Il biopic è il genere che più di tutti consente all’arte e alla storia di incontrarsi, incarnando un doppio valore molto significativo: da un lato c’è la valenza artistica, quella per cui la vita di un soggetto importante, a prescindere dal “mondo” da cui proviene, che può essere quello dell’arte, della musica, ma anche della storia o della politica, prende effettivamente vita sotto forma di trasposizione, seriale o cinematografica che sia, dando forma visiva al racconto di una vita, di una biografia significativa; dall’altro lato c’è una valenza educativa, che può sembrare banale, ma che non lo è affatto, soprattutto nel momento in cui le nuove generazioni, per esempio, hanno la possibilità di conoscere la carriera di un artista famoso (come per i Queen e Freddie Mercury in Bohemian Rhapsody) o la vita di un uomo che ha occupato un ruolo centrale in termini storici (come accadrà con Napoleon di Ridley Scott e come è successo in centinaia di altri casi). Insomma, il biopic è un genere che oltre a essere un evergreen in termini di risultati, ha anche una certa importanza di natura culturale; e chi, meglio del nostro paese, è culla di personalità influenti e importanti? Per questo motivo, nell’articolo di oggi, ci siamo divertiti a immaginare il possibile adattamento seriale di alcuni personaggi iconici italiani, Cristoforo Colombo, Caravaggio e Primo Carnera, spaziando tra i vari settori, perché tutti loro (e molti altri) meriterebbero una serie tv tutta per loro.
Cristoforo Colombo
Nella storia moderna, i viaggi di Cristoforo Colombo sono noti per essere la rappresentazione dei fondamentali della colonizzazione europea delle Americhe, un evento che, di fatto, ha cambiato completamente la percezione dell’uomo rispetto al mondo conosciuto. Da tale evento nasce anche il Columbus Day, ricorrenza che in Italia cade il 12 ottobre, mentre negli Stati Uniti il secondo lunedì dello stesso mese; da qualche anno il Columbus Day è motivo di polemiche, soprattutto lato statunitense, questo perché la scoperta dell’America è direttamente riconducibile all’inizio della colonizzazione europea negli States e, dunque, all’inizio dei soprusi e delle sofferenze inflitte alle popolazioni indigene americane, motivo per cui, negli ultimi anni, molti stati hanno rinominato tale festività, dedicandola agli stessi popoli indigeni. Il Columbus Day è sicuramente un discorso molto delicato, ma entrando nell’ottica di una trasposizione seriale sulla vita di Cristoforo Colombo, occuperebbe comunque uno spazio di cui tenere conto, soprattutto in riferimento alla rappresentazione del modo in cui gli stessi indigeni vennero trattati fin dal momento in cui gli europei misero piede nelle nuove terre, che prima della mappatura di Amerigo Vespucci (da cui prendono il nome), venivano chiamate le “Indie Occidentali”. Entriamo ora più nel dettaglio del character in questione: Cristoforo Colombo è uno dei più grandi e noti navigatori ed esploratori italiani, eppure, il suo mito è stato tramandato per via di quello che definiremo un “piccolo incidente di percorso”, dato che la sua volontà, nel celebre viaggio del 1492, era quella di attraccare nelle Indie orientali, ma un errore di valutazione lo portò da tutt’altra parte, rendendo possibile la scoperta dell’America.
Nell’immaginario popolare, la vita di Cristoforo Colombo è indissolubilmente legata a quel viaggio, il primo di cinque totali verso le Americhe, per via dell’importanza storica del risultato che questi riuscì a ottenere.
Tuttavia, non solo i viaggi continuarono fino al 1502, ma nei successivi la storia si fa sempre più intrigante: Colombo continuava a credere di trovarsi nelle Indie e, per un errore di valutazione di matrice linguistica, si convinse che il Giappone, terra famosa per le sue ricchezze secondo i racconti di Marco Polo, fosse molto vicino a dove si trovava. Per quanto riguarda una possibile trasposizione seriale, le vicende storiche su Colombo si sprecano, e ci sarebbe tantissimo materiale su cui lavorare, soprattutto per quel che riguarda i suoi studi, ma anche, per esempio, sugli insistenti tentativi di trovare un finanziatore che contribuisse a rendere il suo apparentemente folle piano realtà. In una linea temporale di circa dieci anni, quelli dei viaggi alla volta delle Americhe, si potrebbe raccontare la passione e la mentalità di un uomo che, armato di buona volontà e di una sostanziosa mole di fortuna, riuscì a realizzare l’impresa dei suoi sogni, seppur finendo nei libri di storia per un “errore di valutazione” ai limiti del credibile. La storia di Cristoforo Colombo è talmente importante e influente da meritare una narrazione in chiave moderna per raccontare l’uomo prima dell’esploratore con tutti i suoi sogni e i suoi limiti, ma anche per ricostruire al meglio un passaggio fondamentale per l’umanità, tenendo in considerazione e dando il giusto spazio a tutti i risvolti negativi del caso. Entrando nel dettaglio di ciò che può essere considerato errore, ma anche dando centralità a una delle più grandi imprese che l’uomo ricordi.
Caravaggio
Dopo Cristoforo Colombo, passiamo ora a un personaggio molto particolare, uno dei più celebri pittori a cui l’Italia abbia dato i natali: Caravaggio. Per quanto riguarda il mondo dell’arte, quella di Caravaggio è sicuramente una delle storie più interessanti e intriganti; il pittore, cui vero nome è Michelangelo Merisi, nacque a Milano nel 1571, da Fermo Merisi e Lucia Aratori, entrambi originari di Caravaggio, paese del bergamasco. Caravaggio ebbe una vita decisamente movimentata, a partire dalla giovane età: apparteneva a una famiglia benestante, ma perse il padre a soli sei anni per via della peste, che in quegli anni dilagava a Milano, e la madre prima di compiere vent’anni; in seguito al suo apprendistato Caravaggio si trasferì a Roma, dove poté applicare il suo interesse nella rappresentazione di scene di vita quotidiana alle strade della capitale, decisamente più movimentate e, per certi versi, oscure rispetto a quelle di Milano. Dal 1600 in poi, la vita di Caravaggio è stata sempre più borderline: il pittore, di temperamento tutt’altro che quieto, si ritrova coinvolto continuamente in risse e situazioni controverse, finendo per uccidere, nel 1606, uno dei suoi “rivali”, Ranuccio Tommasoni, in seguito a una partita di pallacorda finita male. Tale gesto costa a Caravaggio la permanenza a Roma: l’artista è obbligato ad abbandonare la capitale in quanto accusato di omicidio, per cui rischia seriamente una condanna a morte.
E’ proprio qui, da questo esatto momento storico, che ci siamo immaginati una serie tv che racconti le vicende principali della movimentata vita di Caravaggio, un genio folle; dal momento in cui questi fugge da Roma, ci siamo immaginati lo sviluppo di due linee narrative differenti: una che potrebbe seguire la gioventù dell’artista, partendo dai primi anni di vita, passando per la dolorosa perdita dei genitori e culminando con il suo trasferimento a Roma; l’altra linea temporale, rispetto a quella del presente narrativo in cui Caravaggio fugge dalla capitale, andrebbe invece a ricostruire proprio lo stesso omicidio e le scorribande in cui l’artista si ritrovava coinvolto, in modo da tracciare un profilo psicologico completo. Dopo la fuga da Roma, Caravaggio continuò la propria produzione artistica muovendosi tra Napoli, la Sicilia e Malta, alimentando contestualmente le dicerie su di lui, dato che il lato violento del suo carattere non lo abbandonò mai. In seguito a una serie di peripezie successive, Caravaggio decise di far ritorno a Roma, poiché che si parlava di una possibile revoca della sua condanna, ma morì in seguito al peggioramento di una probabile infezione, a soli 38 anni. La vita del pittore, già di per sé, è sufficientemente movimentata per poter pensare a un adattamento funzionale su di lui, ma se pensiamo allo stile artistico di Caravaggio, oltre che all’enorme quantità di opere significative che ha realizzato, entriamo nell’ottica di uno stile visivo di cui un’ipotetica serie potrebbe godere, richiamando le tonalità del barocco e dei suoi dipinti in cui regnava un uso drammatico e teatrale (non a caso) della tecnica del chiaroscuro: insomma, anche dal punto di vista visivo e scenografico, una serie su Caravaggio meriterebbe di essere guardata.
Primo Carnera
Chiudiamo questo esperimento voltando nuovamente pagina e dedicandoci all’ambito sportivo, che nel nostro paese gode non solo di fama e importanza sociale, ma ha anche storicamente avuto tantissimi interpreti, nelle più disparate discipline, che meriterebbero una trasposizione sulla propria vita. L’Italia è la patria del calcio, lo sappiamo bene, ed è anche vero che ci sono tantissimi campioni che meriterebbero una visibilità simile (come ci ha insegnato Totti in Speravo de morì prima, per esempio), ma per questo articolo abbiamo deciso di focalizzarci su un altro sport, che in Italia non ha la stessa visibilità di cui gode in molti altri paesi, su tutti gli Stati Uniti, ossia il pugilato. L’Italia è la patria di tanti campioni di questa disciplina, così antica e nobile, e spesso ci dimentichiamo di tale aspetto, motivo per cui abbiamo individuato in Primo Carnera, leggendario pugile attivo tra gli anni Trenta e Quaranta dello scorso secolo, un personaggio valido su cui costruire una narrazione vincente. Da fenomeno da baraccone a campione del mondo dei pesi massimi, partendo da Sequals, un piccolo paesino del Friuli-Venezia Giulia: è questa, in brevissimo, la storia della carriera sportiva di Carnera, che ha a dir poco dell’incredibile. Carnera nacque da una famiglia poverissima, e fin dai suoi primi anni di vita fu costretto a fare il mendicante insieme ai suoi fratelli, durante il periodo della Grande guerra; le necessità economiche della famiglia lo spinsero poi a trasferirsi in Francia, dai suoi zii, che gli trovarono un posto come carpentiere e cominciarono a inculcare in lui la possibilità di cominciare a praticare il pugilato, visto e considerato che il ragazzo era dotato di un fisico davvero imponente (arrivò a 197 centimetri per 130 kg). Nel 1925 fu notato da un impresario circense, che lo convinse a esibirsi come fenomeno da baraccone; tale svolta fu determinante per Carnera, che poco tempo dopo venne notato, proprio in una delle sue esibizioni circensi, dall’ex campione Paul Journée, che lo introdusse al mondo del pugilato professionistico.
In poco tempo, Primo Carnera cominciò a fare strada, e la sua carriera decollò fin dal suo arrivo negli Stati Uniti, anche grazie a Léon Sée, il suo manager che aveva conoscenze nella malavita statunitense, in un periodo buio come quello del Proibizionismo in cui la mafia italoamericana aveva mani dappertutto. Nel caso di Carnera, ci siamo immaginati uno sviluppo analogo a quello di Caravaggio, ossia seguendo due linee narrative differenti: una riguardante la sua infanzia e la sua gioventù, per dare il giusto spazio all’incredibile storia di come si avvicinò al mondo del pugilato; l’altra, invece, proiettata sulla sua carriera fin dal suo arrivo negli Stati Uniti, dove dovette fronteggiare numerose critiche soprattutto per via degli interessi della mafia, che spesso e volentieri truccò i suoi incontri per il proprio tornaconto economico. Tuttavia, dopo una prima parte di carriera segnata da questi episodi, Carnera smascherò Léon Sée e ripartì da zero, riuscendo a trovare la strada che lo avrebbe portato a essere il primissimo campione mondiale dei pesi massimi italiano. La figura di Primo Carnera, soprattutto in Italia, è molto controversa: questi, in seguito alla vittoria del titolo, diventò presto uno “strumento” per la propaganda di Mussolini, che conobbe direttamente e a cui manifestò il proprio appoggio; ovviamente, bisogna ricordare che in quegli anni il mondo era completamente diverso, e che spesso e volentieri esempi di sport come lui diventavano oggetto d’interesse di esponenti politici come Mussolini, che non perdeva occasione per alimentare la propria propaganda. In ogni caso, la leggendaria carriera del pugile meriterebbe una trasposizione seriale, più che cinematografica (che già esiste, tra l’altro), proprio per via dei numerosi episodi, anche di una certa importanza socioculturale, che lo vedono protagonista, oltre che per l’effettiva impronta che ha lasciato, come rappresentante italiano, nel mondo del pugilato.