Quando pensiamo alle soap opera, nella nostra mente, si configurano scenari patinati, fatti di primi piani intensi, luci sparate, persone che vanno a letto truccate e si risvegliano truccate nonchè situazioni improbabili che nessun essere umano ha mai vissuto veramente. Come in CentoVetrine. La soap opera è un posto meraviglioso dove tutto può succedere; perfino un medico dalle sembianze di un modello di intimo che, all’improvviso, ci strappa via dal grigiume della quotidianità. La soap opera è un genere televisivo molto amato che si sviluppa nei paesi anglofoni intorno agli anni ’20 del ‘900 a partire dalle serie radiofoniche (nate sulla scia dei romanzi a puntate) sponsorizzate, appunto, dai produttori di sapone. Gli stilemi della soap opera, un serial televisivo drammatico e romantico, sono inconfondibili. Trame lineari ma con vicende complicatissime, melodramma, cast corale, fiumi in piena di sentimentalismo, morti improvvise e baci rubati, scambiati con contorsioni paranormali di colli scultorei. La soap opera si sviluppa, a suo modo, negli Stati Uniti, Canada, Australia e Regno Unito e non va confusa con le tante telenovela sud americane. All’apparenza uguali, i due generi presentano delle differenze sostanziali: dalla durata all’ambientazione, dai protagonisti alle stesse trame e ai budget, cospicui per le prime, più esigui per le telenovela. La soap opera, ad esempio, si articola sulle vicende di interi clan familiari, le cui storyline s’intrecciano parallelamente. Anche se alcuni personaggi (i più amati dal pubblico) possono avere maggior risalto rispetto ad altri.
Mediaset è stata la prima emittente televisiva a intuire, e a sfruttare al massimo, il potenziale commerciale delle soap opera, che dominavano uno spazio in cui gli inserzionisti pubblicitari potevano nuotare come Zio Paperone nella sua piscina di soldoni d’oro. La trama della soap è assuefazione pura, una montagna russa emozionale tra picchi ormonali e lacrime salate. Costruite su basi dichiaratamente improbabili, gli intrecci di trama erano capaci di risucchiare lo spettatore, disposto a tutto pur di scoprire ogni giorno segreti, misteri e rivelazioni bollenti. In Italia, però, la febbre da soap arriva tardi. Siamo già negli anni ’80 quando Mediaset inizia a trasmettere Sentieri, Febbre d’amore, General Hospital mentre la Rai risponde all’attacco con Destini, Quando si ama, Santa Barbara, Beautiful (poi passata alla concorrenza). La febbre crebbe a tal punto che, immaginiamo, in una torrida notte d’estate, un gruppetto lungimirante di creativi ha dato alla luce il primo figlio legittimo tutto nostrano:
Un posto al sole, seguito da CentoVetrine e altri cult seriali.
Un posto al sole
Nel 1996 – in notevole ritardo rispetto agli altri paesi – nasce Un posto al sole, la prima soap opera tutta italiana. Una produzione di Rai Fiction, Fremantle e Centro di produzione Rai di Napoli che è stata fortemente voluta da Giovanni Minoli, allora dirigente Rai, per collocare nel palinsesto quella che diventerà la serie tv italiana più longeva. L’idea si sviluppa da un format australiano (Neighbours) e nel giro di pochi mesi si afferma come un prodotto di venerazione di massa. Tanto da essere ancora in produzione, sebbene gli ascolti non siano più quelli dei tempi d’oro. In onda dal 21 ottobre 1996, nella fascia preserale delle 18:30, da poco più di un milione di telespettatori – con il passaggio nel 1999 alle 20:30, e successivamente alle 20:45 – Un posto al sole ha macinato ascolti e consensi, arrivando a toccare vette di share sempre superiori al 15%. Mentre oggi non raggiunge nemmeno un milione di persone.
La versione italiana, sviluppata da Wayne Doyle, Luigi Ventriglia, Adam Bowen con la collaborazione di Michele Zatta, ha poco in comune con l’originale australiano; per altro mai arrivato da noi e che ha contribuito al successo di Kylie Minogue. Un posto al sole, infatti, riprende solo il concetto di “vicinato” e lo riporta a un contesto a noi familiare. Ha elaborato una propria cifra narrativa, plasmata sulle esigenze del pubblico italiano. Ha arricchito gli intrecci narrativi tipici dalla soap anglofona con temi sociali difficili, dall’alcolismo agli attacchi di panico, dall’HIV alle dipendenze. Le sottotrame familiari e sentimentali, poi, s’intrecciano a vicende ispirate all’attualità e alla cronaca nera. E così, la prima soap opera italiana somiglia più a un real drama che una soap opera. L’ennesima contraddizione di un popolo notoriamente contraddittorio.
A cavallo del nuovo millennio: l’epoca d’oro delle soap-opera italiane
Dal 1996 ai primi anni ’10 del 2000 – oltre a quelle straniere – una delle trasmissioni seriali di punta della Rai e di Mediaset era rappresentata dalla soap opera, che andava in onda sia nel daytime, sia nel primetime. Sui canali Rai arriva Incantesimo (1998 – 2008). Concepita per la prima serata, come le più celebri consorelle americane, sul finire è stata collocata nel daytime. Poi Agrodolce (2008-2009), Cuori rubati (2002-2003), Nel nome della famiglia (1997), da cui si svilupperà Ricominciare (2000-2001) e Sottocasa (2006). Mediaset non se n’è certo rimasta con le mani in mano. Mentre continuava a trasmettere le soap d’importazione, nel 1999, dà vita a Mediavivere, la casa di produzione del gruppo Mediaset, creata al fine di produrre la prima soap opera originale dell’emittente: Vivere (1999 – 2008). Poi nel 2001 (lo stesso anno in cui su Canele 5 ritornava Twin Peaks) produrrà CentoVetrine (2001-2016), un’altra pietra miliare longeva e amatissima. Mediavivere proverà a sfornare nuovi cult, ma nessuno ha avuto la stessa popolarità. Fino a quando, nel 2016, ha dichiarato bancarotta.
Sin dalla nascita, la soap opera non ha mai goduto della stima della critica, che la riteneva un prodotto di bassa qualità. E a ragion veduta perché il genere non ha mai avuto nessuna velleità artistica. La mancanza di originalità, la ripetitività delle trame, i personaggi manichei e una visione irrealistica della vita sono le sue cifre distintive. Una scelta voluta e consapevole, plasmata sui bisogni del pubblico di riferimento del tempo: le casalinghe alle prese con le faccende domestiche e i figli. Oggi (per fortuna) un discorso del genere ci fa orrore, tanto è sessista. Eppure, la società degli anni ’90, con le dovute eccezioni, rifletteva ancora questo scenario retrogrado. La soap opera nasceva quindi per intrattenere chi era a casa nel pomeriggio e che si occupava anche di fare la spesa. La massaia, la quale – mentre svolgeva le faccende domestiche – aveva bisogno di un intrattenimento sbarazzino perché non poteva prestare troppa attenzione ai dialoghi. Qui entra in gioco il fascino glamour e patinato della soap, un prodotto proibito e vibrante. Sviluppato su trame lineari, concepite per far tornare la spettatrice. La soap era leggerezza, come il sapone; era il luogo dell’evasione, dove la casalinga proiettava i sogni più intimi, le frustrazioni e le pulsioni più recondite mentre stingeva il ferro da stiro. O almeno questo era quello che immaginavano le produzioni e gli sceneggiatori! Ma a giudicare dal successo, qualcuno deve aver svolto bene i compiti. La cadenza giornaliera, la programmazione nel daytime (il dopopranzo) e le fasce preserali, “senza i mariti tra i piedi”, hanno contribuito al successo della soap opera. Un appuntamento creato per un pubblico femminile specifico, cioè il target commerciale a cui puntavano gli inserzionisti.
La soap è evasione dalla monotonia quotidiana
La conditio sine qua non era dunque questa: la soap doveva essere quanto di più lontano dalla realtà. Un rifugio morbido, fatto di colpi di scena, intrighi, passioni e tradimenti che rendevano il pomeriggio più lieto. CentoVetrine, ad esempio, è stata un appuntamento fisso del dopopranzo, una Dynasty torinese tra le vetrine, sconvolte da passioni, tradimenti, vendette e lotte per il potere. Le soap opera italiane vincevano premi e riconoscimenti di ogni tipo. I protagonisti erano figure venerate e paparazzate. Gli attori, belli e impossibili, alimentavano i sogni proibiti di un pubblico che voleva sognare mentre le attrici dettavano il modello estetico di riferimento.
Trattandosi di serie tv longeve, la maggioranza dei personaggi televisivi e non di oggi sono passati da là. Incantesimo, ad esempio, ha ospitato Tiberio Timperi, Laura Chiatti, Vanessa Gravina, Walter Nudo, Micaela Ramazzotti e Alessio Boni. Tra i nomi storici troviamo Roberto Alpi, Ettore Ferri di CentoVetrine, il quale è ancora attivo nelle soap odierne, come Un posto al sole e Il paradiso delle signore. Alex Belli, Jacopo Castelli di CentoVetrine, è approdato nel 2021 al Grande Fratello VIP; oppure Daniela Scarlatti, la Silvana di Vivere la cui sorte ha sconvolto l’Italia, è presente in molte fiction di Rai 1, come Doc – Nelle tue mani. Senza contare le infinite guest star. Non è necessario aver visto tutte le puntate: nel bene o nel male, chi ha vissuto l’epoca d’oro della soap opera italiana conserva ancora i ricordi di quei pomeriggi. Sembra impossibile, ma la lista delle produzioni non è nemmeno tanto lunga. Pochi titoli, dunque, ma composti da numerosissime stagioni, la cui messa in onda a cadenza giornaliera ha reso i protagonisti qualcuno di famiglia. Al pari di un parente con cui trascorrere i pomeriggi, ricorrenze comprese.
Poi, il declino
Partita da tre milioni di ascoltatori, CentoVetrine ha raggiunto ben presto i 4 milioni di spettatori, affermandosi con un record di oltre 5 milioni nel 2005. Anche Incantesimo, la soap opera medicale della Rai, ha mantenuto una media di ascolti tra i 4-8 milioni di telespettatori. Numeri da capogiro, se paragonati a quelli attuali. La stessa media che oggi, a fatica, riesce a racimolare una fiction della prima serata di Rai 1, nonché numeri che la fiction di Rai 2 nemmeno sogna. La seconda metà dei ’90 e il primo decennio del 2000 sono dominati quindi dalle soap opera. Ma è proprio in quel periodo che iniziano a verificarsi cambiamenti socio-culturali epocali. Quelli che getteranno le basi per l’era della quality tv, dove la soap opera esiste, ma non ha nessun primato.
Il calo degli ascolti delle soap opera è drammatico – e arriva anche negli USA – ed è dovuto a numerose ragioni. Ad esempio la maggioranza delle donne inizia a lavorare e il daytime inizia a popolarsi prevalentemente di teenager che prediligono altri contenuti. Arrivano i reality show e i talkshow, un format meno costoso della soap. Iniziano ad arrivare in prima serata una valanga di contenuti seriali che facevano invidia al cinema stesso (in chiaro arriveranno, ad esempio, Lost, Dr. House, Desperate Housewives e le stesse fiction italiane, come Montalbano). E arriva Boris (2007), la prima fuoriserie italiana a dire basta a un linguaggio edulcorato perpetrato delle varie Vivere, CentoVetrine e Incantesimo. Infine, il web darà il colpo di grazia, relegando la soap opera negli spazi televisivi più angusti. Ma, come sappiamo, il genere ama sorprendere lo spettatore. Così, in linea con i migliori plot twist, resuscita.
Le nuove vite della soap opera
Sul finire degli anni ’10, molte soap opera ultradecennali italiane e non chiudono i battenti (tranne Beautiful, Un posto al sole e altre consorelle che forse non si estingueranno mai). Ma la soap opera non è morta. Con l’evolversi della serialità, anch’essa si è evoluta e si è adattata a nuove esigenze narrative, più moderne. Continua a vivere in serie tv insospettabili, come Revenge che ripropone in chiave contemporanea gli intrighi, il glamour, i plot twist, le vendette e le storie d’amore proibite. Tornano i remake delle soap opera storiche, come Dynasty (2017). La ritroviamo camuffata in quasi tutte le fiction italiane più recenti, sia Rai che Mediaset. Anzi, soprattutto Mediaset. Da Le tre rose di Eva, Donna detective, Sacrificio d’amore, Lea – un nuovo giorno a Fosca Innocenti il melò è sempre in agguato. Chiamatele melò-mystery, melò-crime, melò-medical: sebbene abbiano un aspetto contemporaneo, sono comunque figlie legittime della soap opera.
Nata come un genere lezioso e di poco conto, i suoi stilemi si sono impressi nell’immaginario collettivo, diventando dei tropi narrativi che ancora vivono nella serialità attuale, dai teen drama ai crime. I polt twist, le morti improvvise, le trame amorose iperboliche, “le ship” sono un retaggio della soap opera. La ritroviamo nei guilty pleasure più attuali (di ottima qualità) come Jane the Virgin. La febbre d’amore per il genere (e per le telenovela) non si è mai spenta. Anzi, è tornata. Mediaset l’ha sempre tenuta viva e perfino la Rai ha riaperto un cassetto chiuso da tempo. Nel 2015, infatti, ha iniziato a produrre Il paradiso delle signore, in cui sono confluiti diversi volti storici di Vivere, CentoVetrine o Incantesimo. Trasmessa in prima serata su Rai 1, e tuttora in corso, la soap opera con Giusy Buscemi, Alessandro Tersigni e Gloria Radulescu macina gli stessi ascolti dell’epoca d’oro, mantenendo – in prima serata! – una media di share compresa tra il 15 e il 25%!
I tempi d’oro della soap opera in stile CentoVetrine sono tramontati, è vero. Ma la sua eredità non è svanita. Il genere, anzi, sta tornando in voga perché appaga quel bisogno di evasione che una grande fetta di pubblico ancora brama. Un pubblico trasversale, diverso dalla “massaia” di un tempo, certo, ma desideroso di rifugiarsi in una bolla glamour, irreale e patinata, in cui dare sfogo a ogni desiderio recondito.