2. BLACK MIRROR
Come detto precedentemente Black Mirror è, nella serialità moderna, il più grande generatore di complotti che abbiamo a disposizione. Ciò che rende superbo questo aspetto in Black Mirror non è solo lo sviluppo delle sue trame, che in più di un’occasione tratta apertamente questo tema, ma soprattutto per la capacità di generare teorie e ipotesi nel suo pubblico.
L’esempio più evidente di questo aspetto è riconducibile a uno specifico episodio di Black Mirror: “Hang the DJ” (4X04). La puntata ci mostra come i due protagonisti Amy e Joe vivano in una società in cui ogni individuo deve seguire le indicazioni di un’App che determinerà le relazioni con gli altri. Si inizia con una cena organizzata per poi scoprire quanto dovrà durare la relazione. Il sistema è in grado di individuare il partner ideale con una precisione del 99,8%. Ma Amy e Joe si vogliono fin dalla prima occhiata. Non vogliono rischiare l’esito del programma e decidono di fuggire insieme.
Tutto troppo semplice per Black Mirror. E infatti i due protagonisti si trovano dentro una delle mille simulazioni eseguite dal programma per capire se i reali Amy e Joe fossero compatibili. L’episodio finisce con i due protagonisti in carne e ossa che controllano la propria App e scoprono la compatibilità al 99.8%. I due alzano gli occhi, si guardano, e sul loro reciproco sorriso: buio.
Ma come? Black Mirror che ci regala un lieto fine? Dopo quasi un’ora di critica al condizionamento sociale delle tecnologia certifica la subordinazione delle emozioni alla tecnica? La reazione del pubblico a questo episodio, ovviamente sui social (come ben gradirebbe Black Mirror), ci mostra come il complottismo possa essere qualcosa che trascende la narrazione e puoi coinvolgere direttamente lo spettatore.