Attenzione: nell’articolo che segue sono contenute tracce di spoiler.
È finita, ma non è finita. Dal 1992 a oggi, potenzialmente, ci sarebbe materiale per produrre tante stagioni quanto quelle dell’epopea di Beautiful, ma non andrà così. Fortunatamente. Eppure non è finita. “1992”, #NataDaUnIdeaDiStefanoAccorsi, sarà, con ogni probabilità, il primo di tre atti. Una trilogia, si spera al contrario, qualitativamente parlando. Normalmente, il primo atto è il capolavoro, il secondo si accetta, il terzo è un disastro. Stavolta non si accetta manco il primo, quindi non resta che tremare. In alternativa si può sperare, dipende dai punti di vista. In attesa delle nuove mirabolanti avventure narcisistiche di Leo Notte e l’ennesimo amplesso della bella Veronica, si può provare ad individuare cinque motivi per cui “1992” ha deluso le aspettative, facendone uno spunto per chiedere di evitare agli spettatori un nuovo supplizio.
1) “1992” È UN’ OSTAGGIO DI STEFANO ACCORSI – La serie, #NataDaUnIdeaDiStefanoAccorsi, nasce e muore tra i muscoli scolpiti del suo creatore. Per ampi tratti, la prima stagione del viaggio alla scoperta di uno dei lati più oscuri dell’Italia post fascista è un esercizio di vanità dell’interprete di Leo Notte, protagonista di una prestazione recitativa quantomeno discutibile. Poca introspezione e tanta carne, pochi dialoghi, conditi da diverse punchline buttate in mezzo a caso, e tanto sesso. Notte è etereo, occultato solo in minima parte dalle ombre del passato, senza veli nell’esibizione del suo fondoschiena, ma quasi mai nell’espressione più intima della sua interiorità. E poi c’è la mimica facciale. Notte, attraverso gli occhi di Accorsi, è la massima rappresentazione dell’“esercito di plastica” che lui guarda dall’alto verso il basso, con aria di supponenza. Non cambia mai. Sergio Leone sosteneva che Clint Eastwood avesse due espressioni: una col cappello e una senza. Per Accorsi le uniche due espressioni mutano in relazione all’abbassamento delle sopracciglia. Notte fonda.
2) “1992” È UN LABIRINTO – Sei personaggi immaginari da raccontare, un’infinità di personalità reali da raffigurare ed una miriade di intrecci, tanto stereotipati e autonomi da essere incapaci di interagire tra loro in modo credibile. Raccontare tutti questi mondi in dieci puntate ed una decina di ore sarebbe stato difficile per qualunque sceneggiatore. L’obiettivo, troppo arduo, non è stato centrato. I protagonisti si accartocciano su se stessi, appesantendo oltremisura il racconto. C’è poco spazio per l’azione, eccessivo per le sensazioni e, allo stesso tempo, minimo per la costruzione delle personalità. Un paradosso. I personaggi non si evolvono, trasformandosi in una rappresentazione grossolana della maschera che indossano. Ridurre i filoni narrativi avrebbe dato più ritmo e linearità, indispensabile per tenere il passo di colonna sonora (la firma di Boosta è deliziosa) e montaggio.
3) SI FACCIANO UNA CORSETTA! – Milano da bere? Macché, questa Milano è da fumare come se non ci fosse un domani. Questa non è una serie tv, è un lunghissimo spot della Marlboro, qualcuno lo ammetta. Di Pietro fuma, Veronica fuma, Dell’Utri fuma, Nobile fuma, Notte fuma e offre le sigarette persino alla figlia quindicenne. Qualcuno dice che il troppo storpia, e qui si è esagerato. L’ansiosa ricerca del tabacco, intramezzata da momenti continui di sesso, è il cliché utilizzato per esprimere la tensione dei protagonisti, ma, invece che creare un climax ascendente del pathos, si ottiene il risultato opposto, facendo dei personaggi delle macchiette. Oppure dei testimonial della Philip Morris, se si preferisce. Il “1992” è il trionfo di Venere e Bacco. Anzi no, Venere e Ta… Bacco. Per placare l’ansia, si potrebbe correre o esercitarsi un po’ in sala pesi, ma l’unico a farlo è Notte, ovviamente dopo aver assaporato una sigaretta. Il fumo uccide, talvolta, anche le serie tv.
4) MARCELLO DELL’UTRI È UN GRAN FIGO – E poi c’è lui, il deus ex machina di Publitalia. Marcello Dell’Utri è, senza dubbi, il personaggio meglio costruito di “1992”. Protagonista della sequenza più affascinante della serie (quella in cui viene a conoscenza, attraverso un video wall di Publitalia, dell’assassinio di Salvo Lima, accompagnato dalle note della sigla di Casa Vianello), Dell’Utri è ritratto con grande eleganza e infinita raffinatezza. Parla poco, pochissimo rispetto agli altri personaggi centrali, ma è capace con uno sguardo o una frase ad effetto di incantare gli spettatori. Forse troppo. Il braccio destro di Silvio Berlusconi è tanto ammaliante da spingere molti a fare il tifo per lui. È un eroe romanticamente maledetto, leggero quanto lo sventolio di un ventaglio e complesso quanto la caratterizzazione di un uomo controverso. Dell’uomo Dell’Utri, quello vero, rimane poco, perché vince la finzione scenica con scarsa aderenza alla realtà. A differenza delle intenzioni del racconto, è più naturale stare con lui che con Di Pietro.
“1992”? È IL 1992? – L’ultimo punto è il più significativo. La questione che si pone è incredibile: “1992” è realmente ambientato nel 1992? Una suggestione, dettata dalle ingombranti montature d’occhiali dal sapore craxiano e le note di “Non amarmi”, non è sufficiente, se non è sorretta, quantomeno, da una verosomiglianza con il contesto storico raffigurato. I continui refusi (giusto per citare uno dei più mastodontici, la misteriosa apparizione di un codice Iban, introdotto nel 2000), uniti ad una notevole decontestualizzazione delle vicende di fantasia da quelle reali, antepongono gli intenti narrativi a quelli della rappresentazione di un mondo, forse troppo vicino al nostro per essere descritto fino in fondo. Gli sceneggiatori hanno agito con presunzione, svuotando di significati l’importante lavoro documentaristico fatto per approcciarsi all’Italia del 1992. Realtà e finzione si mescolano, creando confusione. Dove finisce il 1992 ed inizia “1992”? Agli occhi di chi non ha vissuto o analizzato quella fase, non è dato saperlo.
I produttori hanno ancora spazio per fermare le lancette dell’orologio, invece di continuare ad immortalarle nel caos più totale. Leo Notte, nell’ultima sequenza della serie, afferma: “Sarà un magnifico 1993”. Ce lo si augura, perché il 1992 non è stato un granché.
@antoniocasu_