che tenerezza.
Alex, se questa fosse una classifica, sarebbe forse la prima tra i personaggi malinconici, ma altrettanto combattivi e resilienti. Maid è un gioiello di miniserie, fa a pieno titolo parte delle gemme preziose del catalogo Netflix, come Stranger Things e Better Call Saul che non si possono perdere.
Aggredita dal compagno Sean, Alex scappa con Maddy. Il suo unico piano è salvarsi. Rompere il ciclo di eventi dolorosi che la attraversano dall’infanzia, districarsi all’interno di una società complessa e capitalista dove si lotta per i sussidi, per trovare una casa e un lavoro. Dove, da una parte, ci sono le difficoltà della burocrazia, dall’altra si scopre una solidarietà luminosa, confortante, fatta da donne, quella del Centro Antiviolenza che la accoglie.
Alex è una giovane donna e madre, tenace, indipendente, con i piedi saldati per terra e con la capacità, sempre viva, di sognare. Vuole essere una scrittrice mentre intanto fa la domestica nelle case dei ricchi per assicurare un futuro, migliore del suo, a Maddy.
La malinconia è pungente ma non può prendere il sopravvento. Alex non può permetterselo, deve lottare e guadagnare i soldi necessari per realizzarsi in una vita diversa. La miniserie è tratta dal romanzo di Stephanie Land Maid: Hard Work, Low Pay and a Mother’s Will to Survive (2019), autrice americana che sia nel giornalismo che nella narrativa affronta temi come le condizioni di lavoro, la povertà e l’economia sociale negli Stati Uniti.
Come si può quindi non comprendere e amare l’onesto realismo di Alex? Questo personaggio così autentico, vicino, perseverante nella lotta per una vita che sia degna di essere vissuta?
8. Mr. John Bates (Downton Abbey)
John Bates, l’epitome del gentleman. Già la sola fisionomia dell’interprete Brendan Coyle ispira tenerezza e gentilezza d’animo. È uno dei personaggi, con cui sin dall’inizio empatizziamo, di Downton Abbey serie tv cult britannica. Al centro di di misteri e storie nascoste e di alcuni dei più intriganti plot twist su cui si fonda la drammaturgia della serie.
Mr. Bates proviene dalla carriera militare, da cui la ferita alla gamba che lo rende claudicante e per questo preso di mira dalla servitù di Downton, soprattutto da Thomas, con cui inizia una dinamica di odio e rivalità. In un celebre episodio, Bates cade per uno sgambetto che può procurargli il licenziamento e che alimenta il dispiacere e la malinconia per la sua storia intrisa di drammi ma sempre vissuta con pudore.
Per fortuna Lord Grantham comprende bene che licenziare Mr. Bates significherebbe abbandonarlo a un destino infausto in cui nessun’altra famiglia dell’aristocrazia inglese lo assumerebbe. Decide quindi di riprenderlo con sé con il ruolo di maggiordomo personale e tra loro cresce un rapporto di composta confidenza, in perfetto stile British, come lo sono i dialoghi di questa elegantissima serie in costume . I tratti generosi e galanti, umoristici e malinconici di Mr. Bates emergono nel rapporto con il suo Lord così come durante le ingiustizie che si trova a subire. Fino a trovare, quasi come premio compensatorio per le sfortune, la sua personale, speciale connessione nel delicato amore per Anna.
9. Nacho Varga (Better Call Saul)
Passiamo dal bonton di Downton Abbey all’anticonformismo di Better Call Saul.
Nacho Varga, un po’ come Jesse Pinkman, è un giovane, in rottura con la famiglia, che si vede costretto a diventare criminale. Come se non ci fosse via d’uscita da questo violento destino e come se fuggirlo, scappare non servisse mai a nulla. Anche Nacho, come Jesse, è uno dei personaggi più avvincenti e malinconici dell’universo di Breaking Bad e Better Call Saul. Nonostante si trovi a essere una pedina nelle mani dei suoi capi, Nacho è astuto e coraggioso, è come un cane intelligente che prova a liberarsi e che morde i suoi padroni. Indomabile e tuttavia incastrato, suo malgrado, in una spirale di perenne subalternità e tensione criminale. Nacho conquista la nostra empatia nel suo amore per il padre, la sua più grande debolezza, umana, leale e autentica. Come non amare lui e tutta la bellissima Better Call Saul.
10. Tony (I Soprano)
E dopo Better Call Saul, last but not least, chi può essere il secondo Tony malinconico della lista?
Naturalmente lui, Tony Soprano. Un emblema della storica serie I Sopranos che non è, come alcuni di noi ancora oggi pensano, una semplice, binaria storia sul crimine e i gangster. Tutt’altro come abbiamo spiegato qui.
E proprio come la drammaturgia della serie è più complessa di quanto si pensi, anche il suo monumentale protagonista Tony cela molte sfumature, emotive e psicologiche. Dietro un carattere all’apparenza rigido, tradizionale, formatosi in una cultura patriarcale, arcaica, legata a valori come l’onore e la famiglia, possiamo esperire come Tony sia molto più articolato e poliedrico: negli attacchi di panico e nelle sindromi depressive che lo portano ad andare in analisi, peraltro da un’analista donna, si trovano le ondulazioni ciclotimiche del personaggio e una dimensione malinconica e nichilista che abbiamo analizzato qui rintracciando ne I Sopranos un vero e proprio trattato sulla depressione.