Questa è una storia costellata di casualità, coincidenze impensabili e strani eventi. È una storia di incontri fortuiti, uomini misteriosi e momenti di profonda crisi. Questa è la storia di Chris Pratt, l’uomo al centro della stanza.
C’è un bambino. È solo, sperso, senza alcun riferimento. È fermo immobile in un centro commerciale. La gente gli passa accanto, sembra non notarlo. Tutti, tranne un tale che nella confusione generale lo sente piangere. Lo guarda, si china, gli sussurra qualcosa e lo prende per mano. Il piccolo Chris lo segue, sempre silenzioso, stordito. Lo sconosciuto si guarda intorno, parla dolcemente al bambino che finalmente indica un punto. Chris si ricongiunge con sua madre, che lo aveva perso, ma non si era neanche accorta che il figlio era sparito. È un evento apparentemente insignificante, comune, casuale. Ma senza questo evento la vita di Chris Pratt sarebbe stata completamente diversa. “Da quel momento in poi ho iniziato a pensare: se sono in una stanza devo far rumore“. Voglio essere notato, voglio che tutti sappiamo che ci sono. Voglio essere l’uomo al centro della stanza.
L’intera vita di Chris Pratt ruoterà attorno a questo desiderio disperato: essere notato per sapere di esistere.
Per non essere più quel bambino, dimenticato anche da sua madre, solo, in un centro commerciale. La famiglia viaggia molto. “È così che facevamo: prendevamo la decisione, facevamo i bagagli e ci trasferivamo“. Il padre è un minatore, estrae taconite nel Minnesota, poi minerali ferrosi in giro per gli USA, quindi oro in Alaska. Chris vaga senza pace al suo seguito, invisibile agli occhi di tutti. Una tregua da questo infinito girovagare porta la famiglia a Lake Stevens, nello stato di Washington. Qui il ragazzo è intenzionato a farsi notare. Approccia alla lotta, lo sport più popolare dello stato e in breve, con ostinazione e rabbia, si distingue fino a diventare uno dei migliori. È il ragazzo al centro della stanza. Impossibile da ignorare.
Ma il suo modello è il padre, da giovane uno dei più talentuosi giocatori dell’High School Football. “Quando prendeva la palla illuminava lo stadio“. Chris ha ottime qualità, è ancora al centro della stanza, un linebaker, ruolo cardine della difesa. Non puoi fare il linebaker se non hai doti fisiche e grande aggressività. E Chris ne ha da vendere. Tranne la velocità: per questo non potrà mai arrivare ai livelli del padre, non potrà mai competere al college. Eppure, anche questa esperienza, apparentemente comune e infruttuosa risulta decisiva nella vita del futuro attore. “Penso di aver imparato di più su come essere attore giocando a football di quanto abbia fatto con la recitazione“. Il ragazzo sembra prevedere le mosse dell’avversario, ne studia la psicologia, si cala nelle sue scelte, riesce ad anticiparle. Senza saperlo è il suo primo banco di prova recitativo.
È un altro suo grande punto di riferimento a indirizzarlo per la prima volta alla recitazione vera e propria: il fratello maggiore, Cully. Con lui gioca alla lotta da quando sono bambini, si confida, passa gran parte del suo tempo. Un Natale Cully è protagonista in una recita musicale: canta e domina la scena. Su di lui sono gli occhi di tutti: è l’uomo al centro della stanza. La madre piange dall’orgoglio e dalla commozione. In quel momento Chris sente di voler diventare quell’uomo. La sua adolescenza si divide così tra lotta, football e recitazione. È il ragazzo d’oro d’America, amatissimo, invidiato, desiderato dai suoi coetanei, una piccola star. Ma poi c’è il mondo. Il microcosmo dell’High School sta per sgretolarsi e Chris non sa ancora quale sia il suo futuro. Il coach di lotta lo prende in disparte e gli domanda a bruciapelo cosa ha intenzione di fare della sua vita. “Non lo so, ma so che diventerò famoso e farò soldi a palate“.
La ferma e strafottente convinzione di un adolescente si scontra però con la realtà.
La famiglia versa in condizioni finanziarie disastrose. Prima va in affitto, poi finisce a vivere in una roulotte. Chris si trasferisce, ospite, da un amico. È intenzionato a seguire il fratello nell’esercito. Cully però lo guarda fisso negli occhi e gli fa promettere di non farlo. Sa che la vita militare distruggerebbe quel ragazzo così estroso, originale e dall’eccentrico individualismo. Sa che ne omologherebbe tutti i tratti. Ne distruggerebbe la goliardica irriverenza. Chris promette. Ancora una volta, un piccolo evento, una piccola scelta decisiva però per il suo futuro.
Pratt inizia a mantenersi servendo ai tavoli. Contemporaneamente frequenta un community college e tra i vari corsi ne segue anche uno di teatro. Il maestro di recitazione dopo una delle sue performance lo prende in disparte e gli confida serissimo: “Dovresti pensare di farlo come lavoro“. Chris torna così a sperare di essere l’uomo al centro della stanza. Le cose al college, però, non vanno bene: sente di non avere interesse per le lezioni, proprio come al liceo. Molla senza avere un’idea chiara di cosa fare. Ecco però una nuova casualità, un evento fortuito, ancora una volta apparentemente insignificante e in realtà importante per il suo futuro: sfogliando il giornale l’occhio gli cade su un annuncio. “Ti piace il rock’n roll e fare soldi?“, recita la strana pubblicità. Chris si risponde che sì, ama discretamente entrambe le cose. Accetta di seguire la corrente rispondendo all’annuncio. E così finisce a fare il venditore porta a porta.
Vende di tutto, dai coupon per il cambio olio ai buoni per la Spa. “È come se fosse stato tutto pianificato. Si è dimostrato un perfetto banco di prova per le audizioni e per affrontare i rifiuti“. Non solo. In questo lavoro devi anzitutto saperti vendere e Chris impara a farlo alla grande, con una presenza scenica e un’arte da imbonitore senza confronti. In breve ottiene in gestione un ufficio a Denver, si trasferisce, ad appena ventuno anni, e affitta un appartamento. Il tutto, però, si rivela una grande truffa. “Quando siedi al tavolo da poker cerca il pollo da spennare: se non lo trovi significa che sei tu“. E Chris è quel pollo. Finisce in un sistema piramidale che in breve diventa per lui insostenibile. Accumula debiti e alla fine non ha altra scelta: lascia il lavoro mentre il suo superiore gli urla: “Sappi che non c’è nient’altro per te là fuori“.
Torna a casa, a Lake Stevens dove viveva ancora della gloria residua del liceo e dove aveva convinto tutti che stesse facendo soldi.
Prova ancora a essere l’uomo al centro della stanza. Un suo amico però si rende conto della realtà, gli compra un biglietto per le Hawaii, dove si è trasferito, e lo invita a stare da lui. Di nuovo, naturalmente, la casualità e l’onda che Chris cavalca e asseconda rispondendo ancora con un sì. Inizia a lavorare in una catena di ristoranti ed è il solito imbonitore e saltimbanco di sempre, capace di conquistare i clienti con il suo charme e intrattenerli piacevolmente. Aspira costantemente a farsi notare, vuole essere l’uomo al centro della stanza, non importa come e dove. Diventa l‘impiegato dell’anno ma è troppo poco, ovviamente, per le sue ambizioni.
Abita con i suoi amici in spiaggia, in un furgone con una tenda, un divano e una coperta come compagni, oltre a una rassicurante scorta di birra. In poche parole è un senzatetto. La bellezza abbacinante di quei luoghi paradisiaci si scontra con il suo umore, con la pesante consapevolezza di non essere al centro della stanza. Di essere ancora quel bambino perso in un centro commerciale. E allora di nuovo il caso, il destino o qualche dio benevolo vanno in aiuto di Chris Pratt.
È una sera qualunque. Si trova fuori da un locale, a Maui, in attesa che i suoi amici comprino dell’alcol quando viene notato da qualcuno. Lo sconosciuto lo fissa, sembra guardarlo dritto nell’anima e cogliere qualcosa. Si avvicina, inizia a parlargli. È l’ennesima persona che come una sorta di angelo custode indirizzerà Chris Pratt nelle sue scelte. “Gesù mi ha detto di parlarti“, fa il tizio. Ma Chris non si scompone, lo ascolta e ha l’impulso irrefrenabile di seguire quell’uomo. Arrivano a una chiesa e lì il ragazzo per la prima volta sente con tutte le sue forze che ogni cosa, ogni singola casualità, ogni scelta apparentemente arbitraria e senza sbocco lo stanno conducendo verso il suo futuro. Un futuro in cui ora ha piena fiducia. Era l’unica cosa che mancava a Chris Pratt: la forza di credere ancora in se stesso. Tutto l’universo sta per allinearsi.
Giorno qualunque del suo lavoro qualunque al Bubba Gump Shrimp Restaurant: nel locale entra una donna con un accompagnatore.
“Sono al suo servizio“, fa lui. “E io sono Rae Dawn Chong“, risponde lei. Quel nome non suona affatto nuovo a Chris Pratt. “Lei è una star del cinema!“. “Sei carino, reciti?“. “Ca**o, eccome se recito! Mi prenda per un film“. Chong sorride e gli chiede il numero. Peccato che Chris Pratt non abbia neanche un telefono. Ragiona in fretta e le dà quello del suo amico, Michael Jackson, un omonimo, naturalmente. Il giorno dopo l’attrice lascia un messaggio, Michael quasi si dimentica di riferirglielo, poi d’improvviso gli sovviene. “Hey, Chris, una tizia cinese o qualcosa del genere ha lasciato un messaggio”.
Chris Pratt ottiene così il suo primo ruolo, per di più da protagonista. C’è solo un problema: il cortometraggio è un disastro totale. Cursed Part 3 (e no, non c’è una prima e seconda parte) parla di una troupe cinematografica colpita da una maledizione mentre gira un film su una casa maledetta. Le riprese durano appena dieci giorni e il corto non vedrà mai la distribuzione. Senza Cursed Part 3 però Chris Pratt non sarebbe mai arrivato a Hollywood: non ha i soldi per il biglietto aereo che gli viene pagato dalla produzione. Ancora un tassello, ancora un colpo del destino che lo avvicina al successo.
A Hollywood fa il cameriere e nel frattempo inizia a recitare in piccole parti. La prima svolta con Everwood, nel 2002: “È allora che sono diventato un attore“. Ottiene la parte con l’ormai consolidato carisma, con il fisico da atleta, con la furbizia da venditore porta a porta, con l’ironia da intrattenitore di clienti, con la sicurezza di chi vede il proprio destino già tracciato. Ogni singolo evento, ogni singola scelta apparentemente fortuita lo hanno portato fino a questo momento. Ormai è lanciato: nel 2009 la parte tagliata perfettamente su di lui in Parks and Recreation, serie di incredibile leggerezza, che lo impegna fino al 2015. Nel frattempo si sposa e prende peso, anche perché pensa sia più in linea col personaggio. Ma la cosa lo penalizza nei provini. “Non ti prenderemo, sei troppo sovrappeso“, gli dicono all’audizione per L’arte di vincere. Ma Chris non demorde e in tempi record torna in una forma strepitosa ottenendo alla fine una parte.
Non gli basta, però: lui vuole essere l’uomo al centro della stanza.
Quando si presenta l’occasione per il nuovo film della Marvel, Guardiani della Galassia, Chris non si sente però adeguato. È il suo manager ad avvicinarlo e a dirgli: “È quello che hai sempre voluto“. Così Chris Pratt si rende così conto di poter diventare davvero l’uomo al centro della stanza. Non è neanche in lista per il provino ma si presenta lo stesso. “Ma chi è? Chris Pratt? Avevamo detto che non volevamo il cicciottello di Parks and Recreation”. Ma ormai è lì e i dieci precedenti candidati sono stati un disastro. Chris cala tutti i suoi assi e quando l’audizione termina resta nella parte rispondendo a James Gunn per le rime, con quel sarcasmo iconico che sarà proprio di Star-Lord. “Quando ti impratichisci con i provini capisci che devi entrare nella stanza già calato nella parte, devi far loro pensare che sei già quel personaggio“, ha rivelato poi a Vanity Fair. Gunn è senza parole: “Cavolo, è lui“. La fama di Chris Pratt raggiunge il culmine, non può più essere ignorato, non passa inosservato in nessun luogo. Tantomeno in un centro commerciale. Ora è davvero quello che ha sempre voluto. Ora è l’uomo al centro della stanza.