Il posto di lavoro molto spesso viene considerato come luogo di pena, soprattutto quando non ci si va volentieri. Ogni mattina, col bello o il brutto tempo, occorre alzarsi, vestirsi, fare colazione, uscire di casa. Raggiungere quel postaccio pieno di colleghi non propriamente simpatici, con un capo molto spesso ottuso, e lavorare fino al termine della giornata. Per tutti i giorni dell’anno. Fino alla pensione.
D’accordo, l’abbiamo messa nella peggiore delle ipotesi. Un detto, attribuito a Confucio, dice: fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita. Magari non tutti ma qualcuno che faccia il lavoro che ha sempre sognato esiste, ne siamo sicuri e il posto di lavoro, magari, è una specie di paradiso dove andarci molto volentieri. Tipo un bar, alla Cheers, per esempio!
La workplace comedy è un genere di serie televisiva che nasce praticamente con la televisione stessa. Dal bianco e nero di The Gale Storm Show andata in onda a partire dal 1956 sulla CBS allo streaming di Inside Job, serie animata andata in onda su Netflix lo scorso 23 ottobre 2021, la workplace comedy è un genere che ha sempre riempito i palinsesti delle televisioni di tutto il mondo, in particolar modo quelle americane, perché il mondo del lavoro ha sempre fatto parte della vita di ogni essere umano e si sa che non c’è niente di più semplice che rappresentare, sullo schermo, la vita dell’uomo comune.
L’elenco delle commedie ambientate sul posto di lavoro è davvero infinito, così come sono infiniti i posti di lavoro che sono stati usati come set per girarle. Abbiamo la concezione che il lavoro riguardi soltanto la nostra vita ma chiunque abbiamo una vita “normale”, e dunque un lavoro, ha un posto dove praticarlo, compresa la propria casa.
Dall’ospedale di Scrubs al set di Boris; dagli uffici della NBC di 30 Rock all’ufficio del vicepresidente degli Stati Uniti di Veep. Dalle aule di una high school dell’Ohio (A.P Bio) agli uffici di un distretto di polizia newyorkese (Brooklyn Nine-Nine), dalla cucina animata di Bob’s Burger agli uffici di Parks and Recreation. Dagli uffici di una agenzia immobiliare a nord di Londra (Stath Lets Flats) ai campi di calcio di Ted Lasso. Eccetera, eccetera, eccetera. Tutte con un unico comune denominatore: far ridere il pubblico dal posto di lavoro.
L’elenco potrebbe essere ancora lungo, con l’unica certezza di averne dimenticata qualcuna. Tra le tantissime workplace comedy ne abbiamo scelte cinque (trasmesse tutte in Italia), alcune vintage come Cheers, considerate per critica e i premi ricevuti dei veri e propri capisaldi del genere. Perché se proprio si deve andare a lavorare, tanto farlo in un posto dove si rida molto!
P.S: in Italia, escludendo Boris, le workplace comedy esistono? Suggeritene qualcuna voi.
Cheers
In Italia conosciuta con titolo di Cin Cin, Cheers è una sitcom americana andata in onda tra il 1982 e il 1993 per un totale di undici stagioni e duecentosettantacinque episodi.
Cheers ha ottenuto 181 candidature (di cui 117 per gli Emmy, record battuto soltanto da E.R Medici in prima linea) vincendo la bellezza di settantasette premi ed è stata considerata dalla critica, dalla prima all’undicesima stagione, come una delle più belle e meglio riuscite sitcom di tutti i tempi.
La storia si svolge all’interno di un bar, il Cheers di Boston appunto, tra l’altro una location effettivamente esistente e meta, ancora oggi, di pellegrinaggio da parte dei fan della serie. Il bar Cheers è di proprietà di Sam Malone, ex lanciatore dei Red Sox, la squadra di baseball di Boston, che ha dovuto smettere di giocare perché alcolizzato. All’interno del suo locale si svolgono le puntate della serie dedicate per lo più all’evoluzione dei personaggi. Gli argomenti, dalla dipendenza da alcol all’omosessualità passando attraverso la differenza di classi sociali, trattati sempre con molta ironia e sagacia, servono come espediente per far crescere e sviluppare i personaggi che si alternano sugli del Cheers. Apparentemente, infatti, la serie sembra più un lungo e dettagliato resoconto della vita sentimentale dei protagonisti. Ma attorno alle storie d’amore c’è, appunto, tutto il mondo dei personaggi, come in una sorta di romanzo di formazione.
Nel cast di Cheers sono presenti tra gli altri Ted Danson nei panni del proprietario, Sam Malone; Woody Harrelson nei panni di Woody Boyd, un barista non molto capace; e Kirstie Alley, nei panni di Rebecca Howe, manager prima e cameriera dopo del Cheers.
All’interno della serie sono poi apparse come special guest star, tante personalità del mondo dello sport (giocatori dei Red Sox di Boston), della politica (il sindaco di Boston dell’epoca, il senatore John F. Kerry), della televisione e della musica di quell’epoca.
Cheers è stata omaggiata in innumerevoli spettacoli televisivi tra i quali I Simpson, Scrubs, How I meet your mother e persino in un videogioco, Fallout 4. Cheers, inoltre, ha avuto due spin-off: uno pochissimo conosciuto e durato meno di una stagione, mentre il secondo, invece, di grandissimo successo. Si tratta infatti di Frasier, sitcom creata sul personaggio di Frasier Crane, interpretato da Kelsey Grammer.
Spin City
All’epoca poco apprezzata dal pubblico, oggi considerata invece un caposaldo delle sitcom americane sulla satira politica, Spin City è andata in onda sulla ABC tra il settembre del 1996 e l’aprile del 2002 per un totale di 145 episodi spalmati su sei stagioni.
La serie racconta in maniera romanzata la vita politica dell’ufficio del sindaco di New York anche se il vero protagonista della storia è il suo vice, interpretato da Michael J. Fox, il quale è una perfetta macchina da guerra ottenente grandi successi lavorativi ma che non riesce, come spesso accade, ad avere una altrettanto soddisfacente vita privata. Attorno a lui ruotano i diversi membri dello staff del primo cittadino di New York, personaggi dalle mille sfaccettature e non sempre politicamente corretti nei confronti del loro capo.
Michael J. Fox dovette rinunciare al suo ruolo dopo la quarta stagione quando gli venne diagnosticato il Morbo di Parkison. Nella serie si racconta che il suo personaggio si era dovuto licenziare e si era trasferito a Washington DC dove, poi, era finito a lavorare come lobbista per un giovane senatore di nome Alex P. Keaton (personaggio di Michael J. Fox in Casa Keaton). Al suo posto venne chiamato Martin Sheen ma l’abbandono di Fox ebbe gravi ripercussioni anche sul team di sceneggiatori che abbandonarono la serie. La serie durò ancora due stagioni poi venne cancellata per un calo di ascolti.
Nel cast femminile troviamo Carla Gugino, Connie Britton e Heather Locklear.
La serie ottenne diverse candidature e vinse quattro Golden Globe e un Emmy.
Taxi
Con Taxi dobbiamo fare un passo indietro nel tempo. Precisamente tra il 1978 e il 1983, per un totale di centoquattordici episodi distribuiti su cinque stagioni, è andata in onda questa sitcom ambientata in una rimessa di taxi newyorkese gestita da Louie De Palma, interpretato da Danny DeVito.
La serie racconta la storia di un gruppo di tassisti della Grande Mela e riesce, pur in una comicità che spesso sfiora il demenziale, ad affrontare in maniera decisamente seria argomenti piuttosto spinosi per l’epoca, come la tossicodipendenza, la bisessualità, l’obesità, il razzismo eccetera.
La serie, nel corso degli anni, ha ottenuto ben cinquantacinque candidature tra Emmy e Golden Globe vincendo ben ventisette premi. La critica, sia pubblica che professionale, è sempre stata unanime nel definire Taxi una serie ben fatta, divertente, spiritosa, ricca di spunti di riflessione. Del resto tra i suoi ideatori troviamo gente del calibro di James L. Brooks vincitore di ben tre premi Oscar e tra gli attori protagonisti, oltre al già citato Danny DeVito, anche Judd Hirsch (Gente comune, Independence Day, A Beautiful Mind, Man on the Moon) e Christopher Lloyd (“Doc” in Ritorno al futuro tra le tante altre cose).
Call my agent
Call my agent! (in francese Dix pour cent, dieci per cento) è una serie televisiva francese (ne sta uscendo ora una versione bollywoodiana) andata in onda dal 2015 al 2020 su France 2, canale televisivo francese pubblico. La serie, ventiquattro episodi spalmati su quattro stagioni, è stata distribuita nei paesi francofoni dalle rispettive televisioni e nel mondo da Netflix ottenendo un ottimo successo di critica e pubblico (più svariate nomination ai premi televisivi più ambiti). In Italia è poco conosciuta, o comunque non ha ottenuto il riscontro che avrebbe meritato essendo una serie decisamente ben fatta e molto appassionante.
Il luogo di lavoro dov’è ambientata è una importante agenzia artistica parigina con i quattro soci rimasti, dopo la morte del fondatore, alle prese con il mondo del cinema e della televisione. O meglio, con le loro star e, soprattutto, i loro capricci. Ed è proprio questa idea, che si ha degli artisti del mondo della celluloide, cioè che siano capricciosi e difficili da accontentare, a essere il fil rouge della serie. In un perfetto mix tra realtà e finzione, special guest star del calibro di Isabelle Hupert, Monica Bellucci, Jean Reno e tantissimi altri, ovviamente tutti francesi ma comunque mondialmente conosciuti, interpretano loro stessi (realtà) in situazioni ad hoc (finzione) che rasentano la tragicommedia.
In una Parigi come sempre meravigliosa, la vita dei quattro agenti è costellata da situazioni molto spassose che rendono Call my agent una piacevolissima scoperta nel caso non la conosceste. A proposito, Dix pour cent è la percentuale che riscuotono i soci dell’agenzi.
M*A*S*H
Un altro passo indietro nel tempo: M*A*S*H. Acronimo di Mobile Army Surgical Hospital, è probabilmente una delle prime serie televisive ricavate da un film. Tratta dal bestseller satirico-umoristico di Richard Hooker, pseudonimo di H. Richard Hornberger, e Wilfred Charles Heinz , come il film del 1970 diretto dal grande Robert Altman, vincitore di un premio Oscar come miglior sceneggiatura non originale, di un Golden Globe e della Palma d’Oro a Cannes, M*A*S*H racconta la storia di un gruppo di medici e personale sanitario militare di stanza in Corea del Sud durante la guerra di Corea (1950-1953).
Prodotta dalla 20th Century Fox Television e andata in onda negli Stati Uniti, sulla CBS, tra il 1972 e il 1983 per un totale di undici stagioni pari a duecentocinquantasei puntate, M*A*S*H è una di quelle serie che a suo tempo fece scalpore e, col senno di poi, epoca. Trasmessa quando gli Stati Uniti erano ancora impegnati nella guerra del Vietnam (finita nel 1975), a gran parte della critica e del pubblico M*A*S*H apparve come una chiara critica all’impegno militare del paese nell’Indocina. Del resto questa critica al governo americano era già venuta a galla due anni prima, nel film di Altman, e la serie non fa che confermarlo. Le storie tragicomiche del personale medico militare, ricche di spunti satirici, narrano senza censura, sotto forma di racconto epistolare, la dura e cruda vita dei soldati nella Guerra di Corea proiettandole naturalmente vent’anni dopo in un’altra parte del mondo, un po’ più a sud della Corea.
I personaggi di M*A*S*H (gli asterischi tra le lettere hanno una pura valenza estetica) sono ricreati su personale medico realmente esistito (l’autore del libro, infatti, è stato chirurgo militare in Corea) e vede da una parte i classici ufficiali impettiti e dall’altra quelli meno ligi alla forma ma più dediti alla sostanza, cioè a salvare le vita.
Ambientata in un ospedale da campo, le storie dei feriti e di chi li cura (tutte rigorosamente reali) sono inframmezzate da irriverenti situazioni che alleggeriscono il tutto senza però smettere la continua analisi e critica nei confronti dell’assurdità della guerra.
Da notare che l’ultimo episodio della serie detenne il record di spettatori dalla sua messa in onda, nel 1983, fino al 2010 quando venne battuto dal Superbowl di quell’anno. La finale della National Football League batté M*A*S*H per 111 milioni di telespettatori a 105 milioni.
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